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Quanto costa la corruzione (almeno 237 miliardi/anno)

 di Dario Immordino

La corruzione costa all’economia italiana almeno 237 miliardi l’anno. E la situazione potrebbe aggravarsi a causa di deroghe alle regole standard dovute alla necessità di accelerare procedimenti e acquisti pubblici. Come intervenire per invertire la rotta.


Le conseguenze della corruzione

La corruzione costa all’economia dei paesi europei oltre 900 miliardi di euro l’anno e a quella italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13 per cento del Pil, secondo una recente ricerca internazionale (del centro Rand). È una zavorra che rischia di vanificare l’effetto delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Al di là della stima precisa dei danni al sistema economico, sembra molto concreto il rischio che il dilagare della corruzione possa erodere la capacità di spesa delle risorse del Piano e rendere i quadri economico-finanziari non più sostenibili, facendo lievitare il prezzo di appalti, servizi e prestazioni, e dilatare la durata delle procedure burocratiche e delle gare, le progettazioni, l’esecuzione delle opere, le liquidazioni. Tutto ciò comporterebbe conseguenze molto gravi: gare deserte, necessità di complesse procedure di adeguamento dei parametri economici e difficili trattative per incrementare il budget finanziario, fino alla sospensione dei pagamenti da parte dell’Europa e all’obbligo di restituzione di quanto già incassato.

Gli effetti della corruzione sono difficili da quantificare con precisione, ma l’impatto negativo del fenomeno sui sistemi economici risulta ormai ampiamente comprovato: secondo i dati della Banca Mondiale (indici 2017), il reddito medio nei paesi con un alto livello di corruzione è di circa un terzo inferiore a quello dei paesi con un basso livello. Mentre una ricerca dell’Istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l’afflusso di capitali stranieri e incide negativamente sull’occupazione spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta. Al contrario, la riduzione del livello di corruzione favorisce l’avvio di nuove imprese, il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche, incide positivamente sull’occupazione giovanile.

L’esperienza empirica, il rapporto Doing Business della Banca mondiale e quelli del Gruppo europeo contro la corruzione dimostrano, infatti, che l’inefficienza amministrativa e la corruzione allontanano gli investimenti più degli elevati livelli di tassazione e degli altri fattori di natura economica, ostacolano la realizzazione di insediamenti produttivi e infrastrutture, inquinano l’utilizzo delle risorse pubbliche, alimentano la criminalità e l’evasione fiscale, favoriscono la proliferazione di fenomeni di malaffare, minano la competitività delle imprese, falsano la concorrenza, ostacolano la meritocrazia, moltiplicano il contenzioso, falcidiano le entrate tributarie, fanno lievitare i costi di servizi e opere pubbliche, riducono l’efficienza dei servizi pubblici e privano i cittadini di prestazioni essenziali.

Tutto ciò attiva un circolo vizioso che zavorra i processi di sviluppo e deprime l’ambiente economico: meno investimenti, riduzione dell’occupazione, dei redditi, dei consumi, meno entrate fiscali, servizi e prestazioni pubbliche, lievitazione dei costi burocratici e degli oneri relativi alla frequente soccombenza dell’amministrazione nei contenziosi contro cittadini e imprese. Più spese, meno entrate e risorse pubbliche per soddisfare i diritti dei cittadini.

I dati ufficiali sugli episodi di corruzione scoperti e sanzionati da inquirenti e autorità giudiziarie, peraltro, non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno, che resta in larga misura sommerso.

Una legge applicata male

La situazione è stata affrontata attraverso diverse riforme dell’attività amministrativa e dell’organizzazione burocratica che hanno introdotto controlli sull’esercizio dei poteri pubblici e strumenti meritocratici in forma di incentivi ai dipendenti virtuosi e sanzioni a quelli inefficienti, nonché mediante l’irrigidimento delle norme sulla responsabilità (penale, disciplinare, amministrativo-contabile, civile) dei funzionari pubblici e l’inasprimento delle sanzioni.

Le norme penali sono molto severe, ma si sono dimostrate inadeguate a contrastare il dilagare della corruzione a causa del ridotto numero di denunce, della difficoltà di scoprire e sanzionare i casi di corruzione e di accertare il passaggio di denaro o il conseguimento di altri vantaggi, dei tempi lunghi delle indagini e dei processi, che peraltro spesso si interrompono a causa della prescrizione.

