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Guerra e Costituzione

Articolo, 25/02/2019

1. Dal ripudio della guerra alle “missioni di pace”

L’esame del testo dell’art. 11 della Costituzione1 conduce a due ordini di considerazioni diametralmente opposte. Se è vero, infatti, che questa norma raccoglie in sé quella che può ritenersi l’essenza di uno stato costituzionale, ovvero il ripudio della guerra, d’altro canto non sembra potersi dire che è a tale principio che, oggi, il nostro paese si ispira nelle dinamiche dei conflitti internazionali che sono divenuti sempre più frequenti.

Più in dettaglio, e ponendo attenzione anche alle altre clausole dell’articolo, la formula secondo la quale l’Italia, in condizioni di parità con gli altri stati, può consentire delle limitazioni alla propria sovranità in vista dell’obiettivo superiore di garantire la pace e la giustizia tra le Nazioni, nella realtà internazionale tale fase di “autorizzazione”, come anche una fase di “scelta”, non sono oggi effettivamente onorate.

L’unica scelta che rimane al nostro paese, invero, è se aderire o meno a guerre decise da altri stati. Ne deriva che, a essere violate, sono anche le prescrizioni di cui agli artt. 782 e 873 della Costituzione, le quali prevedono, rispettivamente, la delibera parlamentare e la dichiarazione formale, da parte del Presidente della Repubblica, dello stato di guerra4.

Nel clima che ha caratterizzato il nostro paese dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il concetto di guerra era stato concepito dai costituenti, e ragionevolmente, una sorta di pericolo ormai scampato. D’altra parte, ove si voglia rivolgere lo sguardo alla realtà attuale piuttosto che a quadri storici risalenti, appare evidente che ad essere obsoleti sono i principi del ripudio della guerra e della difesa della pace di cui all’art. 11 Cost., le procedure di delibera e dichiarazione formale dello stato di guerra previste dagli artt. 78 e 87 e lo stesso dovere di difesa sancito dall’art. 52 della nostra Carta costituzionale5.

Tale stato di cose, invero, si comprende se guardiamo a quelli che furono i presupposti dei conflitti internazionali che precedettero la Costituzione e li confrontiamo con il momento storico attuale, che propone un nuovo genere di guerra che ha perso anche la stessa denominazione di “guerra”.

Sotto la forma di tanto decantate “missioni di pace”, infatti, torna a divenire usuale il ricorso alla forza, sebbene non più giustificato dalle mire espansionistiche, quanto piuttosto dovuto alla mera cura di interessi nazionali6.

Il prezzo che l’Italia sopporta, oggi, per la protezione e il sostegno ricevuti dagli Stati Uniti d’America all’indomani della seconda guerra mondiale, è molto alto.

L’impegno assunto di sposare le missioni di pace disposte dalla superpotenza mondiale, della quale siamo necessari alleati7, infatti, coinvolge e sacrifica numerose vite .

Ecco, dunque, la ragione per cui i manuali di diritto costituzionale hanno dedicato così poco spazio al tema della guerra, tratteggiandone solo blandi contorni. Di più, recenti modifiche alla legislazione ordinaria hanno confermato l’intenzione del legislatore di bandire il termine “guerra”, pur trasferendo la sostanza del concetto in altre espressioni, come ad esempio quella di “grave crisi internazionale”8 o di “conflitto armato”9.

A ben vedere, la circostanza per la quale l’Italia, dal formale ripudio della guerra sancito dalla Carta Costituzionale, si trova oggi a ricoprire il ruolo di promotrice di conflitti armati in virtù della tendenza vigente ad aderire a un’elastica interpretazione del concetto di “legittima difesa”, impone un’osservazione.

Invero, occorre operare una distinzione tra la scelta che il nostro Paese ha fatto in favore della pace con la formulazione dei principi costituzionali già esaminati, e la posizione di neutralità permanente, adottata dalla Svizzera. Lo stato di neutralità permanente, infatti, implica il divieto, in tempo di pace, di prendere parte ad alleanze e di concedere basi ad altri stati e, in tempo di guerra, di partecipare a un conflitto con l’intento di appoggiare altri stati10. Inoltre, quello di neutralità è un regime giuridico, ovvero un insieme di regole giuridiche cogenti che hanno riflessi interni all’ordinamento degli stati che lo adottano in via unilaterale o negoziale.

Il ripudio della guerra, invece, costituisce un principio costituzionale d’indirizzo per la politica degli organi di governo, esprimente un valore del quale si è avuto comunque modo di sancire la cogenza.

L’assoluta non coincidenza dei concetti di neutralità e di ripudio della guerra11, pertanto, spiega le ragioni per le quali, nonostante l’idea di guerra presa in considerazione dalle nostre disposizioni costituzionali sia quella di una guerra “subita”, oggi l’Italia va molto oltre questo vincolo di guerra “difensiva”, aderendo a un modello di guerra “preventiva” il cui fondamento è la tutela dell’indipendenza per la via della sicurezza collettiva.

D’altro canto, un’interpretazione dell’art. 11 Cost. in chiave neutralista metterebbe in discussione la coerenza delle due distinte parti della norma12, nella misura in cui l’adesione del nostro Paese a guerre non strettamente difensive comporti la violazione del principio del ripudio della guerra sancito nella prima clausola dell’articolo.

Invero, si presenta senz’altro più armonica un’interpretazione della norma che ritenga ammissibile che l’Italia ricorra all’uso della forza in attuazione delle finalità espresse dalla Carta delle Nazioni Unite13.

L’intenzione dell’assemblea costituente di garantire l’apertura dell’Italia all’ordinamento internazionale, peraltro, ha fatto sì che il nostro ordinamento interno si adeguasse costantemente, in attuazione dell’art. 10 Cost14., alle nuove consuetudini internazionali in corso di consolidamento, le quali promuovevano un ampliamento delle ipotesi di derogabilità al divieto del ricorso alla forza15.

Ancora una volta emerge la differente concezione di guerra accolta in seno all’assemblea costituente rispetto alla realtà internazionale più recente che, proponendo casi come quelli del Kosovo o dell’Afghanistan, legittima la prevenzione in virtù dell’esigenza di tutela umanitaria, esigenza che trae con sé l’ampliamento del concetto di sicurezza internazionale16.

