Riccardo Magnani è un ricercatore atipico che parte da intuizioni folgoranti per poi procedere con le ricerche e presentare serie prove documentali. Nato come economista, si dedica da anni allo studio del Rinascimento con diverse pubblicazioni e conferenze in Italia e all’estero. Dopo aver scoperto la posizione della mitica città dell’Eldorado e avviato un progetto per proteggere la comunità incontattata locale, ha riscritto la vita di Leonardo Da Vinci nella pubblicazione “Ceci n’est pas Leonardo” e la scoperta delle Americhe con l’ultimo libro “Nessuno ha mai scoperto le Americhe per davvero”, del quale ha appena pubblicato la prima parte.
Non è un viaggio qualunque, è il viaggio per eccellenza. Quello sul quale, nel Vecchio continente, abbiamo costruito la nostra identità occidentale e cristiana. Ebbene, non solo secondo lo studioso Riccardo Magnani non sarebbe mai avvenuto nelle modalità in cui ci è stato raccontato a scuola, ma addirittura il suo protagonista, “L’eroe del Nuovo mondo” passato alle cronache con il nome di Cristoforo Colombo, non sarebbe nemmeno mai esistito.
Secondo Magnani, che
in
questa ricostruzione minuziosa nata da una felice intuizione
riscrive la storia con prove e documenti, al centro di quella che
ritiene essere una vera e propria falsificazione
storica si
celano lotte intestine per la conquista delle ricchezze dei
continenti americani, i cui capi collaboravano già, ben prima del
1492, con famiglie, come quella dei Medici, al centro del
Rinascimento.
Con questa mossa, e
con l’istituzione del primato della “scoperta”, che si traduce
subito in conquista e sottomissione, il Vaticano vince, insieme
all’impero spagnolo, questa lotta intestina e si aggiudica risorse
e masse da indottrinare per i secoli a venire.
Preparatevi per
questa chiacchierata con Riccardo Magnani. Preparatevi ad accogliere
il dubbio
che scava sotto le certezze che abbiamo acquisito negli anni, per
aprirsi ad una nuova visione del mondo.
Nessuno ha mai scoperto le Americhe
Partiamo da qui: ma chi gliel’ha fatto fare?
L’input è partito da mia moglie che a un certo punto mi ha detto che, visto che stavo scoprendo tutte queste cose, sarebbe stato giusto, anche per i nostri figli, che riscrivessi la storia. Ha giocato questa carta del cuore, diciamo così, e quindi mi sono ritrovato spalle al muro a scrivere di temi che non avrei mai affrontato.
Perché lei nasce
economista, giusto?
Esattamente,
nasco economista, anche se non era un’attività così diversa da
ciò che faccio oggi: mi immergevo in situazioni aziendali
pre-patologiche per analizzarle e cercare individuare e risolvere i
problemi. Il metodo analitico di fatto non cambia: osservi le cose e
prendi delle decisioni, che è l’esatto contrario del dogmatismo.
Qual è stata la
molla che ha fatto partire tutto?
Ormai
13 anni fa era uscito un servizio alla televisione che parlava di un
planisfero (datato 1459, ndr) presente a Palazzo Besta, a Teglio, in
Valtellina, nel quale non solo c’era la rappresentazione delle
Americhe, ma, ed era il motivo del servizio, era anche presente
l’Antartide privo di ghiacci
Contemporaneamente era uscito un articolo del
Corriere della Sera in cui si annunciava il ritrovamento di un
dipinto, in una piramide Maya, che raccontava a nascita, la morte e a
resurrezione del Dio de mais, datata un secolo a.C., che mi aveva
stranito. La stessa storia di Gesù Cristo, dall’altra parte del
mondo e senza la possibilità di una contaminazione culturale,
addirittura un secolo prima. E quindi, nella mia ignoranza, ho
iniziato a fare ricerche e da lì non mi sono più fermato…
Ma cosa significa
che “Nessuno ha mai scoperto le Americhe per davvero” e perché
nel libro definisce questa “scoperta” come “un furto
legalizzato”?
