Ogni anno gli alti dirigenti dichiarano di avere raggiunto gli obiettivi, anche se la percezione della loro efficienza è decisamente bassa
Nel nostro Paese opera un esercito ristretto di super-burocrati che detengono un potere immenso nei ministeri, nei comuni, nelle regioni e nella sanità.Una potente armata di 200 mila tra superburocrati e quadri di seconda fila a carico della collettività.
E’ costano tanto, un costo stratosferico: da un minimo di 16 miliardi di euro l’anno fino a una stima di venticinque miliardi di euro.
Guadagnano più dei parlamentari e dei ministri.
Sono loro che gestiscono l’organizzazione tecnico-amministrativa dei Ministeri, si coprono gli errori uno con l’altro, sono legati a una efficace rete di protezione e rimangono ai posti di comando nonostante i cambi di governo. guadagnano più dei parlamentari.
In testa a tutti nella classifica degli stipendi, il direttore generale e il ragioniere generale del Ministero dell’Economia. Entrambi superano quota 500 mila euro all’anno. Il segretario generale del ministero degli Esteri, percepisce, invece, 296 mila euro.
E non finisce qui. Ben diciotto burocrati dello stesso ministero, ricevono una retribuzione superiore ai 250 mila euro. E ancora. Il capo di gabinetto del Ministero dell’Istruzione guadagna 190 mila euro all’anno, il responsabile della segreteria tecnica del ministro 90 mila. Il vice capo di gabinetto 124 mila euro. .
I super-burocrati non indicano mai i parametri di merito e di produttività: ogni anno dichiarano di avere raggiunto gli obiettivi, anche se la percezione della loro efficienza è decisamente bassa.
Dunque, l’Italia è piena di dirigenti, uno status che dura tutta la vita, mentre l’efficienza dell’amministrazione di Stato, Regioni, Province e Comuni resta sotto gli occhi di tutti: uno sfascio totale.
Ciro Crescentini
Coniato nel 18mo secolo, era utilizzato in senso spregiativo per indicare lo scollamento dei funzionari pubblici rispetto ai cittadini.
È inevitabile che le burocrazie pubbliche si siano espanse ed evolute con la nascita dello Stato moderno.
Inizialmente mutuata dall’organizzazione degli eserciti, dallo Stato di diritto ha abbracciato lo Stato sociale e le garanzie dei diritti civili, politici e sociali.
Fino a dare un quadro regolatorio ai servizi garantiti e gestiti dallo Stato.
Usa ed Europa, pur con tradizioni diverse, con l’espansione del welfare si sono dovute incontrare o scontrare con la burocrazia.
Ci sono diverse tradizioni burocratiche: quella napoleonica, scandinava e anglosassone, e diverse forme, da quelle centraliste a quelle federaliste come l’esempio svizzero, dove i cantoni gestiscono tutto a livello locale, e quello francese, che parte dallo Stato.
Nel 1993 Al Gore e Bill Clinton hanno cercato di capovolgere la piramide con il new public management, mettendo il cittadino al centro sul modello manageriale “putting the customer first”.
In Italia l’organizzazione del governo territoriale risale al periodo napoleonico, anche se, secondo gli storici, è la Prussia a dare portato intellettuale alla burocrazia.
Tant’è che Max Weber criticò aspramente la classe dei burocrati lasciata da Bismarck
Il problema italiano è di carattere culturale: c’è stata una sorta di trasposizione dei fini: la burocrazia non serve a risolvere i problemi pubblici ma, con una grandissima autoreferenzialità, si è concentrata soltanto sul mezzo, cioè le leggi, i lacci e i lacciuoli.
Personalmente non ritengo l’ipetrofia italiana sia dovuta a Napoleone o ai piemontesi, ma a una cultura giuridica che ha portato all’esasperazione della norma e il diritto fine a se stesso, dove il cavillo e la forma diventano la sostanza, e anche la tradizione dei rapporti tra Pa, cittadini e imprese ha preso questa piega.
Questo fenomeno ha una spiegazione ben precisa: dalla seconda guerra mondiale, in Italia e in Europa, per evitare forme arbitrarie e controllare meglio il governo e il parlamento si è sostanzialmente burocratizzato tutto.
Dunque l’eccesso di regole per evitare nuovi autoritarismi.