In linea con l’orientamento che ha portato avanti un’interpretazione adeguatrice della clausola costituzionale di cui sopra, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, ha messo ancora più in risalto l’incidenza dei vincoli internazionali sull’ordinamento interno.

Più in dettaglio, secondo l’art. 117 Cost., I comma: “ La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

La legge 5 giugno 2003, n. 131, di attuazione della menzionata legge costituzionale, peraltro, precisa: “Costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all’articolo 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranità, di cui all’articolo 11 della Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dai trattati internazionali”17.

Sia la Costituzione che la legislazione, come si vede, rinnovano l’attenzione alla seconda parte dell’art. 11 Cost., nell’intento di preservare la coerenza tra le due parti della norma, ponendo dunque cura a che le ipotesi di derogabilità del divieto di ricorrere alla forza assicurino il rispetto dei principi da ultimi ribaditi.

Il compito più delicato si rivela essere, pertanto, quello degli organi costituzionali, i quali saranno chiamati a una valutazione di merito che faccia emergere con più chiarezza quali siano i contorni del divieto di cui all’art. 11, comma 1, Cost18.

2. La dottrina costituzionale nella valutazione del rapporto tra guerra e pace

Dalla lettura dell’art. 11 Cost. emerge che ad essere ripudiate sono senz’altro la guerra di aggressione e quella tesa alla difesa di interessi nazionali, quale soluzione alternativa a quella negoziale.

A essere ammessa è, invece, un tipo di guerra “difensiva” che non implica l’animus bellandi , in quanto rispettosa del criterio di proporzionalità della reazione, la quale deve essere meramente diretta a respingere l’aggressione e non a promuovere una guerra propria volta19. Allo stesso modo si ritiene ammissibile l’intervento armato in soccorso di uno stato che abbia subito un’aggressione e al quale si sia legati in seno ad una delle organizzazioni di sicurezza collettiva previste dall’art. 5120 della Carta delle Nazioni Unite21.

E’ apparso tuttavia riduttivo circoscrivere il raggio delle alternative alla contrapposizione tra guerra difensiva e guerra di aggressione, in quanto la realtà delle situazioni che coinvolgono l’uso della forza è molto più variegata.

La prima precisazione che urge, invero, è che nel concetto di guerra vanno incluse situazioni diverse dal ricorso diretto alla forza, come qualsiasi forma di coinvolgimento tesa all’aggressione o ausiliaria della stessa22.

La Carta delle Nazioni Unite, stabilendo che “i Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”23, a ben vedere, sancisce un divieto molto più rigido di quello che ritroviamo nel testo dell’art. 11 Cost., comprendendovi anche la minaccia all’uso della forza o misure quali la rappresaglia armata24.

Più complesso e delicato è il compito della dottrina in punto di valutazione dell’ammissibilità della guerra “umanitaria”, la quale è andata affermandosi in via di fatto comportando un ribaltamento dei principi delle Nazioni Unite. Se pure la dottrina ha sposato un orientamento particolarmente rigido nell’interpretazione del concetto di ripudio della guerra, gli indirizzi normativi più recenti espressi dall’ordinamento italiano hanno invece confermato la volontà di mantenere l’Italia al centro delle relazioni internazionali, ciò che non si sarebbe potuto garantire accentuandone la posizione neutralista.

Questa intenzione spiega alcune decisioni, come quella di aderire alla guerra contro la Jugoslavia per la salvaguardia della etnia albanese in Kosovo, e conduce, per conseguenza, a valorizzare maggiormente la seconda parte dell’art. 11 Cost25.

In coerenza con la posizione antiisolazionista adottata, infine, dal nostro Paese, è intervenuta la modifica all’art. 117 Cost. che oggi, con particolare chiarezza, impone il rispetto “dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Di più, anche il legislatore ordinario ha contribuito a ribadire la priorità degli impegni assunti a livello internazionale, fornendo definizioni utili a riempire di contenuto tali teorici propositi26.

Dinnanzi a tale stato di cose va rilevato che, dal punto di vista formale, il momento attuale vede l’abbandono, da parte dell’Italia, della procedura d’attivazione dello stato di guerra di cui agli artt. 78 e 87, comma 9, Cost.; dal punto di vista sostanziale, invece, il divieto di guerra previsto dalla prima parte dell’art. 11 Cost. viene oggi interpretato in maniera più elastica27.

L’Italia, infatti, ha riconosciuto valore prioritario ai vincoli sanciti dagli accordi che hanno istituito organismi di sicurezza collettiva e alle direttive emanate da questi ultimi, giungendo ad ammettere l’uso della forza per la tutela dei diritti umani e contro il terrorismo internazionale.

Per ciò che concerne quest’ultimo punto, invero, è stato a lungo posto in dubbio che l’art. 11 Cost. non ostasse ad un tipo di guerra “umanitaria”. E’ plausibile, invece, che proprio la prima parte della norma riconosca la liceità della stessa, nella misura in cui l’Italia è chiamata a prendere parte attiva in organizzazioni che garantiscano non solo la pace ma anche la giustizia, ove nel concetto di giustizia vada compresa la tutela dei diritti umani.

Più delicata è la questione se volgiamo l’attenzione a tipi di guerra che presuppongono un concetto molto allargato di “difesa” come “difesa dal pericolo di aggressione”, il quale può considerarsi ammissibile solo nell’ipotesi che le conseguenze dell’attacco si prefigurino catastrofiche. Rientra nella categoria anche la guerra contro il terrorismo, la quale è generalmente rivolta contro i paesi ospitanti le organizzazioni terroristiche, anch’essa ammessa dalla dottrina in quanto unica via per eliminare alla fonte un male così grande per l’umanità.

Se è vero che, in linea teorica, questa estensione del concetto di guerra difensiva sembra porsi in contrasto con quanto stabilito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, la quale ammette la liceità della sola guerra di legittima difesa, bisogna pur sempre considerare quanto sia mutata la realtà internazionale. Questa ultima riflessione conduce, dunque, a promuovere un’interpretazione che prenda atto del contesto storico attuale, nel quale i fenomeni terroristici sono divenuti frequenti e, soprattutto, difficilmente prevedibili28.

