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Uno Stato indegno di qualsiasi fiducia: un bilancio del Biennio 20-21

Cronaca di un potere allo sbando, deciso solo in una azione: pregiudicare sempre più i diritti fondamentali, chiudere e richiudere, obbligare, vietare…

A questo punto, dopo due anni in cui lo Stato formalmente democratico si è via via involuto in Stato d’emergenza, d’eccezione e infine concentrazionario, è il momento di tirare le somme. I giornali ripescano, e sembrano celebrare il più allucinante trionfo eterno ritorno, titoli di un anno fa annunciando misure restrittive “per salvare il Natale”, ad onta dei 50 e passa milioni di vaccinati completi; i 7 milioni che non hanno provveduto vengono sommariamente liquidati come una congiura di fanatici o di lunatici. Ma è difficile credere ad un virus della logica che, solo in Italia, infetti moltitudini di cittadini fino a ieri normali.

La realtà è diversa e sta in una ragione molto semplice: chi non si fida non è necessariamente abbonato al complottismo quotidiano, ma ha abbondanti ragioni per non fidarsi. Anzitutto, di governi che si palleggiano una inerzia letale. Abbiamo assistito, dapprima confusi, poi sgomenti, allo spettacolo di un Esecutivo del tutto impreparato, sfornito di un piano pandemico aggiornato, incapace nell’applicare almeno quello datato, ostinato nell’assenza di qualsivoglia strategia con cui diversificare le profilassi, arroccato nell’incredibile e stragistica rassegnazione della “tachipirina e vigile attesa”; un potere allo sbando, deciso solo in una azione: pregiudicare sempre più i diritti fondamentali, chiudere e richiudere, obbligare, vietare.

Ad oggi non si sa che fine abbiano fatto le terapie cosiddette alternative, mentre sono solo terapie di buon senso, messe a punto da scienziati come Remuzzi. Dei farmaci sostitutivi del vaccino, si sente ogni tanto balbettare, poi torna tutto nell’oblio. Era stato annunciato il potenziamento delle strutture sanitarie, del trasporto pubblico, della scuola: il risultato è che mancano ancora 2 mila posti letto di terapia intensiva, i trasporti arrancano peggio di prima, le lezioni sono ulteriormente complicate dall’incredibile via crucis relativa al Green Pass, con tamponi annessi, e il premier Draghi ha sancito altri 6 miliardi di tagli nella sanità. A condire tanto sfacelo, i continui scandali sulle mascherine, sulla burocrazia parassitaria, sui percettori abusivi di reddito di cittadinanza che hanno approfittato della stasi socioeconomica, sui foschi rapporti con la dittatura cinese.

Infine, lo scenario più sconcertante e allarmante: la sistematica violazione del diritto a manifestare, gli idranti sui portuali inermi, Trieste trasformata in Berlino est, i contestatori pacifici e isolati tenuti in Questura per ore, le avvisaglie di uno Stato di polizia per i refrattari, mentre i casinisti manovrati dall’agenda globalista, dalle vestali dell’ambientalismo alle sentinelle della legge Zan, fino ai molluschi dei rave party, vengono ampiamente tollerati fino a venire scortati. Non di meno, siamo costretti a subire l’afflusso incontrollato di sempre più migranti irregolari, privi di qualsiasi titolo, nell’apparente ma forse non innocente inerzia del ministro di Polizia debitamente blindato dal Quirinale e da Palazzo Chigi.

Mentre il Paese patisce una morìa di realtà produttive, oltre 300.000 nel 2020, una emorragia di partite Iva, la sistematica demolizione di tutti i comparti industriali e di quasi tutti i settori produttivi: un dissodamento del terreno socioeconomico che, nell’acquiescenza di un sindacato anch’esso spalmato sulla tradizionale controparte “padronale”, favorisce sempre più l’annessione cinese, indiana, oltre che degli Emirati e di parti forti dell’Europa, dalla Germania alla Francia. Un capolavoro di insipienza che si fatica a considerare casuale, e che i media spacciano, grottescamente, per successi progressivi del governo.

Ma, al di là della propaganda di regime, resta una questione cui nessuno sembra voler rispondere: può ancora dirsi nazione questo Paese senza più nessuna autonomia a nessun livello? È ancora ragionevole contare in una riscossa, in un futuro non si dica apprezzabile ma almeno possibile?