Per ovviare a queste criticità, la legge anticorruzione del 2012 ha affiancato alla fattispecie di reato penale una nuova nozione di corruzione a fini amministrativi, che comprende ogni caso di cattiva gestione della cosa pubblica, e ha imposto a tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche di perseguire come eventi corruttivi i casi di mala-burocrazia e violazione di norme, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali, e di adottare un piano anticorruzione per prevenire e contrastare il fenomeno: rotazione del personale, regole stringenti sul conflitto di interessi, codici di comportamento, tutela di chi segnala episodi corruttivi, incompatibilità specifiche per alcuni incarichi dirigenziali, obblighi di trasparenza per gli atti pubblici e i dati su dipendenti, dirigenti ed amministratori, adozione di meccanismi di prevenzione del rischio di corruzione, informatizzazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, accesso generalizzato agli atti pubblici, misure di semplificazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, controlli efficienti.

La nuova disciplina, quindi, consente di anticipare e rendere più efficace il contrasto alla corruzione, dal momento che per adottare le relative sanzioni non è necessario dimostrare passaggi di denaro o altre utilità o attendere gli esiti dei processi penali.

Tuttavia, le relazioni dell’Anac e della Corte dei conti rivelano che le amministrazioni e le società pubbliche hanno applicate le nuove regole solo formalmente.

Il campionario delle elusioni è vasto: piani anticorruzione fotocopia, sostanziale inattuazione delle misure precauzionali imposte dalla legge e delle regole di semplificazione e trasparenza, controlli inefficaci, scarsa responsabilizzazione del personale, assenza di coordinamento tra il piano anticorruzione e quello della performance, scarso coinvolgimento di dirigenti e vertici politici. Le sanzioni, inoltre, sono soltanto virtuali, poiché l’Anac non ha la struttura adeguata per verificare l’attività di venti regioni, oltre 7.900 comuni e decine di migliaia di altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche, e per verificare la legittimità di un’infinita mole di atti.

I pericoli del regime speciale

La situazione, già allarmante, potrebbe notevolmente aggravarsi a causa dell’esigenza di accelerare procedimenti e acquisti pubblici attraverso deroghe alle regole standard, riduzione e semplificazione dei controlli. Basti pensare al regime speciale per l’affidamento degli appalti pubblici, che estende l’applicazione delle procedure di urgenza per l’affidamento e la consegna dei lavori, amplia la possibilità di aggiudicare gli appalti senza gara, “taglia” numerosi adempimenti e controlli previsti dal codice dei contratti, consente di procedere all’aggiudicazione delle gare e all’esecuzione dei lavori in deroga a ogni disposizione di legge (escluse le norme penali, la normativa antimafia e le regole europee), accentra in capo ai commissari pressoché tutti i poteri di aggiudicazione ed esecuzione delle opere di particolare rilievo. Queste norme, peraltro, vengono abbinate alle disposizioni che rendono non punibili gli sprechi di risorse pubbliche causati da grave negligenza, superficialità, mancanza del livello minimo di prudenza di dipendenti e amministratori pubblici, depotenziano il reato di abuso di ufficio e introducono limiti all’annullamento dei contratti dichiarati illegittimi dai giudici amministrativi.

Il regime speciale comporta un rischio concreto di proliferazione degli episodi di corruzione, degli sprechi e delle irregolarità negli acquisti pubblici.

Per invertire la rotta è indispensabile garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza, che facilitano i controlli, inserire l’adempimento delle misure anticorruzione tra gli indicatori di performance dei dipendenti pubblici che condizionano percorsi di carriera e retribuzione accessoria, prevedere controlli efficienti sulla qualità dei piani anticorruzione e sulla corretta attuazione delle misure previste, coinvolgere concretamente dirigenti e vertici politici nell’attuazione dei piani e renderne effettiva la responsabilità, rendere efficienti i procedimenti disciplinari, compensare le deroghe con controlli efficienti.

La soglia di adempimento alle regole anticorruzione potrebbe essere considerata come requisito per l’attribuzione di finanziamenti a società pubbliche ed enti locali, in modo da premiare le amministrazioni virtuose e sanzionare quelle inefficienti.

(fonte: La voce.info)

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