3. Il concetto di “guerra” secondo un punto di vista giuridico

Se quanto precede è prova del fatto che la dottrina costituzionalistica è stata senz’altro prodiga per quel che concerne la questione del rapporto pace/guerra, è d’altrettanta evidenza che essa non ha fornito alcuna definizione del concetto di “guerra”, limitandosi a fare rinvio alle elaborazioni del diritto internazionale et similia. In tal modo, tuttavia, si corre il grave rischio di considerare in termini eccessivamente superficiali quello che si intende quando si parla di guerra, dal momento che essa è oggi al centro di un sempre più articolato dibattito nel quale le visioni si presentano tutt’altro che univoche.

L’attenzione che si vuole porre al concetto di guerra, al fine di ricavarne una definizione che si riveli esauriente, è motivata dall’intento di dare conto del regime giuridico che il nostro diritto costituzionale prevede per la guerra29.

Preme innanzitutto precisare che la guerra cui si fa qui riferimento è la guerra internazionale ovvero, considerando che protagonisti ne sono gli stati sovrani, interstatale. Questa premessa, tuttavia, ammette già delle eccezioni, se pensiamo al caso della guerra al terrorismo in cui l’entità controparte dello Stato non è uno Stato.

Proseguendo nella definizione del concetto in esame occorre poi distinguere in essa un elemento oggettivo e uno soggettivo: la guerra presuppone l’utilizzo della forza armata e la volontà, da parte degli Stati tra i quali si verifica il conflitto, di impiegare in esso la violenza30. Se è vero che a esser preso in considerazione è il concetto di guerra interstatale, d’altro canto all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale la guerra nasceva, piuttosto, come fenomeno interno ad alcune comunità politiche che non erano ancora Stati, con la finalità di diventarlo. Ciò, a ben vedere, non deve sorprendere, se si pensa a quanto grave era divenuto il pericolo di un’imminente fine del mondo a causa del sorgere di mezzi bellici distruttivi come l’uso del nucleare31. Tuttavia, è altrettanto vero che la maggior parte di questi conflitti interni32 ha avuto dei riflessi nella comunità internazionale, spesso dando luogo a guerre internazionali, com’è accaduto in Kosovo.

Per giungere ad una completa definizione del concetto di guerra, tuttavia, è opportuno esaminare quali siano gli altri elementi caratterizzanti la stessa, e ciò da un punto di vista prettamente sostanziale, non rilevando affatto, a tal fine, le procedure che le Carte costituzionali hanno previsto per legittimarle da un punto di vista formale. Per quanto concerne le modalità proprie della guerra, è convenzione riferirsi al solo uso della forza armata, sebbene con ciò non si vuole negare che esistano tipi di guerra che non coinvolgono il ricorso a tale mezzo33.

Altro elemento identificativo della guerra è quello delle finalità di essa, generalmente rispondenti all’intenzione di imporre la propria volontà al nemico debellato ovvero di annientarlo del tutto. In merito al primo tipo di finalità occorre precisare che essa, che ben può consistere nell’imposizione di una diversa concezione della pace, si concretizza nella sottoposizione ad una nuova regolamentazione autoritativa34.

L’individuazione del fenomeno “guerra”, invero, è oggi resa complessa dal ricorso a locuzioni formali che intendono principalmente occultare il contrasto con i principi espressi dalla Carta delle Nazioni Unite e la violazione delle procedure dichiarative previste dai testi costituzionali. Questo spiega il perché si faccia largo uso di espressioni quale “crisi”, al fine di indicare una situazione di particolare instabilità in cui l’equilibrio delle relazioni internazionali è a rischio di rottura; “conflitto armato”, espressione dall’effetto evidentemente più attenuato; “operazioni di polizia internazionale”35.

Più in dettaglio, la qualificazione “conflitto armato” ricorre nell’art. 2, comma 1, delle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, come anche nella legislazione italiana, in particolare nel nuovo testo dell’art. 165 del codice penale militare di guerra, come modificato dalle leggi 31 gennaio 2002, n. 6 e 27 febbraio 2002, n. 15.

Le ragioni che possono sottostare all’opzione per un termine, per così dire, soft, sono più d’una. Nel panorama internazionale che seguiva al secondo conflitto mondiale, invero, si è avuta molta cura di scongiurare una guerra che, con l’uso del mezzo nucleare, avrebbe comportato conseguenze drastiche. Inoltre, in quel contesto era più verosimile ritenere l’uso della forza teso al mantenimento della pace ed alla garanzia dei diritti umani, ciò che non sembrava ben esemplificato dal concetto di “guerra”36.

Per “operazioni di polizia internazionale”, invece, si intendono azioni volte a reprimere le violazioni al diritto internazionale in vista dell’obiettivo del mantenimento della pace e della tutela dei diritti umani. Tale espressione, a ben vedere, si presenta coerente con il momento attuale, nel quale non sono state infrequenti le missioni presso paesi dove l’ordine politico era stato compromesso da rivendicazioni interne ovvero dagli attacchi di organizzazioni terroristiche. Dinnanzi all’obsolescenza dei testi costituzionali, infatti, si è ritenuto opportuno coniare tali nuovi concetti, onde garantire il rispetto delle regole ONU ed evitare la violazione delle procedure formali per la dichiarazione dello stato di guerra, ciò che è avvenuto in Italia in occasione delle missioni nel Golfo, in Kosovo e in Afghanistan.

Altro tema di estremo interesse è quello delle cause della guerra, le quali sono principalmente legate alla valutazione di interessi nazionali, nonché strettamente connesse ai valori sottostanti le diverse forme di stato37. Per quel che riguarda, invece, cause d’origine internazionale, esse sono senz’altro originate da situazioni caratterizzate da una realtà contemporanea nella quale si ravvisa una generalizzata assenza di condivisione.

4. Le ipotesi di guerra ammesse e l’obiettivo della pace

Tra le premesse della Carta delle Nazioni Unite leggiamo, tra le altre premesse,: “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità (...)”.

Tra gli obiettivi, invece: “ Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace38“.

Infine, l’art. 51 della Carta: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

Dall’esame coordinato di questi testi si evince, a ben vedere, che la posizione originaria delle Nazioni Unite nei riguardi del ricorso all’uso della forza è stata molto rigida, ciò che è comprovato sia dalla scelta di menzionare tra le premesse il proposito di salvaguardare le generazioni future dalla guerra, che dall’estensione del divieto alla mera minaccia dell’uso della forza.