Un regime autoritario ha dei limiti mal definiti perché non c’è la Costituzione, che serve proprio per fare in modo che il governo stia dentro al proprio ambito e che la forza non abbia la supremazia sul diritto.
Dopo la parentesi autoritaria, molto importante nel nostro paese – è durata 20 anni – dove addirittura il diritto non esisteva, è stata ripresa la tradizione del costituzionalismo liberale di Cavour, per fare in modo che lo Stato fosse al servizio del cittadino.
Da qui è fiorita una cultura iper-amministrativa dove si ragiona solo in termini di commi e articoli, perdendo di vista il problem solving, che il mondo anglosassone ha pragmaticamente messo al centro, sull’onda di Reagan negli Usa e della Thathcer in Inghilterra.
Il tutto mentre in Italia la discussione si è fermata alla diatriba tra federalismo e centralismo, invece che al rapporto tra Pa e stakeholders.
L’altra spiegazione dell’ipertrofia è la mancanza di fiducia, tra gli attori del sistema, e allora la Pa si rapporta nei confronti dei cittadini come se fossero dei sudditi o quasi come se dovesse controllare ciò che fanno, il che va bene, ma nei territori dove c’è criminalità organizzata.
La burocrazia è una forma di conservazione del “ceto” dei tecnocrati ?
In Italia non siamo ai livelli dell'Ena francese, non c’è il prestigio dei grand commis di Stato, tanto che da noi lavorare nella Pa è vista come una second best solution a livello dirigenziale.
Non a caso si trovano soltanto certe categorie di professionisti, come gli avvocati e i giuristi.
Il settore pubblico deve produrre beni immateriali e servizi di maggior valore come salute, strade, istruzione e giustizia.
Naturalmente se c'è totale autoreferenzialità, la logica prevalente è quella funzionale all'autoconservazione.
Ovvero un modello organizzativo chiuso, concentrato sui mezzi per ottenere il fine dell’autoconservazione, refrattario ai cambiamenti della società.
Quanto influenza la politica questo modello?
Purtroppo in italia si addita sempre la politica come la responsabile di tutti i mali, ma se guardiamo gli ultimi cent’anni di storia italiana, il problema non è non è la politizzazione della burocrazia, ma la burocratizzazione della politica.
I francesi dicono “i ministri passano i funzionari restano”, è la gabbia d’acciaio di cui parla Weber.
Un esempio? In Lombardia l’autostrada Pedemontana è stata progettata nel 1963. apertura primo tratto ottobre 2018
L’orizzonte elettorale dei politici è troppo limitato temporalmente, perciò l’identificazione di un problema può essere fatta da un politico, ma la decisione, valutazione e messa in opera, cioè tutta la fase dell'implementazione, sfugge al politico ed è tutta in mano agli apparati amministrativi.
Il potere vero è policy, non politics. Per questo è necessarie una maggiore cultura e formazione nella gestione delle organizzazioni complesse come le pubbliche amministrazioni.
Oggi la struttura dello Stato è antieconomica ma irriformabile.
Ci sono delle tendenze di lungo periodo, la legge di Parkinson insegna che le burocrazie tendono a crescere in maniera costante e che i burocrati hanno un interesse privato a incrementare il loro potere, ma se prima un’economia in espansione poteva in qualche misura assorbire gli sprechi, oggi non è più così.
Allora perché è difficile fermare lo sviluppo delle burocrazie?
Perché manca una misurazione del risultato: la Pa non dispone di basi di dati empirici per valutare gli effetti delle decisioni, tant’è che il dibattito politico italiano ha un tasso di colesterolo ideologico altissimo.
In altre parole, è pressoché impossibile effettuare un’analisi dei costi e dei benefici.
Una situazione alla base della mancanza di pressioni competitive per raggiungere i risultati: se manca il benchmark come è possibile una valutazione di lungo periodo?
In un Paese che non ha soldi, che leve sono rimaste per riformare il sistema?
Dal punto di vista delle istituzioni, ripensare la preparazione delle classi dirigenti, puntando non più sulla cultura del diritto ma sul management. Paradossalmente al settore pubblico andrebbero più risorse, ma legate al risultato.
Al contrario, da noi la Pa è un parcheggio a bassa produttività.
di Antonio Vanuzzo
Commenti
Posta un commento