In Italia la 'bolletta' richiesta dal riscaldamento globale e
dalle sue conseguenze sul clima è all'incirca dell'1,6% del nostro
Pil.
"Abbiamo analizzato con uno studio quanto i cambiamenti climatici già incidono in Italia sull'economia.
Abbiamo analizzato quanto lo smog incide sul sistema produttivo e sanitario, la perdita del patrimonio forestale attraverso gli incendi, il dissesto idrogeologico, la dissipazione dell'energia e lo spreco delle acque.
Ebbene da questo studio viene fuori che incidono ogni anno per circa l'1,6% del prodotto interno lordo, ossia circa 23-25 miliardi di euro.
Ciò indica quanto sia necessario e urgente, anche dal punto
di vista economico, un contributo forte alla lotta ai cambiamenti
climatici, perché investire oggi significa spendere meno domani".
Negli interventi per tagliare i gas serra l'Italia è però solo al 44/mo posto su 57 paesi a maggiori emissioni di Co2, secondo il Climate Change Performance Index del German Watch.
L'Italia è tra i paesi europei quello con la maggior percentuale di popolazione esposta ad elevate concentrazioni di sostanze inquinanti.Questo vuol dire malattie, ricoveri ospedalieri, morti, e circa 2.700.000 giornate lavorative perse ogni anno.
Ci sono poi i costi dovuti ai trasporti resi lenti dal traffico, l'erosione delle coste, la carenza di acqua e la sua dispersione a causa di una rete vecchia in cattive condizioni di manutenzione.
La dispersione di energia dovuta a una non corretta razionalizzazione della rete e dell'80% degli edifici italiani che di energia ne 'mangiano' troppa.
L'agricoltura paga dei prezzi elevati all'aumento delle temperature, con siccità e ampie zone a rischio di desertificazione.
Enorme il valore distrutto ogni anno dagli incendi di foreste, pinete e boschi, mentre parallelamente aumenta il rischio idrogeologico e di alluvioni.
Non ultimo, per importanza, il danno che il nostro patrimonio artistico e monumentale ha subito e continua a subire dall'inquinamento atmosferico.
Le conseguenze economiche secondo lo studio, sarebbero, almeno per i monumenti più importanti, dell'ordine di almeno 500 milioni di euro.
I costi del cambiamento climatico
I costi del cambiamento climatico sono difficili da stimare perché si tratta di un fenomeno di lungo periodo, non stiamo parlando di eventi che avranno un grande rilievo nel brevissimo termine, cioè nei prossimi dieci venti anni, ma di eventi che solo dopo il 2050 si manifesteranno in modo particolarmente intenso, e inoltre sono costi estremamente variabili nelle varie regioni del globo per cui è difficile parlare di un costo medio del cambiamento climatico.
Ad esempio, nel Rapporto Stern pubblicato nel 2006 si stimava un costo del cambiamento climatico, in assenza di misure di intervento, pari a circa il 5-15% del PIL mondiale, ma questa è una misura aggregata che non dice molto, perché il cambiamento climatico avrà degli effetti probabilmente positivi in alcune regioni del mondo.
Possiamo pensare alla Russia e, nel suo complesso, il Canada, che avranno dei benefici.
Avranno degli effetti minimi o probabilmente neutri nei Paesi più sviluppati, nelle zone più temperate e sviluppate e avranno degli effetti catastrofici nei Paesi in via di sviluppo.
Effetti catastrofici che poi si ripercuoteranno attraverso i mercati finanziari, attraverso il commercio internazionale anche negli altri Paesi.
Quindi è una stima estremamente variabile.
Il dato medio potrebbe essere come detto il tra il 5 e il 10 o il 5 e il 15% nel caso peggiore tenendo conte degli impatti oltre il 2100, in questo secolo probabilmente l’impatto non andrà in media oltre il 2-3% ma la variabilità e quindi le conseguenze disastrose nel zone più vulnerabili del mondo, va tenuta in grande considerazione.