Non stupisce, pertanto, che si sia dapprincipio prediletta un’interpretazione letterale dell’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, più coerente con lo spirito che aveva mosso le personalità che avevano elaborato quei principi. Ciò da conto dei dubbi di legalità che sono sorti, negli ultimi anni, dinnanzi alla larga interpretazione che del concetto di legittima difesa si è fatta.

Eventi imprevedibili, infatti, hanno stravolto l’ordine internazionale, imponendo una rilettura contestualizzata di principi che hanno fatto il loro tempo e che necessiterebbero di una pronta revisione39.

A dispetto delle soluzioni proposte al fine di giustificare una tanto estensiva lettura dell’articolo, tuttavia, ciò che sembra più ragionevole riconoscere è che, nel momento in cui esso fu elaborato, non si era ancora affermato il fenomeno terroristico. Alla luce dei fatti dell’11 settembre 2001, infatti, sorprende meno che al diritto delle Nazioni Unite si stia affiancando un diritto di fatto, espresso dalle direttive discrezionali degli Stati Uniti40. Invero, se il concetto di legittima difesa era stato, fino ad allora, strettamente legato ai criteri di necessità e proporzionalità della reazione all’aggressione subita, successivamente agli attacchi terroristici perpetrati contro il cuore degli Stati Uniti, ben poteva inserirsi tra i detti criteri quello dell’imminenza dell’aggressione, onde giustificare il caso in cui il ricorso alla forza precedesse l’attacco41.

Lo spazio concesso, nel panorama internazionale, a potenze leader come gli Stati Uniti, se è giustificato dall’intento di garantire la tutela dei diritti umani promuovendo guerre che la Carta delle Nazioni Unite non ammette, comporta tuttavia il rischio che alla base di tutto vi sia una strategica valutazione di interessi prettamente nazionali42. Il bilanciamento che occorre operare, a ben vedere, è tra il principio di sovranità, previsto espressamente dalla Carta delle Nazioni Unite, e il principio della protezione dei diritti umani.

Vero il principio secondo il quale nessuno stato ha diritto di ingerirsi negli affari interni ad altro stato, l’esigenza di tutelare i diritti umani può costituire un’eccezione allo stesso. Ora, se esistesse, ad oggi, un soggetto internazionale cui affidare la questione del bilanciamento dei principi testé esaminati, si scongiurerebbe il rischio che le c.d. “guerre umanitarie” celino interessi squisitamente nazionali, ciò che invece accadrà fin tanto che la decisione d’intervenire sarà di competenza dei singoli stati.

Nel quadro che si è fin qui delineato, invero, la posizione dell’Italia, seppure in contrasto con il principio dell’autodifesa sancito dal nostro testo costituzionale43, non poteva essere diversa.

L’art. 10744 della Carta delle Nazioni Unite, a ben vedere, riconosceva ai paesi vincitori della seconda guerra mondiale una deroga al divieto dell’uso della forza di cui all’art. 2, comma 4, della Carta, nei confronti dei paesi vinti45. Ciò spiega la partecipazione alla guerra del Golfo, del Kosovo e dell’Afghanistan, in occasione delle quali il nostro Paese ha aderito alle scelte di fondo operate dagli Stati Uniti46.

5. La guerra e il diritto

Fino ad ora si è posto in evidenza, quale conseguenza principale della guerra, l’annientamento di alcuni stati, ove per annientamento si intende l’eliminazione della sovranità degli stessi. Il legame del fenomeno della guerra con il diritto si è colto nella necessità di prevedere nei diversi testi costituzionali, così come nella legislazione ordinaria, disposizioni che esprimano l’atteggiamento di un ordinamento statale nei confronti dell’uso della forza e che intendano predisporre degli strumenti utili ad affrontare eventuali attacchi.

La guerra, tuttavia, può considerarsi altresì un fenomeno creatore di nuovi ordinamenti e, pertanto, di nuovo diritto. Il riferimento è fatto, a ben vedere, a quelle guerre di liberazione nazionale che furono legittimate dalle stesse Nazioni Unite, come risulta dalla risoluzione n. 3314 del 1974 dell’Assemblea Generale, la quale all’articolo 7 ammette proprio il diritto di “combattere per realizzare la autodeterminazione”.47 Si parla, in proposito, di guerre costituenti, a un esame delle quali, invero, risulta che non sempre il conseguimento della liberazione nazionale comporta la totale autonomia nelle decisioni costituenti.

La storia ha visto e vede, infatti, ipotesi in cui il nuovo ordinamento costituzionale è opera di organi internazionali o di stati che sono risultati vincitori del conflitto. L’Italia, dal canto suo, ha licenziato un testo costituzionale intriso dei principi e dei diritti tipici di un regime di democrazia liberale, in virtù dell’imposizione di tale obbligo giuridico ad opera del trattato di pace del 194748.

Di più, è innegabile che al giorno d’oggi le costituzioni nazionali siano influenzate dal diritto internazionale, in particolare per quel che concerne i diritti umani, ciò che dimostra come il concetto di sovranità statale debba essere rivisto alla luce del contesto internazionale attuale. A ben vedere, la circostanza che a livello internazionale, dopo il secondo conflitto mondiale, si è manifestata la tendenza a negare la guerra49, ha fatto sì che negli ordinamenti interni, tra cui il nostro, non si sia avuta sufficiente cura nella predisposizione di strumenti normativi adeguati al caso di un’emergenza bellica. Ciò da ragione dell’assetto costituzionale italiano in materia, ove troviamo poche e vuote direttive volte a disciplinare lo “stato di guerra”, mentre continuano a mancare disposizioni utili ad affrontare crisi internazionali che non coincidono con la guerra, pur implicando l’invio di forze armate all’estero50.

Ancora, manca una disciplina, con valenza tanto interna quanto internazionale, che consenta di affrontare aggressioni armate della stregua di quelle terroristiche. Ciò ha comportato, da un lato, che non si creassero i presupposti per l’attivazione delle procedure formali previste dalla nostra Costituzione, dall’altro, che per ovviare al vuoto costituzionale, dinnanzi alle emergenze di cui si è testé detto, si dovesse intervenire con strumenti normativi ad hoc.

