LE “AREE INTERNE” CONDANNATE A UNA MORTE LENTA NONOSTANTE SIANO ABITATE DA 13 MILIONI DI CITTADINI
Forse la miseria sta nel paradosso: avere ben tre portaerei (Garibaldi, Cavour, Trieste) e centomila chilometri di strade scassate, mal rattoppate, piene di buche.
Da una parte le follie, le barzellette. Esempio: 700 miliardi in un solo anno per il delirante riarmo europeo. Oppure il faraonico, grottesco Ponte sullo Stretto. O ancora, la demenziale linea Tav Torino-Lione, disperatamente inutile, figlia anch'essa di una politica obsoleta e cialtrona. E dall'altra ecco la desolazione, lo sfacelo: la scuola in frantumi, il trasporto locale da terzo mondo, la sanità pubblica in stato di coma.
L'Italia precarizzata torna a essere quella di Metternich, un'espressione geografica. I suoi ministri non contano niente. La first lady a capo del governo? A volte sembra una valletta agli ordini di chiunque, pronta a genuflettersi. E così, senza dire niente a nessuno, proprio quest'Italia inguardabile ne ha combinata un'altra delle sue: ha deciso di condannare all'estinzione le cosiddette Aree Interne, quelle più periferiche. Attenzione: si tratta di quasi 4.000 Comuni, abitati da 13 milioni di cittadini. In pratica, un italiano su cinque. A cui ora arriva il seguente messaggio: lasciate ogni speranza, i vostri territori moriranno.
Li aveva censiti nel 2013 Fabrizio Barca, ministro dell'orrendo governo Monti. Anche un orologio rotto, comunque, segna l'ora esatta due volte al giorno. E infatti l'intenzione di Barca era nobile: linee-guida per accorciare le distanze fra centro e periferie. Si diventa Area Interna se i collegamenti stradali sono pessimi, se non c'è ferrovia, se non sono presenti né scuole di livello né ospedali ben attrezzati. A quanto pare, quasi un quarto del Belpaese versa in queste condizioni. La notizia? Dopo 12 anni, la repubblica ha gettato la spugna: ha deciso che potrà solo accompagnarli alla morte, i distretti periferici.
È tutto scritto nel Psnai, nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, approvato in silenzio qualche mese fa. A pagina 45 del documento si trova l'Obiettivo 4, “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. Testualmente: «Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza». Devono solo sperare in «un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento». Cronicizzato declino: morte lenta. Un cambio di paradigma devastante: si rinuncia all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento.
In pratica, il governo del riarmo si appresta a staccare la spina da tantissimi luoghi italiani, spesso famosi e amati in tutto il mondo. Il Gran Sasso, la Sila, l'alta Irpinia, il Cilento interno, il Vallo di Diano. E così l'Appennino emiliano, il basso Ferrarese, i colli di Parma e Piacenza. Una Penisola più povera, con gravi amputazioni anche in Toscana: Garfagnana, Mugello, Valdarno e Valdisieve, foreste del Casentino e alta valle del Tevere. Idem in Lazio: addio all'Alta Tuscia, ai Simbruini, ai Monti Reatini.
I tagli sono geograficamente impressionanti. Il Piemonte abbandonerebbe al loro destino tante splendide vallate: Bormida, Ossola, Lanzo, Maira e Grana. Addio anche alla bassa Valle d'Aosta e alla zona del Gran Paradiso. Stessa musica in Lombardia: nessuna speranza per la Valchiavenna, l'Appennino lombardo e il rinomato Oltrepò Pavese; stessa sorte per Alta Valtellina, Alto Lago di Como e Valli del Lario. Stiamo parlando di zone a due passi da centri dotati di fortissima capacità attrattiva, noti e apprezzati dal turismo internazionale.
Stessa musica per il Triveneto: addio al Delta del Po e all'Agordino, alla Val di Sole in Trentino, all'Alta Carnia, alle Dolomiti Friulane. Da est a ovest la canzone è la stessa, visto che sparirebbe nel nulla la Liguria più selvaggia e incontaminata: Valle Arroscia, Beigua, Val di Vara, Tigullio. Le Marche si preparano a veder morire l'Appennino di Pesaro e Ancona, il Piceno, l'Alto Maceratese. L'Umbria si rassegna a salutare il suo nord-est, la Valnerina, l'area a sud-ovest di Orvieto. Più a Sud, il Molise vedrà sparire il Sannio, il Fortore, il Matese.
Disastro anche in Puglia: soccomberanno i monti della Daunia, l'alta Murgia, addirittura il Gargano e il Salento meridionale, veri e propri santuari turistici. Follia? La falce delle Aree Interne si appresta a mietere depressione anche in Sardegna (Alta Marmilla, Gennargentu-Mandrolisai) e in Sicilia, colpendo aree come la valle del Simeto e le montagne isolane, dai Nebrodi alle Madonie. Su tutte queste aree incombe il silenzio: la desertificazione, l'abbandono definitivo.
In ballo c'è la vita quotidiana del 23% della popolazione italiana, distribuita su quasi il 60% del territorio nazionale. «In pratica, è l’Italia profonda», scrive l'avvocato Claudia Da Col: «È l'Italia che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale. Non si costruiranno più servizi, in quei luoghi. Si pianificherà una dignitosa decadenza: un “welfare del tramonto” che fornisca badanti e medicine, ma non opportunità né speranza».
Bello, no? Questo è il paese che alza la voce con la Russia e bela di fronte al primo padrone che passa, europeo o americano. Beninteso: da decenni è un paese bipartisan, nel quale destra e sinistra hanno solo finto di combattersi. In realtà hanno obbedito alla medesima agenda neoliberista: tagli al welfare, privatizzazioni, iper-tassazione indotta dal regime eurocratico. Politica data in appalto ai grandi centri di potere, che usano la finanza come leva minacciosa e zootecnica.
La morte annunciata dell'Italia più integra è una macchia gigantesca sul curriculum dei nostri sovranisti all'amatriciana, dalla Meloni a Salvini. Non che gli attuali governanti siano peggio della concorrenza (che infatti per salvare l'umanità accorre a Budapest, animando le marce arcobaleno del popolo Lgbt); solo, la rinuncia al salvataggio della grande provincia italiana – vero cuore profondo del paese – rende ancora più ridicola la vuota retorica patriottica degli ex missini e dei leghisti.
Il degrado e il declino hanno tanti padri: la colpa è di tutti. Semmai, è triste che i politici di oggi non superino l'analfabetismo funzionale: non hanno idee, non hanno più ideologie, non hanno uno straccio di progetto per il futuro. Sono anche senza soldi, non dispongono delle risorse necessarie per salvare i territori periferici. La coperta si è fatta sempre più corta, visto che nessuno osa ricorrere alla sovranità positiva di un'eventuale moneta parallela. Quindi, si taglia. E ora si tagliano intere fette di Italia, senza anestesia. Però si gettano miliardi in carri armati e missili, ponti iperbolici sul mare, inutili ferrovie transalpine.
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