Quanto al potere decisionale, nello stato emergenziale è scivolato sempre più nelle mani di scienziati o sedicenti tali: li abbiamo visti travolti da una mutazione genetica, da medici a influencer con tutti gli sfondoni e le manifestazioni di pessimo gusto del caso. Li abbiamo sorpresi annaspare in una infinita serie di errori diagnostici, di deliranti previsioni catastrofiche, di prese d’atto imbarazzanti. Li abbiamo visti bisticciare come scolaretti capricciosi su tutto, dall’effettiva presenza del virus alla sua concreta pericolosità, dall’opportunità d’uso degli strumenti preventivi – mascherine, respiratori, tamponi -, fino al vaccino salvifico dalla copertura eterna, a scadenza, a piacere. Ne abbiamo constatati, purtroppo, in troppi a fare i furbi e soldi con una sovraesposizione mediatica più che discutibile. E abbiamo maturato il sospetto che a questa genia, della salute pubblica importi meno di niente, premendole esclusivamente del proprio tornaconto (in banca).

L’informazione non è stata migliore, anzi ha rappresentato l’esempio sommamente pessimo. Mai si era riscontrato un atteggiamento così servile e così compatto, con rarissime eccezioni, nello sposare la narrazione ufficiale del regime; con le dovute omissioni, le menzogne, il terrorismo sparso a piene mani, la psicosi alimentata ad arte. Essendo dipendente da una comunicazione istituzionale ingannevole a monte, il Barnum delle notizie si è costretto ad uno spettacolo sconcertante di annunci, smentite, controsmentite che hanno dilatato la confusione, l’incertezza, la divisione nella popolazione, fatalmente divisa in tribù. I lacché e i cabarettisti vengono tenuti nelle televisioni del regno col preciso compito di adulare il potere, di provocare, di sabotare qualsiasi discussione, di impedire ai dissidenti di esprimersi, fino all’insulto e alla minaccia scoperta.

Da ultimo, la politica non ha saputo costituire un fronte di opposizione apprezzabile, in grado di rappresentare, almeno da una posizione indiretta, i milioni di confusi o scettici circa le politiche adottate da un regime che, d’altra parte, ricomprende quasi tutti. Il risultato è stato un progressivo, inesorabile allontanamento di tanti elettori, rassegnati allo status quo ma ancora più determinati a non credere più a niente e a nessuno. Anche così si alimentano le leggende, le superstizioni, il provvidenzialismo magico che sfociano in conseguenze a volte micidiali.

Gli appelli al raziocinio e alla presa di coscienza da intellettuali come Capezzone, filosofi come Agamben e Cacciari, giornalisti coraggiosi come Giordano e Porro, testate come La Verità che è forse l’unica oasi non allineata, sono importanti come lo sono le luci nel buio della ragione, ma andrebbero anche ascoltati. Perché non è decentemente possibile continuare a rimettersi alla saggezza di uno e alla volontà calata dal cielo di una Eurocrazia che dimostra ogni santo giorno di tenere l’Italia in sommo disprezzo, di lavorare per grecizzarla a qualunque costo.

In due anni due governi, sostenuti pressoché da tutti i partiti, si sono trasmessi una pervicace inazione, a parte l’accelerazione sulla campagna vaccinale, nella vigile attesa dell’assalto alla diligenza dei miliardi dall’Europa. Dopo due anni di sacrifici, di tragedie familiari, di decessi tuttora opachi, di scelte inspiegabili, di vessazioni psicotiche, il Paese è degenerato in senso civile e sociale e la platea di quanti rifiutano di sottoporsi ad un elisir che così di lunga vita non pare più, cresce; gli altri, quelli che si sono vaccinati e rivaccinati, oggi scoprono che fra due, tre mesi sarà come se non avessero mai fatto niente e debbono ricominciare da capo, forse per sempre, comunque sotto il ricatto di un lasciapassare che non lascia passare niente. Il paradosso è che risultiamo il Paese più massicciamente vaccinato d’Europa, se non del mondo e, insieme, il più costretto, il meno libero, il più sbandato.

Dopo il biennio orribile 2020-2021, siamo all’anno zero. Nessuna certezza su niente, salvo una: non è finita, e chi ha in mano le chiavi delle nostre libertà ha una insana voglia di gettarle di nuovo. Se c’è una cosa che questa strana, bizzarra pandemia ha dimostrato, e l’ha dimostrato particolarmente in Italia, è che non c’è una sola struttura, fra quelle che sorreggono una società democratica, che non abbia fallito, che non si sia dimostrata inadeguata, corrotta, torbida, spregiudicata quanto incapace di reggere il peso di una fase emergenziale. 

Con il che si potrebbe concludere che di democratico questo Paese non ha più niente. Stando così le cose, non stupiscono i 7 milioni di “ribelli”, ma i 53 che, bongré malgré, si sono adeguati, solo per ritrovarsi d’autorità nel girone infernale dei non collaborativi, dei lavativi, dei folli se solo non accetteranno di rinnovare la professione di fede in uno Stato dimostratosi indegno di qualsiasi fiducia.

tratto da Atlanticoquotidiano 

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