Ci avete fatto mai caso? Se c’è una cosa che spaventa l’essere umano moderno più di ogni altra, quella cosa è la verità.
Ne è terrorizzato, prova a ripudiarla in ogni sua forma e definizione, la verità non deve esistere e non è un caso se ci troviamo nell’epoca della post-verità, dove le fake news (ma anche fake science, fake history, fake economics) attecchiscono come erbacce pronte a infestare il vasto mondo della conoscenza.
Sugli occhi della gente è calato un velo, una tenda oscurante, e guai a chi si azzarda a scostarla anche solo di qualche centimetro in questo stato di quarantena mentale e spirituale nel quale ci troviamo immersi, in un’Era di specchi riflessi tra i quali la realtà rischia di essere spesso travisata, trasformata e trasfigurata. L’ideologia dominante “l’ignoranza è forza” di Orwell in “1984” è ormai alle porte, è la nuova caverna 2.0 di Platone, pronta ad accogliere tutte le anime smarrite di questo mondo.
Ecco perché la gente ti odia se ti azzardi a dire la verità, di qualsivoglia natura essa sia, nel piccolo come nel grande, nel pubblico come nel privato, la verità non sta bene, fa male e pertanto va debellata e se non può essere rimossa, allora (perdio!) va tenuta nascosta, segregata, sotterrata come un rifiuto tossico.
Si preferisce ignorare la verità come la realtà, per non soffrire, e non è un caso se un lungimirante Samuel Langhorne Clemens – più noto con il suo pseudonimo Mark Twain – scrisse uno degli aforismi che meglio descrive il sonno della ragione che avvolge la nostra civiltà:
“È più facile ingannare la gente piuttosto che convincerla di essere stata ingannata.“
Dire la verità significa “ferire”, significa squarciare il velo di natura illusoria, quel velo che il filosofo Arthur Schopenhauer ne “Il mondo come volontà e rappresentazione” definisce come “Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente.”
Sarà successo anche a voi di rinunciare a discutere con un vecchio amico quando vi siete resi conto che in un confronto dialettico non voleva ascoltare – figuriamoci capire! – ma solo difendere ad ogni costo le sue certezze.
La gente ti odia se gli dici la verità perché la ferisci nelle convinzioni, nella loro pomposità, si tratta della ferita dell’ego. Un ego paragonabile ad un bambino viziato che tira pugni e scalcia pur di fare a tutti i costi come dice lui.
Braccia conserte e labbra serrate sono i primi sintomi che fanno intuire, fin dalle prime battute, che la nuova idea veicolata nel corso del dialogo non verrà nemmeno presa in considerazione.
E tutto, badate bene, è proporzionale alla “verità” da digerire, perché chiaramente più sarà densa e maggiore sarà la reazione scomposta della gente.
Non è un caso se – giusto per citarne alcuni – gente come Socrate, Gesù, Giordano Bruno, Peppino Impastato, Falcone e Borsellino, abbiano pagato con la vita il prezzo della loro verità.
Del resto, ci sarà un motivo se i più grandi maestri e mistici hanno sempre definito l’ego come il più grande ostacolo nel cammino verso la conoscenza e la consapevolezza, un ostacolo legato alla mancanza di dubbi, ognuno ha la sua “verità” e molti non iniziano nemmeno il viaggio perché convinti di sapere tutto.
A ciò si associa inoltre l’effetto gregge. Ovvero, poiché un’opinione o un’azione è condivisa da tanti, deve sicuramente essere quella giusta, e se venissi smentito, non mi sentirei ferito nell’ego: come ci sono cascato io, ci sono cascati tanti prima di me; ergo, non sarà stata colpa mia.
Ecco perché la verità nell’intimo fa paura, perché conoscere significa ridestarsi, significa mettere in discussione tutto, ma proprio tutto, significa far tremare le mura che chiamiamo certezze, significa far crollare i pavimenti dove poggiano i nostri piedi.
Senza contare il fatto che non si approda mai, la verità è come un mare aperto, sconfinata. Quindi chi ha paura e desidera stabilità sarà più incline ad un atteggiamento conservatore che lo metta a riparo da scossoni, lontano dalla verità. Perché se c’è un regalo che la conoscenza porta con sé, quel regalo è mostrarti quanto sterminata è la tua ignoranza.
Ma non finisce qui. Perché è proprio nel momento in cui accetti una conoscenza/consapevolezza/verità che avviene un fenomeno irreversibile dentro di te, come un tronco che diventa cenere, anche tu da quel momento in poi non potrai più continuare a comportarti/pensare/agire come hai sempre fatto fino a quel momento.
E questa paura di “bruciare” è abbastanza forte da far sì che la gente escogiti qualsiasi alibi pur di non cambiare una virgola del sistema di credenze che si è costruita.
Quindi sarebbe un errore correlare la paura della verità al solo ferimento dell’ego.
C’è di più. La verità – sotto forma di conoscenza o consapevolezza – porta con sé sofferenza.
La stessa sofferenza provata nel mito di Platone da uno degli schiavi incatenati che ha avuto non solo il coraggio di voltare la testa verso l’uscita della caverna, ma ha osato poi trascinarsi a forza fuori dalla caverna stessa. Soffre, perché il sole al quale non è abituato lo acceca e non vede alcunché, e poi perché è incredulo di fronte agli oggetti del mondo che non pensava esistessero.
Ma soprattutto, è consapevole che una volta fuori – processo irreversibile – nulla sarà più uguale a prima, inoltre si accorge che c’è un’altra cosetta che la conoscenza (verità) porta con sé: la restituzione della responsabilità individuale.
Perché è vero che la verità rende liberi (veritas vos liberat), ma dentro la parola libertà vi è nascosta – come dentro una matrioska – un’altra parola che ci piace molto meno, e si chiama appunto responsabilità, che traslata in una frase un po’ più strutturata significa che solo chi si assume la responsabilità delle proprie scelte acquisisce margini di libertà.
E nell’epoca dei mille diritti urlati a gran voce, toccherebbe tornare ad occuparsi dei doveri, nascosti come polvere sotto al tappeto.
“L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura.
Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni,
e le decisioni comportano rischi.”
Erich Fromm – Il coraggio di essere
Ecco la bellezza insita nella verità, rivelatrice da un lato, in quanto ti rivela ciò che non hai mai avuto il coraggio di vedere (come lo schiavo di Platone che si libera delle proprie catene), ma allo stesso tempo diventa rivoluzionaria, perché strettamente correlata con concetti come conoscenza, libertà, responsabilità. Orwell stesso in “Animal farm” scrive quanto segue: “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”.
E qui vorrei fare un ultimo appunto: è vero che ci vuole una grande dose di coraggio nel dire la verità, ma è altrettanto vero che la vera rivoluzione, oggi, è saperla ascoltare quella verità, per accettarla e abbracciarla così com’è, senza cedere alla tentazione di chiudere gli occhi dinanzi al baratro della menzogna.
Tragicomico
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