Innanzitutto
perché le Americhe erano abitate e quindi a che titolo gli europei
possono dire di aver scoperto un continente che qualcuno già
abitava? E poi ci sono delle rappresentazioni, nel libro ne parlo,
del continente antartico e artico, in cui vengono presentate le
terre, sotto i ghiacci, in maniera molto puntuale. Questo fa sì che
siano la testimonianza di una conoscenza molto anteriore, che risale
almeno al periodo della glaciazione.
Anche perché
significa che qualcuno quelle zone le aveva “mappate”…
Qualcuno
doveva averle rilevate e disegnate e già parliamo di qualcosa di
straordinario visto che è stata un’operazione fatta con gli
strumenti dell’epoca, e parliamo del 1400, quindi il sestante e il
posizionamento rispetto alle stelle.
Il senso è questo: le Americhe erano conosciute e mappate già da parecchio tempo, ma soprattutto erano abitate, e questo innesca una prevaricazione del mondo cosiddetto occidentale ed europeo nei confronti del mondo amerindio, ed è inaccettabile sotto il profilo antropologico e intellettuale.
Riguardo al discorso del furto, invece, bisogna
sottolineare che i primi viaggi verso le Americhe in forma
continuativa partono all’inizio del 1400 e i primi furono i
portoghesi, gli ungheresi, i Medici, gli Sforza, gli Este, in una
sorta di coalizione molto ampia. Poi successe che, a metà del 1400,
i turchi hanno conquistato Costantinopoli interrompendo le vie
commerciali verso le Indie orientali. A quel punto gli spagnoli e la
chiesa hanno trovato terreno fertile per unirsi, i primi per aver
accesso alle rotte commerciali, e la chiesa per aver nuovi popoli da
evangelizzare, e quindi è stata creata a tavolino questa storia di
Cristoforo Colombo, per pretendere il controllo di questi
territori.
Ed è stata un’operazione per far valere un diritto
che non esisteva, che la chiesa non aveva, ma che, con le bolle
papali in primis e poi con la costituzione del Trattato
di Tordesillas, di fatto permette al papato di dividere il
territorio tra spagnoli e portoghesi, in maniera da ricostituire
l’accesso ad oriente che i turchi avevano compromesso.
Lei sostiene che non solo le Americhe erano abitate e c’era una consuetudine di scambi culturali, ma che addirittura Lorenzo il Magnifico sarebbe stato un esponente della famiglia reale Inca, è corretto? E’ stato uno scontro tra due diverse visioni di mondo e noi abbiamo imparato la versione raccontata da chi quello scontro l’ha vinto?
La narrazione storica è soggetta a una manipolazione continua perché i vincitori tendono a utilizzare il racconto storico come propaganda politica, e quindi è stata riadattata l’evoluzione storica a vantaggio della chiesa proprio per far valere questo primato della scoperta, che poi, questa del primato, è una cosa ricorrente nelle religioni.
Quindi c’è
una manipolazione narrativa per giustificare quelle che poi sono
state le azioni messe in atto: il possesso dei territori,
l’Inquisizione e tutto quello che ne è conseguito, senza – di
fatto – un diritto oggettivo, ma un diritto imposto in malo
modo.
Le famiglie all’epoca si alleavano tra loro per avere
dei vantaggi politici, quello che avevano fatto i Medici era stato
allearsi con la famiglia reale Inca, mentre gli Aztechi o chi
governava in Messico si era alleato con gli Sforza, insediando
Ludovico il Moro – per quanto riguarda Milano – che era di
sangue amerindio.
Una pratica molto comune, che però sconvolge completamente la narrazione storica: un primo contatto che era estremamente pacifico e collaborativo, che poi invece è diventato di supremazia quando gli spagnoli e la chiesa si sono inventati la storia della scoperta.
Lei nel libro
spiega che la “scoperta dell’America” viene riscritta prendendo
spunto da diari dei viaggi precedenti, è corretto?
