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I giudici cominciano (finalmente) ad emettere sentenze a favore dei lavoratori sospesi

I giudici cominciano, finalmente, ad emettere sentenze a favore dei lavoratori sospesi

Con una importante sentenza emessa dal Giudice del lavoro di Ivrea viene stabilito che, all’infermiera sospesa per le ragioni che qui di seguito verranno riportate, l’ASL piemontese competente è stata condannata ad erogare le retribuzioni mancate e le spese legali.

La ricorrente si era presentata al centro vaccinale con i propri avvocati e, pur essendo disposta ad adempiere all’obbligo vaccinale, si rifiutava di firmare il consenso informato in quanto,lo stesso, non prevedeva espressamente che, nel caso di eventi avversi, eziologicamente correlati al vaccino, il risarcimento doveva essere automatico.       


                                                                                                         Per tale ragione il medico vaccinatore si rifiutava di inoculare il vaccino e la stessa veniva sospesa dal lavoro a partire dal 4 settembre.

A seguito di ricorso depositato dai legali dalla stessa, il Giudice del lavoro, in data 15 marzo 2022, emetteva la sentenza sopra menzionata sancendo che l’ASL doveva demansionare l’infermiera, ma non doveva sospenderla senza stipendio. Il giudice condannava quindi l’ASL a risarcire l’infermiera dalla data di sospensione fino alla data ufficiale di ripresa del lavoro.

Come più volte sostenuto dallo scrivente legale, finalmente, la sentenza in oggetto applica in modo corretto i principi sanciti dalla Costituzione nonché dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Il lavoro è una condizione necessaria per poter condurre una vita dignitosa e deve essere quindi tutelato in ugual modo al diritto alla salute. Nella decisione in oggetto è stato giustamente sancito che non esiste un diritto costituzionalmente tutelato “superiore” rispetto ad un altro. Proprio sul presupposto che a livello europeo non esiste un obbligo vaccinale appare quindi evidente come, ai lavoratori sia pubblici che privati durante tutta la pandemia, doveva essere garantito l’accesso al posto di lavoro utilizzando anche il green pass base.

La sentenza in oggetto, inoltre, evidenza un ulteriore rilevante elemento giuridico relativo al consenso informato.                                                                                                                                                                                    Poiché l’immissione in commercio dei vaccini contro il covid è disciplinata dal Regolamento CE N. 507/2006 che prevede appunto l’immissione condizionata sul mercato dei farmaci (farmaci sperimentali che si trovano ancora in una fase di studio preclinico) è del tutto evidente come, il consenso informato sottoscritto da tutte le persone che si sono sottoposte al vaccino anti covid, debba considerarsi giuridicamente nullo. 

Tale nullità deriva dal fatto che, poiché il vaccino in questione rientra tra i farmaci sperimentali, l’inoculazione dello stesso doveva essere fatta su base volontaria e, in ogni caso, a tutte le persone che venivano sottoposte al vaccino doveva essere espressamente comunicato il fatto che, non vi fossero ancora studi clinici sufficienti idonei a dimostrare quali sarebbero stati a lunga distanza gli effetti collaterali del vaccino. Solo in tal modo sarebbero stati rispettati i requisiti previsti per la validità del consenso informato relativamente ai farmaci sperimentali.

AVV. ERIKA SOTTOCASA

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