La resistenza dei legislatori, che peraltro si riscontra anche in altri ordinamenti dello stato costituzionale, si deve al timore di formalizzare situazioni che sono nate e dovrebbero rimanere eccezionali. Le carte costituzionali degli ordinamenti contemporanei dovrebbero oggi apprestare una normativa che si riveli utile a garantire tanto una reazione agli eventi, quanto la prevenzione degli stessi. L’esigenza da ultima segnalata, tuttavia, non intende sminuire la difficoltà di conciliare la disciplina costituzionale, per definizione razionale ed ordinata, con la tendenziale anormalità e relativa prevedibilità delle circostanze che possono rompere gli equilibri.

Occorre rilevare, infine, la necessità che i poteri eletti ad affrontare le emergenze che si verificassero dovrebbero essere poteri costituiti51. Infatti, mentre le disposizioni costituzionali contengono norme che attribuiscono espressamente competenze agli organi costituzionali, disciplinando i procedimenti da attuare e indicando se e quali diritti siano limitabili, un eventuale vuoto giuridico equivarrebbe a mettere in discussione tali garanzie fondamentali di un ordinamento.

6. La considerazione delle emergenze all’interno dell’ordinamento costituzionale

Dinnanzi a situazioni di pericolo possono verificarsi due differenti modalità di reazione, o ricorrendo ad organi e procedure ordinarie, ovvero instaurando ordinamenti appositi in via di provvisoria deroga alle disposizioni costituzionali.

Si parla, in questo secondo caso, di ordinamenti eccezionali, che per la natura delle circostanze che sono volti a fronteggiare non possono essere predisposti con anticipo. Vista, peraltro, la criticità della situazione che ne giustifica l’instaurazione, tali stati eccezionali non vengono formalizzati con dichiarazioni ufficiali, anche perché fondati sull’ampliamento delle prerogative dell’esecutivo, ciò che trae con sé una minore garanzia di tutela dei diritti.

Tuttavia, dopo gli attentati terroristici del settembre 2001, i regimi derogatori dei diritti sono divenuti più ricorrenti, ostacolando il processo di democratizzazione di molti ordinamenti52.

Volgendo lo sguardo all’esperienza italiana, si osserva come il coinvolgimento in conflitti internazionali sia avvenuto senza l’attivazione della disciplina costituzionale prevista per il caso di guerra, così favorendosi una predominanza della decisione governativa, a discapito del regime costituzionale delle competenze e dei diritti. Per quanto riguarda, invece, le misure adottate contro il fenomeno terroristico di matrice interna e internazionale, si è fatto ricorso alle fonti di legislazione ordinaria previste dalla Costituzione, ovvero decreto-legge e legge.

L’adozione di strumenti normativi predisposti dalla Costituzione, a ben vedere, pur ponendosi come alternativa all’introduzione di statti emergenziali, non ha evitato che le nuove norme limitassero i diritti. Al contrario, il ricorso alla legge, confermando decreti che contenevano misure meramente provvisorie, ha consolidato e reso definitivamente operative disposizioni elaborate per fronteggiare situazioni d’emergenza53.

Il regime emergenziale, invero, non sempre è oggetto di una preventiva e completa disciplina costituzionale. In particolare, proprio l’esperienza italiana dimostra come ipotesi di emergenze, tanto interne quanto internazionali, non siano prese in considerazione della Costituzione. Ne è derivato che, al fine di giustificare interventi preventivi disposti in contraddizione con il regime delle competenze e dei diritti, si è avanzata un’interpretazione estensiva della lettera della Costituzione e, per conseguenza, una proposta di integrazione della stessa54. La Commissione Paladin suggeriva una revisione costituzionale che prendesse atto delle soluzioni adottate da ordinamenti con i quali il nostro Paese condivideva simili principi costituzionali55. La via prescelta, tuttavia, è stata quella di forzare l’interpretazione dell’art. 11 Cost., pur non elaborato per fronteggiare le emergenze belliche, onde giustificare l’adesione dell’Italia a conflitti decisi da organi internazionali, peraltro disapplicando le procedure di cui all’art. 78 Cost.

Piuttosto che attraverso la sospensione di norme costituzionali, dunque, in Italia si è provveduto tramite fonti di legislazione ordinaria56 o delibere parlamentari ad apprestare i procedimenti da seguirsi per autorizzare il governo a fronteggiare le emergenze belliche all’estero; d’altro canto, in via di prassi, atti di indirizzo parlamentare e decreti-legge disciplinano il regime dell’invio di unità militari all’estero, in tal modo sacrificando una disciplina compiuta che contempli anche e soprattutto norme relative ai diritti.

L’art. 78 Cost., a ben vedere, rappresenta l’intento dell’ordinamento di formalizzare, a livello costituzionale, la risposta a situazioni straordinarie.

D’altra parte, la norma non si presenta più al passo con una realtà attuale in cui non si incontrano più ipotesi di guerra conseguente ad un’aggressione subita. Infatti, i casi di ricorso all’uso della forza sono oggi costituiti dall’eventualità di un’aggressione terroristica, fenomeno che presenta profili internazionali ed interni insieme, ovvero l’adesione dell’Italia a conflitti determinati dalle coalizioni di cui fa parte57.

La norma costituzionale, tuttavia, più che obsoleta si presenta lacunosa, in quanto non contempla indicazioni dettagliate sui profili organizzativi e procedimentali, né tantomeno sui limiti entro i quali è plausibile incidere sui diritti di libertà dei cittadini. Se, al contrario, la disciplina dell’art. 78 Cost. fosse stata esauriente sotto tali aspetti, si sarebbe senz’altro ridotto il ricorso a fonti extracostituzionali dinnanzi all’ipotesi di emergenze, pratica invece invalsa per necessità, con notevoli riflessi negativi nei riguardi del sistema delle garanzie58.

Nei casi in cui, dunque, i regimi giuridici derogatori, propri delle situazioni di emergenza, non sono disciplinati preventivamente dalla Costituzione, come in Italia, essi sono ricondotti alla fonte fatto della “necessità”. Si tratta di una circostanza imprevedibile che comporta l’indispensabile imminenza di un intervento, giustificata dalla salvaguardia di un interesse preminente dell’ordinamento, ovvero della esistenza dell’ordinamento stesso. La necessità-fonte è stata ritenuta, secondo un orientamento diffuso, una fonte esterna all’ordine costituzionale e, di più, incompatibile con questo, in quanto atipica e dunque estremamente pericolosa per la tutela dei valori democratici59. Occorre tuttavia precisare che, sebbene sia fuor di dubbio che la necessità non è una fonte legale, ciò non significa che essa sia sempre incompatibile con l’assetto costituzionale perché non disciplinata formalmente.