Di
fatto tutte le cose che sono successe a Colombo, in realtà sono cose
successe durante le spedizioni precedenti portate avanti da
portoghesi, Sforza e le altre famiglie citate prima.
Quindi hanno usato
degli elementi storici e veri di spedizioni precedenti per creare a
tavolino la figura di Colombo?
Esattamente.
Ed è per questo motivo che dico che è stata “rubata” la
scoperta.
Una delle prove che lei cita nel libro è il copricapo Mascaipacha, che lei fa notare essere presente in opere d’arte del Rinascimento.
È un ornamento che attiene a esponenti politici e religiosi Inca, e viene tramandato solo per lascito ereditario. Quindi sia le fattezze della fisionomia, sia il fatto di portare questo ornamento nobiliare, lascia intendere che Lorenzo il Magnifico fosse un esponente della famiglia reale Inca. Stessa cosa per Ludovico il Moro, che nella propria araldica ha una sorta di scopettino, che prima di lui non veniva utilizzato se non dal padre Francesco, e denuncia proprio una provenienza amerindia.
Tutti questi suoi
studi sono molto connessi al Rinascimento e lei spiega che sia
Leonardo che Botticelli o Piero della Francesca avevano già dipinto
le Americhe prima del 1492.
La
questione Americhe è talmente impregnante per tutte le vicende dello
sviluppo del XV secolo, che non solo nelle vicende politiche, ma
anche in quelle artistiche riempie a produzione del periodo, quindi
ci sono pittori, tra i più importanti come Pisaniello, Piero della
Francesca o Botticelli, che inseriscono nelle proprie opere tanti
riferimenti puntuali, ma anche dettagli che raccontano lo sviluppo
dee vicende politiche legate alle Americhe.
Il caso evidente è
Botticelli che racconta i retroscena della “Congiura de’ Pazzi”
che è il modo in cui Sisto IV e la famiglia Pazzi cercava di
destituire la famiglia Medici per prendere il controllo non solo di
Firenze, ma anche delle attività che derivavano dai rapporti con le
Americhe. Questo fa sì che quello che è il modo di vedere l’arte
tradizionale, viene stravolto dal fatto che nelle opere ci sono dei
riferimenti che non sono raccontati, ma che hanno un’importanza
sostanziale nella lettura del dipinto.
Un altro esempio
che fa è contenuto nell’opera “La nascita della Venere” di
Botticelli?
È
forse il dipinto più iconico del Rinascimento: i veli con cui la
Venere viene rivestita, rappresentano proprio i continenti americani,
del nord e del sud. L’arte diventa un elemento documentale per
sbugiardare la storia.
Bisogna saperla leggere però…
Più che saperlo fare bisogna avere la predisposizione mentale per farlo, e cioè l’apertura mentale ad essere disposti ad accogliere il nuovo. Quindi a non vivere di sovrastrutture o dogmi ma accettare il fatto che ci siano delle cose che possono andare oltre a ciò che conosciamo, che è poi il percorso di crescita in sé: la crescita arriva nel momento in cui aggiungi qualcosa di nuovo a ciò che già si conosce.
Ma gli storici
“ufficiali” come si pongono nei confronti delle cose che
scrive?
Inizialmente
mi attaccavano. Ma poi si devono essere accorti che portavano
comunque attenzione su di me. E quindi ignorano queste evidenze e
continuano a portare avanti la narrazione tradizionale. Fermo
restando che negli anni i miei lavori sono stati conosciuti sempre di
più, ma soprattutto il fatto che io produco delle prove documentali
a supporto di quello che dico, e lì diventa complicato, perché una
storia manipolata, fatta su interpretazioni, difficilmente regge il
confronto con una storia basata su prove documentali, e quindi piano
piano si sta erodendo quel confine che l’accademia ha imposto.
Intanto però due
suoi testi sono stati adottati in Università inglesi, è vero?
Sì,
e mi hanno anche invitato per una lezione all’Università
californiana, quindi piano piano anche l’accademia sta accogliendo
le cose che scrivo, non i consigli d’università, ma da parte di
qualche docente lungimirante.
Lei tutto questo
come lo vive?
