Ma cosa vuol veramente dire “disapprendere”? Dal mio punto di vista disapprendere – o disimparare – non significa dimenticare come non significa accantonare, quella del disapprendere è un’arte sottile, molto vicina al ramo degli insegnamenti alchemici, perché nel disapprendere ciò che è diventato obsoleto o ciò che ferma il flusso, si trasforma – o si eleva – il “vecchio” in qualcosa di diverso che potrà fornire nuova linfa nel percorso di educazione.
Disapprendere significa iniziare a diventare fluidi, per liberarsi dal superfluo e iniziare a perdere quella rigidità clericale che tiene l’essere umano moderno recluso dentro al recinto nel quale si muove con agio e sicurezza, un recinto fatto di convinzioni e assunti educativi dati per scontati, tanto da ritenerli giusti perché comunemente accettati, convinzioni che nell’arco della vita sono state trasmesse automaticamente come normali.Sempre Bauman definisce l’attitudine a disapprendere come la capacità di “camminare sulle sabbie mobili” o su un terreno privo di punti di riferimento permanenti. In uno scenario simile, se non si vuole sprofondare o perdere la via, diventa necessario rinnovare continuamente il proprio sapere e il saper fare, le proprie abilità, quello che hai imparato in passato potrebbe non rivelarsi adatto per districarti in una situazione del momento presente. Ecco che per apprendere nuovamente devi prima disapprendere, altrimenti in automatico andrai ad eseguire vecchi schemi di pensiero e di azione.
C’è una storiella zen che apprezzo particolarmente, visto che racchiude in poche parole il senso del disapprendere e dell’apprendere, è tratta dal libro “101 storie zen” di Nyogen Senzaki e Paul Reps:
Nan-in, un maestro giapponese
dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore
universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in
servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi,
“È ricolma. Non ce ne entra più!”
“Come questa tazza,” disse
Nan-in “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso
spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”
Apprendere a disapprendere può sembrare un discorso contraddittorio e controverso ma, come una tazza di tè non la si può riempire all’infinito, così anche le persone non sono contenitori illimitati di conoscenza. Ecco quindi che la necessità di disapprendere e disimparare risulta fondamentale per poter acquisire qualcosa di nuovo, trasformando all’occasione ciò che non è più utile e mettendo in discussione quanto finora risultava essere scontato. Non dimentichiamoci che viviamo in un periodo storico nel quale l’accelerazione sociale domina le nostre vite, dove tutto cambia in continuazione, comprese le necessità dell’essere umano, e anche le vie di fuga tendono ad essere diverse di giorno in giorno.
Se non vogliamo crollare sotto i colpi incessanti della modernità, non dobbiamo forse disimparare il mondo conosciuto per approcciarci ad un tempo di vita più lento, umano, in linea con le nostre esigenze? Per riuscirci appare necessario accantonare ciò che è superfluo o ciò che non è più rispondente all’ambiente attuale, organizzando in modo nuovo l’approccio alla crescita e allo sviluppo di una filosofia della lentezza.
“Ci hanno insegnato che chi rallenta è
destinato a restare indietro. Che in un mondo che macina veloce solo le
lepri hanno la possibilità di sopravvivere, mentre le tartarughe sono
belle e spacciate. Ci hanno ripetuto fin da piccoli che chi non tiene il
passo è sbagliato, è l’anello debole della catena, l’errore del sistema
che va curato o almeno arginato. Deriso. Fatto sentire un peso.
È
arrivato il momento di capire che non è così. È arrivato il momento di
capire che ci hanno raccontato una balla, probabilmente la più grossa di
tutta la nostra vita.
Chi rallenta non resta affatto
indietro. Chi rallenta ritrova la sua essenza e chi è consapevole della
sua essenza va dritto verso la realizzazione dei propri obiettivi.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
Imparare a disapprendere significa far spazio al nuovo, affrontando il mondo quotidiano con un approccio diverso, basato sulla capacità di fronteggiare il cambiamento e l’adattabilità ad affrontare le sfide, innovando e non inseguendo l’innovazione. In altre parole, in questo particolare contesto storico, dobbiamo ri-scoprirci fragili, per ri-diventare più forti, più consapevoli, più umani. Il nostro futuro possibile passa anche da quanto ci faremo trovare pronti a cambiare, per abbracciare nuovi stili di vita, nel disapprendere ciò che non serve più e apprendere e riapprendere quello che oggi l’esistenza chiede a gran voce.
Disapprendere non è un passaggio semplice e nemmeno immediato, ci vorrà del tempo per scrostarci e purificarci, superando le certezze che fino ad oggi hanno sostenuto il nostro percorso. Ma è un tentativo che va fatto, è di vitale importanza – centrale e indispensabile direbbe Bauman – mantenere attiva in noi la propensione alla novità, per evitare la naturale inclinazione a rifugiarsi nel proprio contesto di riferimento. Disapprendere equivale ad abbandonare la zona di comfort, scavalcare il recinto delle convinzioni e delle informazioni stanganti, per aprirsi a ciò che ancora non conosciamo di noi stessi, dell’altro e delle nostre potenzialità. Disapprendere significa abbandonare il sentiero delle regolarità e saper prescindere da esse, per dominare le imprevedibilità che la vita ci metterà davanti, senza timore, ma con la consapevolezza che per apprendere cosa nuove bisognerà prima disapprendere quelle inutili.
“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco.”
(William Butler Yeats)
Tragicomico
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