La tesi dell’incompatibilità, infatti, in tanto può sostenersi in quanto della necessità si faccia un uso finalizzato a sovvertire, o peggio ancora, a sostituire l’ordinamento costituzionale, ciò che può verificarsi solo a posteriori. La diffidenza nei riguardi di poteri di tale natura, a ben vedere, è senz’altro dovuta al fatto che essi sono stati storicamente utilizzati al fine di instaurare forme di stato autoritarie.

Non bisogna tuttavia trascurare l’esistenza di un obbligo costituzionale che impone la salvaguardia dell’assetto legale, attraverso ogni mezzo che, anche se non formalmente previsto, deve ugualmente considerarsi sostanzialmente legittimo60.

7. Esempi di situazioni oggettive di necessità

Il concetto di necessità, “costretto” in questa parola, non è utile ad esemplificare che vi possano essere situazioni in cui la limitazione dei diritti di libertà costituisce un sacrificio indispensabile quando si tratta di garantire la sopravvivenza di una comunità intera.

Un esempio del quadro delineato ci è stato offerto dalla legislazione statunitense successiva agli attentati perpetrati dal terrorismo islamico nel settembre del 2001, una legislazione fortemente limitativa dei diritti ma ritenuta necessaria per assicurare la protezione della comunità attraverso modalità di prevenzione parallele a quelle previste dalla Costituzione. Al contrario, l’ordinamento eccezionale fondato sulla fonte-necessità presuppone la sospensione provvisoria delle norme costituzionali, tanto quelle organizzative quanto quelle di garantistiche.

Il tentativo di ricercare una giustificazione a simili poteri d’emergenza, non preventivamente autorizzati e disciplinati dalla Costituzione, ha prospettato questioni molto delicate. Le prime costituzioni liberali, invero, recavano clausole espresse che consentivano la sospensione dei diritti, sebbene la difesa dell’ordinamento comportasse l’adozione di misure che risultavano pur sempre in contrasto con norme previste per le situazioni ordinarie. Da ciò si elaborò una sorta di diritto soggettivo dello stato a esercitare un potere formalmente illegale in caso di situazioni di pericolo61, diritto pertanto prodotto dalla fonte-necessità, considerata quale fonte inespressa ma contestuale e complementare rispetto a un dato ordinamento62.

In linea con tale ultima osservazione è la posizione del Mortati che, in tal modo confermando la nota dottrina della costituzione materiale, rilevava che l’applicazione del principio formale di legalità, non autorizzando l’adozione di misure eccezionali provvisorie di difesa, avrebbe causato la fine dell’ordinamento posto in pericolo. D’altra parte, le misure di tutela dell’ordinamento si devono ritenere comprese nella costituzione materiale ovvero, nei fini istituzionali di un ordinamento, intrisi di valori costituzionali fondamentali anche se non sempre espressamente formalizzati in seno al sistema legale63.

8. L’art. 78 Cost. e la sua applicazione nella prassi dal 1948 ad oggi

Alla luce della concisa e lacunosa disposizione di cui all’art. 78 Cost., il regime derogatorio in essa previsto si potrebbe attivare solo qualora si presentino emergenze internazionali che si concretizzino in una guerra. Ciò significa, pertanto, che lo stato di guerra potrebbe essere deliberato nel caso di guerra difensiva di reazione a un’aggressione subita, ex art. 11 Cost.; nell’ipotesi che ricorra l’obbligo di fronteggiare l’aggressione subita da uno stato alleato sulla base di accordi internazionali stipulati in seno alle Nazioni Unite, in particolare sulla base del trattato Nato, ex art. 11, seconda parte, Cost.; infine, nei casi di guerra “umanitaria”, ove si consolidasse una regola di diritto internazionale che imponesse allo stato di intervenire contro stati che abbiano gravemente violato i diritti umani.

Nella prassi, a ben vedere, l’art. 78 Cost. non è stato mai applicato nei casi in cui l’Italia ha partecipato a conflitti che sono divenuti vere e proprie guerre internazionali64. Le ragioni di ciò, d’altro canto, sono molteplici.

Innanzitutto, la dichiarazione formale prevista dalla norma non avrebbe avuto alcuna valenza in sede internazionale. In secondo luogo, la guerra cui sembra far riferimento la norma è una guerra giustificata da un intento difensivo, di tutt’altra natura dunque rispetto alle guerre internazionali verificatesi finora. Infine, per la partecipazione a conflitti a difesa dei diritti umani o di altri stati, si è ritenuto più opportuno che venissero attivate clausole di trattati di sicurezza collettiva, in coerenza con quando disposto dall’art. 11 Cost.

Tuttavia, l’art. 78 Cost. è l’unica clausola costituzionale che individui gli organi e le procedure da attivare nell’ipotesi di guerra internazionale, ragione per cui è comunque possibile, in via di interpretazione sistematica, ricavare il regime dei rapporti tra organi di vertice da rispettarsi in occasione di situazioni conflittuali di natura bellica.

Si potrà in tal modo verificare la costituzionalità di una prassi, seguita in circostanze di emergenze belliche, sostitutiva della disciplina di cui all’art. 78 Cost. In primo luogo, il fatto che l’articolo sia preceduto dalle norme relative alla decretazione governativa, delegata e d’urgenza, farebbe pensare che i poteri da conferire al governo sarebbero poteri legislativi a tutti gli effetti, sebbene non sia precisato in quali forme essi debbano essere esercitati. Per quel che concerne, invece, la deliberazione parlamentare dello stato di guerra precedente al conferimento dei poteri necessari al governo, ciò non costituisce se non una conferma della volontà del costituente di garantire una compartecipazione di governo e parlamento nell’affrontare una situazione di natura straordinaria65.