E’
una cosa che mi viene naturale, è come fare la settimana enigmistica
dalla mattina alla sera, ed è una cosa che fa parte di me, perché
significa andare oltre alle apparenze. Da una parte mi diverto molto,
e dall’altra provo grande orgoglio perché so che ai miei figli e
alle generazioni future sto trasferendo un qualcosa che va oltre la
mistificazione, quindi un elemento più realistico sulla base del
quale costruire la propria conoscenza. Io so quello che sto facendo e
questo mi piace e da un senso alla mia vita.
Perché è
importante il mito dell’Eldorado oggi?
È
un mito che nasce nel Rinascimento con i viaggi nelle Americhe. Paolo
Dal Pozzo Toscanei, ne 1474, denunciando nuovamente una conoscenza
delle Americhe anteriore ai viaggi di Colombo, parla di queste città
megalitiche rivestite d’oro in cui vivevano i nativi.
Però,
in realtà, Eldorado è la trasposizione di “El Indio Dorado”
perché quando gli spagnoli arrivarono a conquistare Cuzco, nel 1534,
i nativi scapparono e si rifugiarono nel regno del Paititi, portando
con loro la statuetta di Viracocha che era una statuetta d’oro,
chiamata appunto “El Indio Dorado”, che per contrazione è
diventata “La città dell’Eldorado” che è dove è stata
portata questa statuetta.
Nessuno l’hai mai trovata, fino a
quando io – nel dicembre 2012 – triangolando Nazca, Tiwanaku e un
terzo punto, l’ho trovata nel mezzo della selva amazzonica. È una
città megalitica, è nel centro della foresta, e la cosa
interessante, per la quale mi sto muovendo, è che è abitata da un
intero popolo incontattato ripartito in un centinaio di accampamenti
costituiti da 3 a 5 capanne, che però è minacciato dall’avanzata
della modernità: diritti per l’estrazione di gas, tagliatori abusi
di legname, e “civiltà” in generale che stanno erodendo il loro
territorio.
E lei ha attivato
un progetto concreto, no?
Sì,
abbiamo appena fatto il primo volo. Più avanti faremo una spedizione
vera e propria per creare un documentario e sensibilizzare l’opinione
pubblica internazionale per salvaguardare l’Amazzonia e loro
stessi, facendo realmente qualcosa per il pianeta.
Intanto il libro
sulle Americhe è solo la prima parte, cosa dobbiamo aspettarci dalla
seconda?
Nel
primo volume c’è l’evoluzione storica e politica, le motivazioni
per le quali sostengo che nessuno ha scoperto l’America e il come
la storia di Colombo sia stata inventata. La seconda parte è più
improntata sulla storia dell’arte e quindi mostro tutte le opere
d’arte in cui la presenza delle Americhe è già testimoniata e si
tratta di opere d’arte che poi vediamo nei musei e quindi mi
sembrava corretto raccontare alle persone i contenuti in questo senso
dei dipinti, in modo che uno, quando va a vederli, sappia cosa sta
guardando.
C’è anche il riferimento a “Ceci n’est pas
Leonardo” che è la narrazione reale della vita di Leonardo, la cui
vita è stata a sua volta manipolata. Più avanti invece sarà il
tempo di raccontare la storia del Paititi.
Qual è l’aspetto
fondamentale di questa ultima pubblicazione?
Credo
sia un libro importante per capire come si forma il “pensiero
unico”, e cioè come la manipolazione viene costruita e quindi come
noi la possiamo riconoscere e sbugiardare per sottrarci a questa
manipolazione, questa è la parte importante. Non serve studiare la
storia o la storia dell’arte solo per conoscere la narrazione che
ci viene insegnata, ma perché ci rafforza negli strumenti che poi
servono per leggere quello che abbiamo intorno e quindi poi non
sottostare a quelle manipolazioni alle quali siamo soggetti
continuamente dalla pubblicità alla informazione che ormai è
diventata un’informazione distorta e propagandistica.
Per maggiori informazioni: www.paititi2013.com
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