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L’essenza dell’essere umano


L’essenza dell’essere umano è un “io” all’interno di un “noi”. Al di fuori di questa consapevolezza, che è l’unica base per un vivere sociale, anzi, tout court, per poter “vivere”, ci sono soltanto abbrutimento e cattiveria. La croce uncinata, che nel secolo scorso ha rappresentato il punto di arrivo della cattiveria umana, si è basata sulla scissione dell’“io” di un popolo dal “noi” collettivo, in questo caso inteso come umanità. E oggi è ancora così, per questo guerre, violenze e miseria imperversano ovunque. Più in generale, l’ego individualista umano è ciò che, a livello di specie, sta distruggendo la natura, cioè la nostra casa, cioè noi stessi.


Tutti gli esseri umani, più o meno consapevolmente e più o meno credendoci, ricercano la felicità, che non ha nulla in comune con la nostra era neoliberista e suicidiaria, in cui la presenza umana sul pianeta è diventata il pericolo numero uno per il proseguimento della vita. La felicità non sta nelle bassezze umane, ma nel massimo splendore di quella saggezza e di quell’amore che ci rendono divini. Quando guardiamo le nostre bassezze, non dovremmo mai dimenticare la bontà, la bellezza, l’estro, i talenti, le emozioni positive, amorevoli, solidali e ogni altro splendore che ci rendono pienamente umani; al contempo, quando guardiamo i massimi livelli raggiunti dall’individuo e dalla società umana, dalla filosofia e dalla spiritualità, dalle arti e dalle scienze, non dovremmo dimenticarne le bassezze.

La felicità è esser parte di una comunità basata sull’amore e su tutte le qualità dell’essere che ne conseguono (fratellanza, sorellanza, amicizia, gratitudine, rispetto, onestà, solidarietà, dedizione al bene comune, gioia per la diversità, ecc.). La prima comunità è la famiglia. La felicità è uno stato animico di amore radiante e di unione con l’essere animico degli altri viventi. Al di fuori dell’appartenenza ad una comunità, ovvero quando l’“io” non ha un “noi”, non può esserci felicità... anzi, a ben vedere, non può esserci neanche vita.

La ricerca della felicità individuale, ovvero separata dagli altri, nel senso di “a prescindere dagli altri”, pur per quanto attraente ed enfatizzata dal separatismo competitivo criminale neoliberista, è un non senso. Al massimo potrebbe essere un edonismo implosivo, nichilista, logorante, destinato al nulla. Stesso discorso per la ricerca di una felicità a prescindere dalle questioni ambientali o dalle contaminazioni neoliberiste di noi stessi e dei rapporti interpersonali: ovunque ci sia la ricerca del piacer proprio trascurando tutto il resto, c’è solo aberrazione della nostra natura.

Nell’era dei like, della patologia dei social, sovente le persone mettono in mostra il peggio di sé, della propria solitudine, del proprio narcisismo delirante. E mentre ciò avviene, altri si disperano e si rivoltano perché non hanno neppure l’acqua. Il bisogno di apparire, di avere “successo” con tanti like, followers e numeri affini, a me pare come un mascheramento del bisogno primario di amore, di nutrimento affettivo, di contatto, di comunità: molte persone vivono l’amore come “condizionato”, ovvero si sentono “degne di amore” e “capaci di poter amare” se si sentono in forma, se sono attraenti e se hanno una buona o ottima performance, caratteristiche queste che, nei social, si traducono nei like e nei contatori di visualizzazioni (*). O almeno questa è la mia impressione, visti anche i casi recenti di suicidi di giovani ragazze a causa della “mancanza di like” sui social (semplificando, ovviamente la causa primaria di tali gravi depressioni è altrove).

Queste condizioni di amabilità, che sono tipiche soprattutto delle subpersonalità psicosomatiche (approfondimento), sono un auto-inganno: l’amore, se è tale, non è condizionato e il nutrimento affettivo non può essere tecnomediato. Esistono altre condizioni di amabilità, in sintesi riconducibili ad una logica do ut des, e pure esse sono un inganno. La nostra essenza è un’altra. Cerchiamo la nostra comunità di appartenenza mentre cerchiamo di divenire individui, ma tale comunità, all’interno della società liquida di Bauman, non c’è più... e i social non ne sono neanche il riflesso.

Francesco Galgani, 29 ottobre 2019

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