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Principio di precauzione

Come si è arrivati a formulare il principio di precauzione? Nel corso del 20° sec. si è verificata una crescente attenzione nei riguardi della protezione dell'ambiente. Le cause del degrado ambientale erano sconosciute e spesso non vi era alcuna prova scientifica di relazione tra causa ed effetto. In conseguenza, la prevenzione degli effetti dannosi veniva invocata solo dopo che si erano avute prove evidenti del danno ambientale. Ma in qualche caso era già troppo tardi e il rimedio era diventato troppo costoso, oppure la causa del danno non era certa. D'altra parte si è verificato spesso che alcuni rappresentanti di movimenti di opinione abbiano chiesto di fermare una particolare attività senza avere la prova scientifica che questa fosse la causa degli effetti indesiderati.

Questa mentalità è cambiata verso la fine del Novecento, iniziando forse con il principio del Vorsorge (prudenza). Negli anni Settanta la legge tedesca stabilì che il settore pubblico non solo doveva riparare i danni ambientali, ma doveva anche evitarli, tramite un'appropriata pianificazione o attraverso la prevenzione delle attività considerate potenzialmente dannose.

Successivamente è stato formulato il p. di p. ed esso è stato usato in molti documenti politici internazionali, come Dichiarazioni, Raccomandazioni o Accordi aventi valore legale (conventions; tab. 1). La Carta mondiale della natura, approvata nel 1982 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, non usa esplicitamente il termine precauzione, ma in modo implicito. Il testo, approvato nel 1990 alla Conferenza internazionale per la salvaguardia del Mare del Nord, afferma che si debbono prendere iniziative cautelative anche in assenza di prove scientifiche di un nesso tra emissione di rifiuti tossici ed effetti dannosi. Quando si cita la nascita del p. di p. il documento cui si fa più spesso riferimento è la Dichiarazione su ambiente e sviluppo della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992. Sono da notare in questo documento le frasi "assenza di piena certezza scientifica" e "misure preventive economicamente efficaci": pur introducendo il p. di p., il testo approvato alla Conferenza dai rappresentanti degli Stati intervenuti affermava la necessità di studi scientifici e un'analisi dei costi/benefici.

Nei documenti ufficiali sono utilizzate le locuzioni approccio di precauzione e principio di precauzione; il termine approccio è meno preciso e impegnativo rispetto a principio. La formulazione del p. di p. è piuttosto vaga e ciò ha indotto la Commissione europea a emettere una Comunicazione, cioè delle linee guida (tab. 1). Il p. di p. implica l'esistenza di un'attività potenzialmente dannosa, progettata o già in atto, e l'interesse da parte di un gruppo di pressione (una lobby) che inizi o continui questa attività. Implica anche che un settore della società esprima preoccupazione riguardo a tale attività. La definizione di precauzione contiene tre elementi: pericolo di danno, incertezza scientifica e azione cautelativa.

Il pericolo di danno non è oggettivo, non può essere misurato. Esso concerne sensazioni individuali o collettive; in un certo senso è un problema psicologico; abbastanza spesso è un problema di psicologia di massa. In altri termini il p. di p. è invocato solo se l'opinione pubblica avverte un pericolo; quindi è utile per i politici che vogliono discutere il grado di accettazione di una nuova tecnologia da parte della pubblica opinione. La precauzione è necessaria soltanto quando c'è incertezza scientifica. Se la relazione tra causa ed effetto è nota si parla di prevenzione, non di precauzione. Applicare il p. di p. significa porsi domande sui possibili pericoli derivanti dall'uso di nuove tecnologie; ciò genera, quindi, la necessità di nuove informazioni scientifiche. 

Nel 1999 l'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) ha organizzato una Conferenza mondiale sulla scienza, dove sono stati discussi vari problemi di interazione tra scienza e società. Un gruppo di scienziati e sociologi ha discusso i problemi correlati alla scienza e tecnologia che al giorno d'oggi più preoccupano l'opinione pubblica e ha contribuito a preparare dei documenti preliminari, che successivamente sono stati approvati dai rappresentanti degli Stati quando si è tenuta la Conferenza. Uno dei documenti è intitolato Scienza e uso delle conoscenze scientifiche; esso riafferma che il concetto di scienza è diverso da quello di tecnologia e, allo stesso tempo, riconosce che la scienza di base e quella applicata sono strettamente collegate, al punto che spesso non si riesce a definire se un problema scientifico sia di base o applicato. Il p. di p. non riguarda la scienza, ma l'uso delle conoscenze scientifiche, cioè le tecnologie di ogni tipo. Il secondo documento approvato alla Conferenza mondiale sulla scienza, intitolato Schema di interventi, cita al paragrafo 34 il p. di p.: "Tutti i paesi dovrebbero incrementare le proprie capacità nel campo della vulnerabilità e della valutazione dei rischi […] viviamo in un mondo complesso pieno di incertezze sulle tendenze di lungo periodo. Le autorità devono […] incoraggiare lo sviluppo di nuove strategie di previsione e monitoraggio. Il Principio di Precauzione rappresenta un importante principio guida nella gestione delle inevitabili incertezze scientifiche, specialmente in situazioni di timori di danno potenzialmente irreversibile o catastrofico".

Si può osservare che le prime due frasi affrontano il problema della valutazione del rischio, mentre la terza cita il principio di precauzione. Quindi i rappresentanti degli Stati membri dell'UNESCO hanno descritto la valutazione del rischio e il p. di p. nello stesso paragrafo, anche se questi due concetti sono di solito considerati differenti e, in alcuni casi, antitetici.

