Molti ancora non l’hanno capito, o fanno finta di non capire, ma questo in cui viviamo è un sistema al collasso, un sistema dentro al quale ci affanniamo come ingranaggi ben oliati, siamo parte integrante di una società che corre senza obiettivi, all’impazzata, dritta verso il baratro dell’estinzione umana. L’unica cosa da fare sarebbe invertire subito la rotta, andare controcorrente, farsi largo fra la folla di zombi ricurvi e tornare indietro, per una vita più lenta e umana, a misura d’uomo.
Abbiamo la necessità di un ritorno alla cooperazione e avere del tempo per guardarci in faccia, per ammirare un tramonto, per gustare ciò che mangiamo, per ascoltare chi ci sta davanti, per fare l’amore con lentezza. Avere del tempo per riflettere sulle responsabilità di questo disastro sociale che possiamo imputare all’eccessiva competitività, al protagonismo smodato, all’essere schiavi del tempo e vittime dell’ignoranza.
Il mio dubbio è: Quanti si pongono queste domande? Chi riflette ancora? Quanti hanno capito che dobbiamo rallentare, tornare indietro e imboccare una strada più in linea con ciò che siamo? Ovvero esseri umani. Ho il timore che siamo in pochi, troppo pochi in questo sistema al collasso.
“Tutti dobbiamo chiederci (e sempre) se quel che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza.
O abbiamo tutti, per una qualche innaturale deformazione, perso l’istinto per quel che la vita dovrebbe essere, e cioè soprattutto un’occasione di felicità?”
(Tiziano Terzani – “Un indovino mi disse”)
Questa scarsità di consapevolezza è determinata da un nemico enorme, un Sistema che tutto tritura, 24h su 24, sette giorni su sette. La propaganda incessante di tutti i media e social media che aizza le masse all’esibizionismo, all’edonismo, alla competitività, al protagonismo a tutti i costi. Già dalla più tenera età vediamo bambini esposti alla mercé del mercato, bambini ballerini, cantanti, modelli, calciatori, bambini oggetto.
I discorsi tipo di un genitore di oggi sono “mia figlia è la migliore del corso di danza”, “mio figlio giocherà in sera A”, “mia figlia farà l’attrice”, “mio figlio conosce dieci lingue”, “mia figlia andrà su Marte”, “i miei figli sono tutti youtuber”.
Figli nati già adulti e in competizione fra loro, con i sogni chiusi nel cassetto e sulle spalle il peso ingombrante delle aspettative di questa società sempre più esigente.
In questo sistema la collasso si vive nel continuo eccesso, nel continuo voler dimostrare di avere cose, di essere importanti, di essere i migliori. Gli adolescenti di oggi sognano di essere “influencer”. Giovani che vengono influenzati a voler influenzare il prossimo. Possibile che nessuno noti questa tragicommedia? Sono scomparsi gli spettatori, sono diventati tutti attori.
La competitività nel mercato del lavoro poi, è qualcosa che rassomiglia tanto alla locuzione latina “mors tua vita mea” di origine medioevale. Solo che al tempo aveva un significato del tutto diverso. Oggi è una necessità vista la scarsità di impiego. Si perde così di vista il contatto umano, contano solo gli ingranaggi che ruotano, i bit sparati nell’etere e i greenpass scansionati; non conta la persona, non contano le sue debolezze e le fragilità nascoste dietro muri di cartapesta. Siamo macchine, prodotti con il codice a barre, zombi con il codice QR stampato in fronte e prossimamente robot dotati di intelligenza artificiale.
Abbiamo reciso il cordone che ci legava a madre natura, abbiamo relegato anch’essa al ruolo di mero oggetto da acquistare, consumare e buttare. Abbiamo preso, rubato con mani tese, lacerando, tagliando, frantumando, abbattendo tutto quanto si presentasse sul nostro cammino. Le diverse armonie del mondo naturale sono state accantonate come ostacoli al progresso e con loro è scomparsa anche quella rete altrettanto sottile di società e di culture umane che con quel mondo si erano co-evolute e avevano coesistito per migliaia di anni.
E vogliamo parlare del consumismo più sfrenato? Persone che diventano adrenaliniche dinanzi all’ennesimo orpello da comprare, senza rendersi conto che spendono e spandono, denari sperperati manco fossero coriandoli. E chissenefrega del tempo investito per guadagnare quelle somme, di come siano stati prodotti quegli oggetti, dello sfruttamento che c’è dietro, dell’inquinamento che andranno a creare. L’importante è comprare, avere, esibire. E la ruota del criceto umano gira ancora più veloce!
“Perché, dobbiamo chiederci, la maggioranza delle persone non usa la ragione per riconoscere i propri interessi reali di esseri umani?
Non è forse perché hanno subito un lavaggio del cervello e sono costretti a ubbidire?”
(Erich Fromm – “Anatomia della distruttività umana”)
Potremmo astenerci da un giudizio tanto critico, se tutto questo fantomatico progresso portasse con sé almeno un briciolo di entusiasmo, di umanità, di elasticità del pensiero, di gioia, di apertura spirituale e nobiltà d’animo. Invece c’è qualcosa che non va in questa valle di umana solitudine, in un sistema al collasso dove siamo sempre più infelici, sempre più depressi, sempre più connessi ma sempre più distanti.
Viviamo in un periodo di isolamento sociale ed esistenziale, ci guardiamo torvi fra le inferriate di casa, pronti a giudicarci senza pietà, mentre all’interno coviamo rabbia, ansia, colmiamo la nostra perdita di identità comodamente dal divano, con acquisti online sempre più compulsivi, mentre all’interno dilaga quel senso di frustrazione che ci rammenta del come questa vita strascicata non sia altro che l’ennesima occasione sprecata.
E allora, cari lettori, fermiamoci! Qui siamo tutti chiamati in causa in questo sistema al collasso calpestato dagli uomini più infelici e pericolosi della storia. Signori miei, da dove ripartiamo? Chi siamo oltre i vestiti che indossiamo, quello che possediamo e la vita che facciamo? Qual è lo scopo della nostra esistenza?
Ma soprattutto, possiamo farcela a ripartire o siamo scesi troppo in basso, così in basso da essere già sottoterra?
Tragicomico
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