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Menzogne di Stato. Dove vanno a finire i nostri soldi?

Siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardi”, “l’evasione fiscale ci costa 120 miliardi”. 

Numeri aleatori impossibili da verificare ma che gettano fumo negli occhi alla massa credulona. 

In realtà i 620 miliardi di avanzo di bilancio 1992-2012 sono veritieri ed è il risultato di una precisa scelta politica: sono soldi sottratti veramente ai cittadini e scomparsi dalla circolazione.
La domanda che viene spontanea è: dove cazzo vanno a finire i nostri soldi? 

Una cosa è certa. In questa Italia di …… le tasse aumentano, cosi come le sanguisughe. 

I disservizi e le ingiustizie furoreggiano. Ma allora dove cazzo vanno a finire i nostri soldi se è vero, come è vero, che sono ancora di più gli italiani che oltre essere vilipesi, muoiono di fame? Aumenta in un anno l’incidenza della povertà assoluta in Italia. Come certifica l’Istat, le persone in povertà assoluta passano dal 5,7% della popolazione del 2011 all’8% del 2012, un record dal 2005. 

È quanto rileva il report «La povertà in Italia», secondo cui nel nostro Paese sono 9 milioni 563 mila le persone in povertà relativa, pari al 15,8% della popolazione. Di questi, 4 milioni e 814 mila (8%) sono i poveri assoluti, cioè che non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.
Ed è con questo stato di cose che ci troviamo a confrontarci quotidianamente. Ed a tutto questo certo non corrisponde un Stato efficace ed efficiente, così come ampiamente dimostrato. Anzi nonostante il costo del suo mantenimento questo Stato si dimostra incapace ed inadeguato.


Eppure ad una mancanza di servizi corrisponde una Spesa pubblica raddoppiata. E tasse locali che schizzano all’insù. Negli ultimi venti anni le imposte riconducibili alle amministrazioni locali sono aumentate da 18 a 108 miliardi di euro, «con un eccezionale incremento di oltre il 500% ». È quanto emerge da uno studio della Confcommercio in collaborazione con il Cer (Centro Europa Ricerche) che analizza le dinamiche legate al federalismo fiscale a partire dal 1992.


Eppure nessuno si incazza. 

Dal 1992 al 2012 gli italiani hanno versato 620 miliardi di tasse superiori all’ammontare della spesa dello Stato: 620 miliardi di avanzo primario (o anche saldo primario). L’obiettivo di tanto sadismo? Entrare nei parametri di Maastricht (1992) ed essere dentro l’eurozona. Eppure, nonostante l’immane sforzo, il Debito Pubblico, è passato da 958 a 2 mila miliardi di euro.

Capitolo lungo, ad ogni modo si tratta di una base tra l’1 o al 2% del Pil, più l’effetto moltiplicatore, sottratta alla ricchezza degli italiani.
I 620 miliardi rubati agli italiani sono andati per il 43% all’estero (quasi tutte banche estere), quindi circa 250 miliardi sono espatriati; il 3,7% alla Banca d’Italia; il 26,8% ad istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni) italiane; il 13% (circa 80 miliardi) sono tornati direttamente nella disponibilità di privati cittadini italiani, ovviamente per lo più delle classi medio-alte.


La cronistoria di un’estorsione:
Nel 1992 gli italiani hanno pagato 14,5 miliardi di euro più di quanto lo Stato abbia speso per servizi. C’era il governo Amato, la super-finanziaria, della Dc e del Psi e Tangentopoli, tutte insieme.


Nel 1993, la cifra è salita a 21,5 miliardi, con Ciampi;


Nel 1994, con il primo governo Berlusconi 20,1 miliardi;
 

Quasi 40 miliardi nel 1995 con l’altro tecnico Lamberto Dini;
 

46 miliardi nel 1996 con l’Ulivo di Prodi;
 

Nel 1997: c’era da entrare in Europa coi conti in ordine, e gli italiani pagarono 69 miliardi di euro più di quanto lo Stato avesse loro concesso con i servizi (strade, sanità, scuole, giustizia, ordine pubblico, finanziamenti alle imprese, pensioni…);
 

Nel 1998, arriva da sinistra Massimo D’Alema con 55,6 miliardi a vantaggio dello Stato;
 

Nel 1999 torna Amato e si supera, altri 55 miliardi;
 

Nel 2000, altri 65,5 miliardi che dal settore privato nazionale entrano nelle tasche dello Stato;
 

Nel 2001, l’ultimo anno della lira con il Governo Amato, vede ancora 40 miliardi scomparsi dai portafogli di operai, imprenditori e studenti e finire nelle casse pubbliche;
 

Arriva l’euro: 35 miliardi “del nuovo conio” con il secondo governo Berlusconi nel 2002, 21,4 nel 2003, 16,7 nel 2004, 4,3 nel 2005;


Nel 2006 con il governo di sinistra Prodi: 19,3 miliardi nel 2006, ben 54 nel 2007; 37,7 miliardi 2008, con il terzo governo di Silvio Berlusconi. 

Nel 2009 11,8 miliardi. 

Nel 2010 356 milioni dallo Stato a favore dei cittadini. 

Nel 2011: altri 15,6 miliardi di euro. 44,9 previsti nel 2012.
Con il governo Monti previsti 63,8 nel 2013 e 71,8 nel 2014.
I Numeri dati sono il “Saldo Primario” dello Stato italiano dal 1992 al 2012, e la somma complessiva è di circa 620 miliardi di euro (escluse le previsioni future: si arriverebbe a 750 circa).
I numeri sono una cosa. Le cose tangibili sono un’altra.


Ognuno di noi, anche se non ha reddito, quando compra una cosa o un servizio, versa una parte di somma allo Stato. Raffrontate quello che pagate, sempre e comunque, con l’ospedale vicino che non avete più; con il Tribunale vicino che non avete più e con le tasse giudiziarie duplicate che vi inibiscono di accedere alla giustizia, anche se ingiusta e lontana. Guardate treni e strade e il rispetto che le istituzioni dedicano ai cittadini e poi fatevi una rendicontazione.
Siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardi”, “l’evasione fiscale ci costa 120 miliardi”. Bene. 620 miliardi di euro non vi sembrano un “pizzo”, ossia una estorsione di Stato?


Antonio Giangrande
redazione@approdonews.it

E’ vero dunque, contrariamente a quanto si potrebbe pensare in base a molti dei pregiudizi in circolazione, che l’Italia negli ultimi 20 anni ha gestito in maniera decisamente oculata il saldo tra spese ed entrate. Guardare alla sola differenza tra entrate e uscite, però, vuol dire perdersi una parte importante della storia.  

I Governi che si sono succeduti, infatti, hanno ottenuto una lunga serie di avanzi primari alzando le tasse (entrate) più che riducendo la spesa (uscite); e questo ha depresso la crescita e l’occupazione, già prima che scoppiasse l’ultima recessione globale, facendo comunque salire il rapporto tra debito pubblico e Pil.

Infatti, se invece di badare al solo “livello” del debito pubblico teniamo conto del più importante “rapporto tra debito pubblico e Pil”, c’è pure un’altra variante che entra in gioco: secondo gli economisti, quando il tasso d’interesse reale – da pagare sul debito pregresso – è maggiore del tasso di crescita del pil reale, il debito pubblico tende comunque a lievitare. E considerato che dall’inizio della crisi abbiamo perso oltre 10 punti di Pil, il rapporto tra debito pubblico e Pil non può che continuare a crescere (visto che il denominatore di questo rapporto diventa più piccolo).......


 

 

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