Coloro che hanno proposto il p. di p. pongono una serie di problemi. Essi criticano la valutazione del rischio, ritenendola basata sulle conoscenze scientifiche al momento disponibili, mentre gli effetti dannosi temuti sono riferiti a parametri scientifici che possono essere ancora sconosciuti. La scienza non è in grado di prevedere danni causati da specifiche tecnologie in sistemi molto complessi, come nel caso dell'ambiente o della salute umana. Nella valutazione del rischio, l'assenza di prove è di frequente interpretata come dimostrazione di assenza di effetti dannosi. La valutazione del rischio viene stabilita dalle pubbliche autorità o da enti governativi, senza coinvolgere, almeno all'inizio dell'operazione, l'opinione pubblica o i soggetti maggiormente interessati o esposti al rischio. Inoltre, essa è in relazione a un'analisi costi/benefici e implica così l'accettazione di alcuni effetti dannosi.

La valutazione del rischio presume che la società nel suo insieme debba rimediare ai danni potenziali causati dall'uso di nuove tecnologie, mentre il p. di p. presume che coloro che le propongono debbano assumersi la responsabilità di dimostrare che non ci sono pericoli, ed eventualmente accollarsi le conseguenze per gli effetti indesiderati e i danni prodotti. L'ultimo punto è particolarmente apprezzato da alcuni settori della società in quanto può essere considerato una sorta di privatizzazione dei rischi: infatti, nel caso di conseguenze dannose, i rimedi ai danni prodotti sarebbero pagati da coloro che hanno proposto l'uso delle nuove tecnologie e non dalla società nel suo insieme.

Il p. di p. è stato originariamente proposto per difendere l'ambiente, ma oggi sta diventando sempre più usato ogni qualvolta la pubblica opinione è preoccupata a causa dell'uso di nuove tecnologie. Le novità introdotte dal p. di p. sono, in primo luogo, il passaggio dell'onere della prova dalle autorità pubbliche ai proponenti le nuove attività; in secondo luogo, l'azione cautelativa che deve essere intrapresa prima di conseguire la certezza scientifica sulla correlazione tra causa ed effetto. Un altro importante elemento di precauzione è quello di rimandare l'iniziativa, in modo tale da permettere la valutazione dei pericoli e la loro eventuale accettazione da parte della pubblica opinione. È interessante ricordare la moratoria sugli esperimenti di ingegneria genetica che ha avuto luogo nel 1974. La tab. 2 ricorda alcuni punti chiave nell'evoluzione della moratoria. In questo caso la pubblica opinione non era consapevole degli sviluppi di queste ricerche, ma gli scienziati erano particolarmente preoccupati e hanno proposto e attuato sia una moratoria sugli esperimenti sia regole di sicurezza cautelative nel trattamento delle molecole di DNA ricombinante. La moratoria fu universalmente accettata ed è spesso citata quando si discute l'introduzione all'uso di nuove tecnologie. Una moratoria può essere utile per arrivare a una visione complessiva sull'accettabilità di nuove tecnologie. Le misure di sicurezza nell'esecuzione degli esperimenti sul DNA ricombinante si sono rivelate in gran parte superflue, ma sono state utili per rassicurare l'opinione pubblica.

Per quanto sia utile invocare il p. di p. ogni qualvolta l'opinione pubblica si preoccupa degli effetti dannosi causati dall'introduzione di una nuova tecnologia, prendere precauzioni estreme può determinare immobilismo, il che non è sempre possibile, come, per es., nel caso dello smaltimento di sostanze tossiche. Un altro problema è rappresentato dal fatto che la pubblica opinione può cambiare idea e passare dall'accettazione al rifiuto, per cui si verifica che il p. di p. viene invocato solo dopo che le nuove tecnologie sono state introdotte. Questo è il caso delle piante geneticamente modificate negli Stati Uniti: dopo un periodo di accettazione, la pubblica opinione americana, avendo sentito le perplessità espresse dagli europei, ha cominciato a preoccuparsi e così si è assistito, e si assiste, a richieste di ulteriori studi sui possibili effetti negativi di queste piante sulla salute umana o sull'ambiente.

Le Linee guida pubblicate nel febbraio 2000 dalla Commissione europea rappresentano un tentativo di regolare l'uso del p. di p. secondo determinati criteri: "... le misure basate sul Principio di Precauzione debbono essere: proporzionali al livello di rischio accettato; non discriminatorie nella loro applicazione (le azioni decise debbono seguire criteri di uniformità rispetto a situazioni analoghe); basate su di un esame dei costi/benefici dell'azione e della mancanza di azione (tenendo presenti sia criteri economici sia l'accettazione da parte del pubblico); soggette a revisione, alla luce di nuovi dati scientifici; capaci di indurre ricerche necessarie per una maggiore comprensione della valutazione di rischi".

Si può notare che, sebbene i propugnatori del p. di p. vogliano tenere separato il concetto di valutazione del rischio dalle considerazioni sul danno temuto, esso è invece considerato decisivo da parte della Commissione. Queste Linee guida non sembrano definite per offrire i criteri generali, ma per trattare il problema politico che i capi di Stato e di governo si trovano a dover affrontare nel momento in cui debbono trattare argomenti sui quali l'opinione pubblica è molto sensibile. Per es., nel caso delle piante geneticamente modificate o della carne proveniente da animali trattati con ormoni, il rifiuto di importare questo tipo di merci in Europa ha provocato accuse a livello dell'Organizzazione mondiale del commercio, e solo in un secondo momento si è capito che l'accettazione di una nuova tecnologia da parte dell'opinione pubblica è un elemento di decisione importante e da tenere in dovuta considerazione. Le Linee guida della Commissione sono anche utili per tentare di orientare la pubblica opinione in base a precise valutazioni scientifiche, anche se queste non sono i principali parametri che influenzano l'opinione pubblica. 


 

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