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“Allo Stato conviene tenere gli italiani schiavi della burocrazia”

Un Paese schiavo di una burocrazia asfissiante, che mortifica la vena imprenditoriale dei propri cittadini invece di incoraggiarla.
Un ostacolo puntualmente sottolineato da ogni report, ogni analisi, eppure mai corretto da una classe politica che continua a promettere senza mantenere. Compreso il Movimento Cinque Stelle, arrivato in Parlamento schiumante rabbia contro la casta e presto ridotto a un ruolo di mansueta obbedienza.
Resta, allora, il quesito: perché lo Stato continua a non intervenire con delle riforme che snelliscano iter ormai ingarbugliati come labirinti?
Una domanda alla quale ha risposto, attraverso le pagine del Corriere della Sera, Sabino Cassese, giurista, accademico e giudice emerito della Corte Costituzionale. Chiarendo che gli interventi necessari sono noti a tutti, ma nessuno si prende la briga di trasformarli in legge. E così resiste uno status quo che vede un italiano costretto, per esempio, a 73 adempimenti con 26 enti diversi soltanto per aprire una gelateria. Con un costo di circa 13 mila euro.

Da anni si parla di accelerare i pagamenti delle amministrazioni, ridurre il numero delle stazioni appaltanti, abbreviare i tempi delle valutazioni ambientali e via dicendo. Riforme che, tra l’altro, non avrebbero alcun costo. Eppure restano chiuse nei rispettivi cassetti, ben chiusi.

Nemmeno il governo Conte, che ha fatto della parola “semplificazione” uno slogan, è passato dagli impegni verbali ai fatti.

Il motivo di una latitanza così ostinata delle politica? Innanzitutto, secondo Cassese, “le riforme necessarie non costano, ma non rendono alla politica. Richiedono tempo per essere attuate e producono risultati sul medio-lungo periodo, un arco temporale che va al di là degli obiettivi di qualunque politico di oggi”.

Inoltre coinvolgono il Parlamento, “organo che pensa di risolvere problemi complicati con la bacchetta magica della legge, mentre un migliore rendimento dello Stato è semmai legato a un minore numero di leggi, e a leggi di principio piuttosto che di dettaglio”

“Il terzo punto riguarda il deficit di competenza – insiste Cassese – legato a un carente addestramento della classe politica, ma anche a disattenzione dei grandi centri di rilevazione dei dati.

La disattenzione per il buon funzionamento dello Stato dipende però anche dall’opinione pubblica, distratta dal ‘balletto della politica’ e poco informata dai ‘media’ su ciò che accade e su ciò che non accade nelle stanze del potere burocratico.

Buoni ultimi, sono causa della disattenzione per le riforme che non costano anche coloro che ne beneficerebbero, i burocrati, ogni giorno accusati di impedire la modernizzazione del Paese, ma adagiati nel ‘tran tran’ quotidiano, e quasi afoni, mentre dovrebbero far sentire la loro voce competente sulle grandi questioni quotidiane”.

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