La situazione dell’Italia
L’Italia è una zona di confine e quindi avremo le regioni del nord che saranno sostanzialmente risparmiate, anche perché hanno grandi capacità di adattamento, e le regioni del sud che sono molto più vulnerabili perché sono al confine della regione climatica che subirà le variazioni più rilevanti e lì invece i danni potranno essere più consistenti.
Le misure di mitigazione
Le misure di mitigazione, vale a dire di riduzione delle emissione dei gas ad effetto serra e le misure di adattamento, cioè l’adattamento dei sistemi economici a quello che rimane in termini di cambiamento climatico dopo aver mitigato hanno dei costi che invece sono più facilmente stimabili, anche perché sono costi di breve termine.
Le misure di mitigazione sono misure che dobbiamo prendere oggi o nei prossimi dieci vent’anni, quindi più facilmente quantificabili.
Qui c’è abbastanza consenso perché la gran parte degli studi, centinai di studi ormai a livello mondiale stimano, ancora una volta come media globale, un costo che va tra 1 e il 2% del PIL mondiale in questo secolo, costi più elevati mano, mano che andiamo in là nel tempo.
Allora se confronto questo numero con il valore dei costi del cambiamento climatico pensati prima, tra 1 e il 2% di costo di mitigazione e tra il 5 e 10% di costo del cambiamento climatico mi accorgo che il costo la mitigazione è sicuramente conveniente, cioè costa molto meno introdurre delle misure di mitigazione piuttosto che subire il cambiamento climatico.
Le misure di adattamento
C’è da dire però che la mitigazione alla quale stiamo pensando non elimina completamente il cambiamento climatico.
C’è un cambiamento climatico inevitabile che ci porterà comunque ad avere un incremento della temperatura di circa 2°C rispetto ai valori preindustriali e questo avrà degli impatti negativi.
Quindi tenendo conto di questo costo, che è quello dell’adattamento, il costo complessivo potrebbe aggirarsi attorno al 3%.
Comunque, in base alle stime che conosciamo oggi, inferiore al costo del danno che il cambiamento climatico può infliggere soprattutto alle regioni più vulnerabili.
Abbiamo bisogno di risparmio energetico e rinnovabili ?
Qui davvero non ci sono incertezze.
Abbiamo bisogno, e l’abbiamo fatto in parte nell’ultimo anno e mezzo di misure di stima alla crescita economica; all’interno di queste misure è fondamentale individuare anche quelle che permettano di garantire la transizione energetica dal sistema dei combustibili fossili con il risparmio energetico e l'uso delle rinnovabili.
E questo anche indipendentemente dal cambiamento climatico, perchéprima o poi le fonti fossili si esauriranno, in particolare petrolio e gas, carbone ne abbiamo già un po’ di più, e soprattutto per ragioni di sicurezza energetica, per ragioni strategiche,geopolitiche, in ogni caso questa transizione va gestita e l’occasione dei grandi investimenti necessari per il rilancio della crescita economica è un’occasione da non perdere.
Sono un rischio tangibile per le nostre economie per tutti noi, anche alla luce della recente emergenza siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura di molte regioni italiane.
Quello che forse percepiamo meno, è che i cambiamenti climatici sono anche un’opportunità di sviluppo sostenibile per le nostre società.
“Pensiamo a una trasformazione dell’economia che vada verso la sostenibilità, che permetta di ridurre le emissioni dei gas serra e il problema dell’inquinamento, ma anche di gestire meglio le risorse idriche e alimentari: le opportunità economiche che aprono i cambiamenti climatici sono molte, e le soluzioni ci sono già adesso”.
Queste le parole usate da Massimo Tavoni, docente di Economia del clima al Politecnico di Milano e ricercatore della Fondazione CMCC, nel corso del programma Rai “Petrolio”, in una puntata tutta dedicata al cambiamento climatico.
I cambiamenti climatici hanno un costo sociale enorme, gli impatti non riguardano solo l’agricoltura, ma anche, per esempio, la salute (si pensi all’eccezionale ondata calore del 2003 e alle morti che provocò).
Sono un fenomeno globale, irreversibile, destinato ad avere effetti su di noi e soprattutto sulle future generazioni.