Nel caso in cui non vi fosse, concretamente, modo e tempo di procedere secondo questo schema preferenziale, il ruolo di atto introduttivo dello stato d’emergenza andrebbe svolto da un decreto-legge66. Quest’ultima considerazione, a ben vedere, è di estrema importanza, nella misura in cui si riconosce che il governo, in quanto organo esecutivo, ha un obbligo costituzionale ad intervenire a garanzia della sopravvivenza dei cittadini e delle istituzioni, anche prima di averne conferiti formalmente i poteri da parte del Parlamento.

Questo punto d’arrivo consente di considerare la funzione del parlamento, nell’ipotesi in esame, non tanto di delegazione, quanto di abilitazione all’esercizio di poteri che sono già propri del governo67. D’altro canto, la delibera di cui all’art. 78 Cost. non sembra doversi associare del tutto a quella prevista dall’art. 76, e ciò in virtù del fatto che il fine del parlamento, nel deliberare lo stato di guerra e conferire al governo i poteri necessari, non è se non quello di operare un vaglio preventivo della situazione, onde consentire al governo di fronteggiare la situazione ricorrendo alle proprie facoltà. Precisare limiti di tempo e di materia con una legge delega, invero, risulterebbe del tutto inappropriato ad uno stato d’emergenza in cui tali direttive rischierebbero di non potersi attuare per cause di forza maggiore.

Dinanzi all’evidente inutilizzabilità dell’art. 78 Cost. in caso di conflitti internazionali, sono state elaborate procedure più snelle che prevedono che le delibere in materia di difesa e sicurezza siano adottate dal governo ma sottoposte al vaglio del consiglio supremo di difesa e approvate dal parlamento68.

Ancora, la legge 31 gennaio 2002, n. 6 e la legge 27 febbraio 2002, n. 15, di conversione di decreti relativi ad operazioni militari internazionali, hanno modificato il codice penale militare di guerra, importando alcune innovazioni definitorie.

La questione rimasta aperta e priva di disciplina puntuale, a ben vedere, è quella dei diritti. Si tratterebbe di stabilire, infatti, entro quali limiti e criteri possa il governo incidere sui diritti di libertà dei cittadini in caso d’emergenza bellica. In un contesto internazionale in cui, d’altra parte, si è assistito a fenomeni di violenza inaudita, rappresentati dalle aggressioni terroristiche, la sicurezza è divenuta un vero proprio diritto, il quale ha da ultimo giustificato finanche guerre preventive69. Il valore della sicurezza nei rapporti internazionali, pertanto, riduce la garanzia dei diritti civili e politici.

Anche se nella Costituzione italiana non vi è una previsione espressa della giustificabilità della sospensione delle garanzie costituzionali in caso di emergenza, si ritiene che i diritti possano essere limitati. Questa posizione, più in dettaglio, deriva da una flessibile interpretazione di quei “poteri necessari” conferiti al governo per affrontare la situazione di grave pericolo, i quali bene possono comprendere una restrizione dello spazio di garanzia dei diritti.

Per quanto concerne gli Stati europei, ad ogni modo, la CEDU, all’art. 15, prevede che, sussistenti peculiari condizioni di pericolo, lo stato membro possa adottare misure in deroga agli obblighi della convenzione. Inderogabili rimangono, in ogni caso, il diritto alla vita, il divieto di torture e trattamenti disumani e degradanti, il divieto di riduzione in schiavitù, il principio di tipicità delle fattispecie penali e il divieto di retroattività in tale materia. Parimenti, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, l’art. 4 contiene una clausola analoga valente per tutti gli stati membri delle Nazioni Unite70.

Conclusioni

L’analisi fin qui svolta, tesa a verificare l’esaustività e precisione delle normative attualmente in vigore in tema di emergenze belliche, offre lo spunto per alcune riflessioni conclusive.

Il momento che il mondo sta attraversando, caratterizzato dal moltiplicarsi di accesi conflitti di varia natura, ha reso ancora più inappropriate disposizioni costituzionali di per sé poco utili a gestire situazioni di emergenza. Alla luce del persistere del vuoto normativo in materia, a causa delle resistenze dell’ordinamento alla predisposizione di una disciplina d’attuazione dei precetti costituzionali, il punto di partenza per la verifica della legittimità della prassi è stato l’esame dei pochi articoli che la nostra Carta costituzionale ha dedicato al tema.

Da tale esame, a ben vedere, si è estrapolata un’interpretazione soddisfacente sotto alcuni profili, molto carente per altri. Sebbene sia un compito relativamente semplice, occorrerebbe infatti varare una legislazione sistematica ed ordinata, che approfondisca le direttive scarne e meramente generiche recate dalla Costituzione, e si presenti più coerente con la situazione internazionale contemporanea. Come si è avuto modo di segnalare alla fine della trattazione, infatti, diversamente operando si rischierebbe di penalizzare i diritti di libertà dei cittadini, garanzie che costituiscono l’irrinunciabile base di un ordinamento che possa ancora proclamarsi democratico.

(Altalex, 25 febbraio 2019. Articolo di Chiara Zarcone)


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1 Art. 11 Cost.: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

2 Art. 78 Cost.: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.

3 Art. 87 Cost.: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica”.

4 G.De Vergottini , Guerra e Costituzione – Nuovi conflitti e sfide alla democrazia, Bologna, 2004, pag. 10.

5 Rigano F., La guerra: profili di diritto costituzionale, in Aa. Vv., La guerra. Profili di diritto internazionale e diritto interno. Lezione congiunta dei corsi di Diritto Internazionale e di Istituzione di diritto pubblico, Teramo, 2002, pag. 33.

6 Jean C., Manuale di geopolitica, Roma-Bari, 2003, pag. 203 e ss.

7 Ferrari G., voce Guerra – Stato di guerra (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto , XIX, Milano, 1970, pag. 816 e ss.

8 Cfr. art. 2 della l.14 novembre 2000, n. 331.

9 Si veda l’art. 165 del codice penale militare di guerra che, modificato con legge 27 febbraio 2000, n. 15, ha fornito una definizione del concetto di conflitto armato.

10 De Vergottini G., cit., pag. 40.

11 Malinverni G., L’indépendance de la Suisse dans un monde interdépendant, in Rivista di diritto svizzero,1998, 1, II, 117.

12 Sicardi S., I mille volti della guerra, la costituzione e il diritto internazionale, in M. Dogliani e S. Sicardi ( a curda di), Diritti umani e uso della forza. Profili di diritto costituzionale interno e internazionale, Torino, 1999, 95 e ss.

