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ART. 123 TUE: ROMPERE IL CAPPIO DEL DEBITO E DELL’INGANNO


Quanto segue si basa su dati da tempo noti, circolanti e non controversi, anche da me riportati negli ultimi saggi.

Dati giuridici, quali l’art. 123 TUE che consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la BCE ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,00%; lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno, ma non se ne parla nemmeno: combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica. 

 Dati economico-finanziari, come il fatto che, a far impennare i tassi di interesse, il deficit, l’indebitamento pubblico, e a scatenare il declassamento, è stata la scelta, fatta nel 1981, di rinunciare alla banca centrale nazionale che garantiva l’acquisto per mandare lo Stato a finanziarsi sui mercati finanziari speculativi sovrannazionali.

Prima, il debito pubblico era sotto controllo.

Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e assets, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale.

L’Italia soprattutto ha un forte, fortissimo avanzo primario, maggiore di ogni altro paese comunitario, e il suo deficit, che capitalizzandosi nel corso degli anni ha prodotto il debito pubblico attualmente di circa 2.100 miliardi, è prodotto dagli interessi passivi sul debito pubblico.

Ma gli alti tassi, rectius rendimenti, sono oggettivamente ingiustificati (dato l’avanzo primario del Paese), e vanno intesi come artefatti strumentali a “mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi.
Travaso che avviene anche col fatto che la BCE ha prestato migliaia di miliardi allo 0,25% e meno alle banche europee, che poi li hanno usati per comprare btp che rendono loro (e costano agli italiani) oltre il 4%.

Mentre lo Stato potrebbe finanziarsi direttamente allo 0,00% dalle BCE attraverso lapredetta banca statale.
Ma i governi non lo fanno perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso.

Ad ogni modo, l’operazione del 1981 – il c.d. Divorzio di Bankitalia dal Tesoro e la soppressione dell’autodeterminazione monetaria assieme a Maastricht, all’Euro, al Fiscal Compact, come una tappa fondamentale non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento, ma altresì per la sottomissione politica dell’Italia al potere e all’interesse finanziario.


E’ il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi.
La proposta degli autori del seguente articolo, cioè risolvere il problema del deficit e del finanziamento pubblico ricorrendo a una banca pubblica operante secondo l’art. 123 TUE – è  in se stessa perfettamente logica e dovrebbe essere attuata, pur tuttavia non mi sembra realizzabile proprio perché essa va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee.
20.02.14 Marco Della Luna

Il debito pubblico è un problema di interessi, non di deficit eccessivi e si può risolvere. 

Possiamo far ripartire l’economia risparmiando fino a 70 miliardi di euro l’anno.
La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi.
Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,00% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%.
Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare.
Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la BCE.

L’immagine che ognuno di noi ha dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni spendono di più di quello che incassano per cui l’accumulo dei deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo necessaria l’austerità.
In realtà, la causa dell’elevato debito pubblico, attualmente di 2.100 miliardi, sta nel fatto che negli ultimi trenta anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di interessi.
La soluzione del problema è quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in Italia fino al 1981.
Aggiungiamo che in termini di costo annuale lo Stato italiano ha pagato in media il 3% circa in più dell’inflazione (ad esempio adesso il BTP a 10 anni paga un 3,7% e l’inflazione in Italia è dello 0,6% e questo “spread” costituisce una rendita finanziaria permanente).

Il problema del debito pubblico non è, quindi, un problema di deficit eccessivi, ma di interessi eccessivi: ce lo dicono i dati.
Basta notare che dal 1992-1993 le spese delle Stato in Italia sono sempre inferiori alle entrate e addirittura, se guardiamo alla situazione attuale nel mondo, l’Italia è oggi il paese in cui lo Stato ha il surplus di bilancio più alto!
Se guardiamo i numeri vediamo che il debito pubblico italiano è esploso di colpo tra il 1982 al 1993, quando la spesa per interessi passò da 35 a 156 miliardi (traslando le lire di allora in euro di oggi).

Si può quindi sostenere che, a parità (presumibilmente) di sprechi e corruzione, il debito pubblico è raddoppiato in percentuale del PIL a causa della spesa per interessi.

I deficit annui (differenza tra spese ed entrate) hanno oscillato intorno ad una media di 40 miliardi annui e in percentuale del PIL hanno oscillato dal 3% al 7%, ma la spesa per interessi è raddoppiata in quattro anni, dai 35 miliardi del 1980 ai 69,8 miliardi del 1984 e di nuovo è raddoppiata a 142 miliardi nel 1991 per toccare un picco a 157 miliardi nel 1992.
Dal 1992 lo Stato italiano ha applicato politiche di austerità, cioè di aumento delle tasse, aumentando le sue entrate in modo da avere sempre un avanzo di bilancio (differenza tra spese ed entrate prima degli interessi)
Nonostante più di venti anni di politiche di austerità, cioè di imposizione fiscale crescente iniziate con i governi Ciampi e Dini nei primi anni ’90, lo Stato non è poi più riuscito a ridurre il debito pubblico a causa della “rincorsa” degli interessi che si cumulavano.

La ragione di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto l’obbligo della Banca d’Italia di comprare debito pubblico calmierandone gli interessi (e dal 1989 si è vietato formalmente, nel Trattato di Maastricht ogni finanziamento dello Stato da parte della sua Banca Centrale).
La “Troika” (UE, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario) e i governi Monti, Letta , Renzi, ora Conte ,non menzionano mai, però, questo semplice fatto, che il debito pubblico si è cumulato a causa del fatto che lo stato è Stato costretto a finanziarsi sul mercato e quindi pagare interessi reali elevati, mentre prima usufruiva del finanziamento di Banca d’Italia che ne riduceva il costo ad un livello pari o inferiori all’inflazione e quindi il debito non si accumulava (in percentuale sul PIL).

In aggiunta, come molti sanno, con l’euro circa metà dei BTP sono stati comprati da investitori esteri per cui almeno metà degli interessi pagati sono usciti dalla nostra economia (a differenza di quanto avveniva fino a metà anni ’90).
Detto in parole semplici, lo Stato italiano è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di interessi dettati dalle banche estere (diciamo dal mercato finanziario estero), quando invece avrebbe potuto continuare a farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia.

Se quindi eliminiamo questo laccio finanziario che costringe all’austerità permanente, l’Italia potrebbe ridurre le tasse in modo sostanziale e tornare ad essere un paese con un economia paragonabile agli altri paesi europei e non un caso quasi disperato di depressione economica come accade ora. 
di Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni



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