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La parabola del cotechino

16 Aprile 2013

Mauro Bonaretti*

Un Mauro Bonaretti molto arrabbiato dietro a questa metafora cruda che, se ci strappa un sorriso per l’ambientazione dal salumiere, ci fa amaramente riflettere sul crescente iato tra legislatori e regolatori rispetto al Paese reale. Difficile non condividere la sua indignazione che faccio mia, pur nella ragionevole speranza che le tante e eccellenti professionalità che vivono e lavorano nelle nostre amministrazioni sapranno trovare, attraverso un coinvolgimento e un’alleanza virtuosa con imprese, cittadini, terzo settore e con la stessa politica (che altro non è che la funzione di rappresentanza di questi portatori di interessi), una sintesi tra l’attenzione alla legalità e il ritorno a una realtà fatta di bisogni concreti da soddisfare e di cose da fare tutti i giorni. Insieme.

(Carlo Mochi Sismondi)

 Non si è mai visto curare la colesterolemia col cotechino. E invece la ricetta italiana per la nostra pubblica amministrazione è esattamente questa: un conclamato eccesso di lipidi (burocratici) che intasano le vie di scorrimento dei processi amministrativi viene affrontato attraverso la messa in circolo di ulteriori lipidi (burocratici). Così, la nostra amministrazione bulimica, mentre prende in erboristeria una pastiglia per la semplificazione, contemporaneamente si spara in vena compulsivamente siringhe di adempimenti sulla trasparenza, sull’anti corruzione, sulla pianificazione e controllo, aggravando ulteriormente la sua precaria salute.

Mentre, fuori dai palazzi, il Paese brucia, dentro i palazzi ci si occupa del nulla. Si perde tempo con centinaia di adempimenti confusi, rituali, ossessivi, tesi a rendere conto di un numero imprecisato di richieste del legislatore, definite in modo frammentario e destinate a una pluralità di organi di controllo che saranno a loro volta sommersi da una marea di adempimenti e che inevitabilmente produrranno sanzioni e contenzioso con un ulteriore aggravio dell’attività amministrativa non destinata a creare valore pubblico. Il livello delle attività interne (e dei costi) privi di incidenza nella catena del valore sta diventando impressionante.

Non è certo questo il modo per migliorare il livello di fiducia tra istituzioni e cittadini, prerequisito per ogni adulta relazione di accountability o trustability.

Si è chiamati a rendere conto di tutto e nel frattempo peggiorano i risultati: il Pil continua a perdere punti a ritmi impressionanti, il sistema produttivo si è ridotto di un quarto, la disoccupazione giovanile supera il 37%, la fiducia tra le persone è inferiore di dieci punti alla media OCSE, l’investimento in cultura (nel Paese che nella cultura dovrebbe avere il suo asset fondamentale) è il più basso d’Europa, l’investimento in istruzione il penultimo d’Europa dopo la Grecia, il calo dei redditi incide sulla fruizione dei servizi culturali ed educativi aprendo voragini sociali in termini di disuguaglianza (dati Istat), tutti gli indicatori di efficacia delle politiche pubbliche sono in peggioramento (dati Worldbank). Le analisi sulla cattiva qualità delle nostre politiche pubbliche convergono e sottolineano gli stessi argomenti.

Anziché occuparci di questo disastro amministrativo e di mettere in condizioni le amministrazioni pubbliche di fare da argine a questioni gravissime, non troviamo di meglio che appesantire l’azione amministrativa chiedendo di produrre altre vagonate di adempimenti e controlli. E’ impressionante la confusione che viene fatta tra mezzi e fini: tra trasparenza e piani sulla trasparenza, performances e adempimenti per i piani sulle performance, lotta alla corruzione e adempimenti per redigere piani anti corruzione. Stiamo scrivendo piani su piani per costruire un grattacielo di carta.

L’osservazione del Presidente della Repubblica sui rischi del fanatismo moralizzatore distruttivo non si adattano solamente alla vita parlamentare, ma anche a quella amministrativa: come in Parlamento si discute del costo del caffè alla bouvette o delle retribuzioni dei barbieri della Camera mentre il Paese è in fiamme, altrettanto sta accadendo nella vita amministrativa delle pubbliche amministrazioni. L’esigenza di dare risposte mediatiche e simboliche (si pensi solo al vezzo della titolazione apodittica delle leggi) prevale rispetto alla concreta volontà di risolvere i problemi reali che sono sotto gli occhi di tutti.

E poiché chi ha in mano il pallino della situazione non sa offrire altre risposte se non quella normativa, ci troviamo ad affrontare una straordinaria stagione dell’inutilità e dell’ipertrofia normativa, molto costosa in termini di assorbimento di attenzioni e risorse e certamente inefficace dal punto di vista dell’impatto, (sfiorando poi il ridicolo in alcuni casi, come quello dell’abolizione delle province privo di qualsiasi analisi di fattibilità e di deployment per l’implementazione). D’altro canto cosa ci si può aspettare? E’ davvero come affidare il ruolo di dietologo di un ospedale al nostro salumiere di fiducia: per curare la colesterolemia ben che vada proporrà un vasetto di ricotta, mal che vada (come accade ora) un bel cotechino. Molto difficilmente il salumiere proporrà una dieta a base di betaglucani e steroli vegetali.

Eppure, imperterriti, noi continuiamo a subire le diete degli stessi salumieri. Salvo poi accorgerci, quando è troppo tardi, che quei salumieri sono vegani: loro infatti in un’amministrazione di servizio, con dei cittadini in carne ed ossa davanti, non hanno mai messo piede… 

 

* Mauro Bonaretti è Direttore Generale – Comune di Reggio Emilia e Presidente ANDIGEL



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