13 Bon Valsassina M., Il ripudio della guerra nella Costituzione italiana, Padova, 1955, 68 e ss.

14 Art. 10 Cost.: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”.

15 De Vergottini G., cit., pag. 44.

16 Severini G., Realtà internazionale e art. 11 della costituzione italiana, in Rassegna Parlamentare, 2004, 65 ss.

17 Cfr. art. 1, comma 1, l. 5 giugno 2003, n. 131.

18 De Vergottini G., cit., pag. 48.

19 Quadri R., Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, 231 e ss.

20 Art. 51 Carta ONU: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autodifesa individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso 1e misure necessarie per mantenere Li pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell'esercizio di questo diritto di autodifesa sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere ed il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quella azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

21 Labriola S., Difesa nazionale e sicurezza dello stato nel diritto pubblico italiano, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1979, 973.

22 De Vergottini G., cit., pag. 51.

23 Cfr. Art. 1, comma 1, Carta delle Nazioni Unite.

24 Barone A., La difesa nazionale e la costituzione (parte I), in Diritto e Società, 1987, 678 e ss.

25 De Vergottini G., cit., pag. 58.

26 L. 14 novembre 2000, n. 331, art. 1, comma4: “Le Forze armate hanno altresì il compito di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte”.

27 De Vergottini G., cit., pag. 68.

28 De Vergottini G., passim.

29 De Vergottini G., cit., pag. 76.

30 Russeau C., Le droit des conflit armés, Parigi, 1983, pag. 2 e ss.

31 Van Creveld M., The rise and the decline of the State, Cambridge, 1999, pag. 337 e ss.

32 Come guerre di liberazione nazionale, guerre di secessione e di riunificazione, guerre civili.

33 Ilari V., La cultura della guerra, in “Palomar”, 2002, 2, pag. 38.

34 Sereni A. P., Il concetto di guerra nel diritto internazionale contemporaneo, in “Rivista di diritto internazionale, 1963, pag. 567 e ss.

35 De Vergottini G., cit., pag. 81 e ss.

36 Ronzitti N., Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino, 2001, pag. 93 e ss.

37 De Vergottini G., cit., pag. 89.

38 Cfr. Art. 1, comma1, Carta delle Nazioni Unite.

39 De Vergottini G., cit., pag. 126.

40 Glennon M. J., Limits of law, Prerogatives of Power: Interventionism after Kosovo, 2001, New York, pag. 11 e ss.

41 Arend A. C., International law and Preemptive use of Military Force, in The Washington Quarterly, 2003, pag. 97.

42 Preuss U. K., Krieg, Verbrechen, Blasphemie. Gedanken aus dem alten Europa, Berlino, 2003, pag. 128.

43 Cfr. Art. 52 Cost.

44 Art. 107 Carta delle Nazioni Unite: “Nessuna disposizione del presente Statuto può infirmare o precludere, nei confronti di uno Stato che nella seconda guerra mondiale sia stato nemico di uno dei firmatari del presente Statuto, un’azione che venga intrapresa od autorizzata, come conseguenza di quella guerra, da parte dei Governi che hanno la responsabilità di una tale azione”.

45 Art. 2, comma 4, Carta delle Nazioni Unite: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

46 De Vergottini G., passim.

47 Leanza V., Il diritto internazionale. Da diritto per gli stati a diritto per gli individui, Torino, 2002, pag. 96 e ss.

48 Cfr. art. 15 del Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate del 10 febbraio 1947: “L'Italia prenderà tutte le misure necessarie per assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, di godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ivi compresa la libertà d'espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione”.

49 Finanche, come si è avuto modo di rilevare più sopra, a sostituire il concetto di guerra con quello di conflitto armato, grave crisi internazionale o operazione di polizia internazionale.

50 De Vergottini G., cit., pag. 200.

51 Pinna P., L’emergenza nell’ ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1988, pag. 82.

52 Per citare alcuni esempi, si fa riferimento alla proclamazione dello stato di emergenza per contrastare il terrorismo nello stato del Nepal il 7 dicembre 2001; alla dichiarazione dello stato di emergenza in Indonesia, successivamente agli attentati di Bali, con introduzione della pena capitale e sospensione dell’habeas corpus e di numerosi diritti, nonché della detenzione senza processo, etc.

53 Marazzita G., L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003, pag. 465.

54 De Vergottini G., cit., pag. 214.

55 Cfr. Quaderni costituzionali, 1988, pag. 331 e ss.

56 Cfr. art. 1, comma 1, legge 18 gennaio 1997, n. 25 (“Attribuzioni del Ministro della difesa, ristrutturazione dei vertici delle Forze armate e dell'Amministrazione della difesa”).

57 Modugno F., Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritti, Torino, 2002, pag. 60.

58 Pace A., Problematiche delle libertà costituzionali, I, Padova, 2003, pag. 340 e ss.

59 Pace A., ibidem.

60 De Vergottini G., cit, pag. 218.

61 Rossi L., Lo stato di assedio nel diritto pubblico italiano, in Archivio di diritto pubblico, 1884, pag. 81 e ss.

62 Romano S., Sui decreti-legge e lo stato d’assedio in occasione dei terremoti di Messina e Reggio Calabria, in Rivista di Diritto Pubblico, 1950, passim.

63 Mortati C., voce Costituzione (dottrina generale), in Enciclopedia del diritto, XI, Milano, pag. 195 e ss.

64 De Vergottini G., cit, pag. 228.

65 Modugno F. – Nocilla D., Problemi vecchi e nuovi sugli stati d’emergenza nell’ordinamento italiano, in Aa. Vv., Scritti in onore di M.S: Giannini, Milano, 1988, pag. 538.

66 Paladin L., Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, pag. 39.

67 Modugno F. – Nocilla D., cit., pag. 551.

68 Cfr. legge 18 febbraio 1997, n. 25, art. 1, comma 1, lett. a) e risoluzione n. 7-01007 della commissione difesa della Camera dei deputati del 16 gennaio 2001.

69 Dell’Acqua C., Alla ricerca del nemicomma Riflessioni a margine del decreto-legge, 18 ottobre 2001, n. 374, in Aa. Vv., Studi per Giovanni Motzo, Milano, pag. 135.

70 De Vergottini G., passim.

 

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