Il cambiamento climatico costa caro.
E costerà ancora di più in futuro.
Non solo alla collettività, per tutti i danni che provoca all’agricoltura, alle infrastrutture e alla salute, ma anche agli investitori privati.
Lo ha recentemente rivelato l’Economist, che attraverso un suo studio, “I costi dell’inazione”, avverte: anche mantenendo la temperatura entro i famosi (ma inutili) 2 °C, si possono perdere 4.200 miliardi di dollari entro il 2100.
Se invece l’aumento delle temperature medie globali fosse di 6 °C, i miliardi dollari bruciati sarebbero 13.800.
Il settore pubblico, in realtà, se la passa anche peggio.
Ma agli analisti la cosa forse interessa meno, tanto pagano i cittadini comuni, quelli che di finanza sentono solo parlare al tg.
Il report dell’Economist stima infatti per il pubblico perdite tra i 13.900 miliardi a 43.000 miliardi di dollari.
Avete capito perché (quasi) tutti iniziano a dare credito a chi, incessantemente da anni, avverte sui danni dei cambiamenti climatici?
No, non per le decine di milioni di profughi climatici costretti ogni anno a lasciare le proprie case grazie a un climate change provocato in gran parte in altri paesi.
No, neppure per gli enormi danni all’agricoltura in seguito a inondazioni, siccità, desertificazione.
Macché, l’interesse per il riscaldamento globale, alla faccia di un consenso scientifico che è tale da diversi anni, arriva perché i cambiamenti climatici costano!
E tanto.
Non solo, quindi, il cambiamento climatico pesa sui
bilanci nazionali, ma ha un influenza deleteria sull’incremento
della disuguaglianza tra
gli stati.
Fatte queste considerazioni, rimane poco chiara la ragione per cui la maggior parte dei governanti continuino ad ignorare quello che a tutti gli effetti si configura come un buco nei loro bilanci, oltre ad un vero pericolo a livello globale.
Fonti: Nature
"Abbiamo analizzato con uno studio quanto i cambiamenti climatici già incidono in Italia sull'economia.
Abbiamo analizzato quanto lo smog incide sul sistema produttivo e sanitario, la perdita del patrimonio forestale attraverso gli incendi, il dissesto idrogeologico, la dissipazione dell'energia e lo spreco delle acque.
Ebbene da questo studio viene fuori che incidono ogni anno per circa l'1,6% del prodotto interno lordo, ossia circa 23-25 miliardi di euro.

Negli interventi per tagliare i gas serra l'Italia è però solo al 44/mo posto su 57 paesi a maggiori emissioni di Co2, secondo il Climate Change Performance Index del German Watch.
L'Italia è tra i paesi europei quello con la maggior percentuale di popolazione esposta ad elevate concentrazioni di sostanze inquinanti.Questo vuol dire malattie, ricoveri ospedalieri, morti, e circa 2.700.000 giornate lavorative perse ogni anno.
Ci sono poi i costi dovuti ai trasporti resi lenti dal traffico, l'erosione delle coste, la carenza di acqua e la sua dispersione a causa di una rete vecchia in cattive condizioni di manutenzione.
La dispersione di energia dovuta a una non corretta razionalizzazione della rete e dell'80% degli edifici italiani che di energia ne 'mangiano' troppa.
L'agricoltura paga dei prezzi elevati all'aumento delle temperature, con siccità e ampie zone a rischio di desertificazione.
Enorme il valore distrutto ogni anno dagli incendi di foreste, pinete e boschi, mentre parallelamente aumenta il rischio idrogeologico e di alluvioni.
Non ultimo, per importanza, il danno che il nostro patrimonio artistico e monumentale ha subito e continua a subire dall'inquinamento atmosferico.
Le conseguenze economiche secondo lo studio, sarebbero, almeno per i monumenti più importanti, dell'ordine di almeno 500 milioni di euro.
I costi del cambiamento climatico
I costi del cambiamento climatico sono difficili da stimare perché si tratta di un fenomeno di lungo periodo, non stiamo parlando di eventi che avranno un grande rilievo nel brevissimo termine, cioè nei prossimi dieci venti anni, ma di eventi che solo dopo il 2050 si manifesteranno in modo particolarmente intenso, e inoltre sono costi estremamente variabili nelle varie regioni del globo per cui è difficile parlare di un costo medio del cambiamento climatico.
Ad esempio, nel Rapporto Stern pubblicato nel 2006 si stimava un costo del cambiamento climatico, in assenza di misure di intervento, pari a circa il 5-15% del PIL mondiale, ma questa è una misura aggregata che non dice molto, perché il cambiamento climatico avrà degli effetti probabilmente positivi in alcune regioni del mondo.
Possiamo pensare alla Russia e, nel suo complesso, il Canada, che avranno dei benefici.
Avranno degli effetti minimi o probabilmente neutri nei Paesi più sviluppati, nelle zone più temperate e sviluppate e avranno degli effetti catastrofici nei Paesi in via di sviluppo.
Effetti catastrofici che poi si ripercuoteranno attraverso i mercati finanziari, attraverso il commercio internazionale anche negli altri Paesi.
Quindi è una stima estremamente variabile.
Il dato medio potrebbe essere come detto il tra il 5 e il 10 o il 5 e il 15% nel caso peggiore tenendo conte degli impatti oltre il 2100, in questo secolo probabilmente l’impatto non andrà in media oltre il 2-3% ma la variabilità e quindi le conseguenze disastrose nel zone più vulnerabili del mondo, va tenuta in grande considerazione.
La situazione dell’Italia
L’Italia è una zona di confine e quindi avremo le regioni del nord che saranno sostanzialmente risparmiate, anche perché hanno grandi capacità di adattamento, e le regioni del sud che sono molto più vulnerabili perché sono al confine della regione climatica che subirà le variazioni più rilevanti e lì invece i danni potranno essere più consistenti.
Le misure di mitigazione
Le misure di mitigazione, vale a dire di riduzione delle emissione dei gas ad effetto serra e le misure di adattamento, cioè l’adattamento dei sistemi economici a quello che rimane in termini di cambiamento climatico dopo aver mitigato hanno dei costi che invece sono più facilmente stimabili, anche perché sono costi di breve termine.
Le misure di mitigazione sono misure che dobbiamo prendere oggi o nei prossimi dieci vent’anni, quindi più facilmente quantificabili.
Qui c’è abbastanza consenso perché la gran parte degli studi, centinai di studi ormai a livello mondiale stimano, ancora una volta come media globale, un costo che va tra 1 e il 2% del PIL mondiale in questo secolo, costi più elevati mano, mano che andiamo in là nel tempo.
Allora se confronto questo numero con il valore dei costi del cambiamento climatico pensati prima, tra 1 e il 2% di costo di mitigazione e tra il 5 e 10% di costo del cambiamento climatico mi accorgo che il costo la mitigazione è sicuramente conveniente, cioè costa molto meno introdurre delle misure di mitigazione piuttosto che subire il cambiamento climatico.
Le misure di adattamento
C’è da dire però che la mitigazione alla quale stiamo pensando non elimina completamente il cambiamento climatico.
C’è un cambiamento climatico inevitabile che ci porterà comunque ad avere un incremento della temperatura di circa 2°C rispetto ai valori preindustriali e questo avrà degli impatti negativi.
Quindi tenendo conto di questo costo, che è quello dell’adattamento, il costo complessivo potrebbe aggirarsi attorno al 3%.
Comunque, in base alle stime che conosciamo oggi, inferiore al costo del danno che il cambiamento climatico può infliggere soprattutto alle regioni più vulnerabili.
Abbiamo bisogno di risparmio energetico e rinnovabili ?
Qui davvero non ci sono incertezze.
Abbiamo bisogno, e l’abbiamo fatto in parte nell’ultimo anno e mezzo di misure di stima alla crescita economica; all’interno di queste misure è fondamentale individuare anche quelle che permettano di garantire la transizione energetica dal sistema dei combustibili fossili con il risparmio energetico e l'uso delle rinnovabili.
E questo anche indipendentemente dal cambiamento climatico, perchéprima o poi le fonti fossili si esauriranno, in particolare petrolio e gas, carbone ne abbiamo già un po’ di più, e soprattutto per ragioni di sicurezza energetica, per ragioni strategiche,geopolitiche, in ogni caso questa transizione va gestita e l’occasione dei grandi investimenti necessari per il rilancio della crescita economica è un’occasione da non perdere.
Sono un rischio tangibile per le nostre economie per tutti noi, anche alla luce della recente emergenza siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura di molte regioni italiane.
Quello che forse percepiamo meno, è che i cambiamenti climatici sono anche un’opportunità di sviluppo sostenibile per le nostre società.
“Pensiamo a una trasformazione dell’economia che vada verso la sostenibilità, che permetta di ridurre le emissioni dei gas serra e il problema dell’inquinamento, ma anche di gestire meglio le risorse idriche e alimentari: le opportunità economiche che aprono i cambiamenti climatici sono molte, e le soluzioni ci sono già adesso”.
Queste le parole usate da Massimo Tavoni, docente di Economia del clima al Politecnico di Milano e ricercatore della Fondazione CMCC, nel corso del programma Rai “Petrolio”, in una puntata tutta dedicata al cambiamento climatico.
I cambiamenti climatici hanno un costo sociale enorme, gli impatti non riguardano solo l’agricoltura, ma anche, per esempio, la salute (si pensi all’eccezionale ondata calore del 2003 e alle morti che provocò).
Sono un fenomeno globale, irreversibile, destinato ad avere effetti su di noi e soprattutto sulle future generazioni.
Il cambiamento climatico costa caro.
E costerà ancora di più in futuro.
Non solo alla collettività, per tutti i danni che provoca all’agricoltura, alle infrastrutture e alla salute, ma anche agli investitori privati.
Lo ha recentemente rivelato l’Economist, che attraverso un suo studio, “I costi dell’inazione”, avverte: anche mantenendo la temperatura entro i famosi (ma inutili) 2 °C, si possono perdere 4.200 miliardi di dollari entro il 2100.
Se invece l’aumento delle temperature medie globali fosse di 6 °C, i miliardi dollari bruciati sarebbero 13.800.
Il settore pubblico, in realtà, se la passa anche peggio.
Ma agli analisti la cosa forse interessa meno, tanto pagano i cittadini comuni, quelli che di finanza sentono solo parlare al tg.
Il report dell’Economist stima infatti per il pubblico perdite tra i 13.900 miliardi a 43.000 miliardi di dollari.
Avete capito perché (quasi) tutti iniziano a dare credito a chi, incessantemente da anni, avverte sui danni dei cambiamenti climatici?
No, non per le decine di milioni di profughi climatici costretti ogni anno a lasciare le proprie case grazie a un climate change provocato in gran parte in altri paesi.
No, neppure per gli enormi danni all’agricoltura in seguito a inondazioni, siccità, desertificazione.
Macché, l’interesse per il riscaldamento globale, alla faccia di un consenso scientifico che è tale da diversi anni, arriva perché i cambiamenti climatici costano!
E tanto.
Rispetto
a quest’ultimo punto, l’analisi prende in considerazione i costi
e i benefici (il valore prodotto) inerenti le emissioni in oggetto,
calcolandone così il costo sociale. Basandosi sui dati
raccolti nel 2017, il
costo medio globale di una tonnellata di CO2 emessa è di circa 400
dollari. Per un valore
totale che supera i 16.000 miliardi
di dollari! Tra i maggiori produttori anidride carbonica spiccano USA
e Cina, due
stati che stanno già pagando caro l’inquinamento che producono,
rispettivamente 48 e 24 dollariper tonnellata.
Fatte queste considerazioni, rimane poco chiara la ragione per cui la maggior parte dei governanti continuino ad ignorare quello che a tutti gli effetti si configura come un buco nei loro bilanci, oltre ad un vero pericolo a livello globale.
Fonti: Nature
Commenti
Posta un commento