Toccante lettera a rettore, docenti e coetanei di un gruppo di studenti dell'università di Bergamo. Che concludono così: «Per riconoscere la direzione più giusta e probabilmente più sana, può darsi che la strada da percorrere non sia all’insegna della paura e del controllo, bensì del coraggio e della libertà, debitamente scrostati dalle sedimentazioni propagandistiche di questi mesi.
E può darsi che al netto di tutti i ricatti morali e occupazionali del caso, non siamo altri che noi – mittenti e destinatari di questa lettera, insieme – i primi artefici del futuro che ci aspetta».
Ne riportiamo il testo integrale._______
Alla cortese attenzione de
I docenti tutti
I ricercatori e i dottorandi
I componenti del Senato Accademico
Il Magnifico Rettore Remo Morzenti Pellegrini
Il personale tecnico e amministrativo
I responsabili delle Biblioteche di Dipartimento
Gli uscieri dell’Università degli Studi di Bergamo
e p.c. a
Tutti gli studenti dell’Università degli Studi di Bergamo e i loro rappresentanti
L’Associazione Laureati Università di Bergamo, LUBERG
I giornalisti e gli organi di stampa
Gentili tutti,
vorremmo iniziare col ricordarvi alcuni presupposti
eletti a linee-guida della nostra Università, così ben esposti nel
manifesto disponibile sul sito della stessa:
La mission della nostra università è già tutta racchiusa nel suo nome: universĭtas. Apertura, pluralità, libertà, incontro, appunto: “universalità”. Sapere vuol dire sfidare i tempi, saperli scuotere.
Un’interpretazione preconfezionata non è mai buona: ogni interpretazione pretende infatti una mente critica.
Dunque: apertura, pluralità, libertà, incontro, universalità, capacità di porsi criticamente rispetto ai tempi e di
sfidarli.
Insieme a voi, crediamo e vorremmo continuare a credere in questi
valori, che il biglietto da visita della nostra università – come di
molte altre università d’Italia e del mondo – dichiara esplicitamente di
tenere in alto grado.
Ma oggi, alla luce del D.L. 111/2021 del 6 agosto (Misure urgenti per l'esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), si impone un principio di discriminazione, legittimato da motivazioni presentate come medico-scientifiche, che ci appare agli antipodi di quella stessa inclusività posta sin dall’etimo a fondamento dell’istituzione universitaria.
Con questo provvedimento discriminante e divisivo vengono di fatto esclusi dal diritto allo studio e dai servizi erogati dall’Università – o ne viene gravemente limitata l’accessibilità ‒ tutti coloro che per legittima scelta personale non intendono prestarsi a trattamenti sanitari invasivi e a proprie spese, quali i tamponi PCR, né aderire alla campagna vaccinale sperimentale, consapevoli di come sulla reale attendibilità dei primi e, soprattutto, sulla validità e sulla sicurezza della seconda manchi ad oggi un accordo scientifico risolto e unanime.
Com’è possibile accettare che strumenti
sanitari di dubbia efficacia condizionino i principi di apertura,
libertà e indipendenza dell’insegnamento universitario?
Ancora in piena emergenza pandemica, il nostro stesso Rettore aveva avuto modo di ribadirci alcuni obiettivi essenziali dell’Istituzione che è chiamato a rappresentare, promettendo di mantenere l’Università saldamente imperniata sui principi di inclusione (garantire un sapere condiviso e relazionale, email del 31 marzo 2020; siamo una comunità dove studiano e lavorano tante persone, dove ognuno deve essere rispettato tanto nei
propri doveri quanto nei propri diritti, email del 29 aprile 2020) e di coesione (l’obiettivo dell’UniBg di farvi provare sempre e comunque la forza coesiva che deve caratterizzare un Ateneo [...] crediamo fortemente nel nostro procedere uniti, nonostante le difficoltà che possono presentarsi, email del 14 ottobre 2020). Non ha dimenticato nemmeno di sottolineare l’impegno dell’Università nel garantire un sostegno costante (senza mai permettere che il vostro e, anzi, il nostro percorso verso le conoscenze possa essere interrotto, email del 4 novembre 2020).
Questa promessa, però, sembra ora venir meno, con la comunicazione del 10 agosto 2021 agli studenti: tutti coloro che accederanno, per motivi di studio o lavoro, alle sedi universitarie dovranno essere infatti in possesso del cosiddetto green pass. Non un cenno a chi non si adegua a questo aut-aut, scegliendo di non sottoporsi ai tamponi diagnostici, il cui alto tasso di inattendibilità è certificato dallo stesso Istituto Superiore di Sanità (cfr. rapporto ISS Covid-19 n. 46/2020), né all’inoculazione dei vaccini sperimentali a mRna o a Dna ricombinante, la cui efficacia nell’arginare i contagi è presentata come relativa, ad esempio, nello stesso foglietto illustrativo della Pfizer: potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono e la durata della protezione non è nota (dalla nota informativa 1 del modulo di consenso vaccinale Comirnaty).
Considerato che lo stesso vaccinato può contagiare ed essere a sua volta contagiato, ci si chiede quale possa in effetti essere la funzione del Green Pass, e se essa sia realmente di natura sanitaria o eminentemente politica.
Anche la garanzia di non nocività dei vaccini sperimentali è alquanto
dubbia: come esplicitato dal punto 10 del consenso informato (non è
possibile al momento prevedere danni a lunga distanza), non si escludono
possibili effetti collaterali a lungo termine, anche gravi.
Che ne
sarà allora delle promesse di inclusione, di coesione e di sostegno per
tutti gli studenti che sceglieranno di non aderire acriticamente e
incondizionatamente alla sperimentazione vaccinale di massa o al
tracciamento sanitario via Green Pass, dispositivo di controllo sociale e
amministrativo in aperta violazione del diritto alla privacy dei propri
dati?
Proprio a Bergamo, come se i molti lutti non fossero bastati, osiamo mettere in discussione quella che viene attualmente presentata come l’unica soluzione in grado di contenere il contagio?
Sì,
proprio a Bergamo, la città più colpita dalla pandemia. Come in
tutt’Italia, ci si prepara ora a perdere anche l’universale diritto
all’istruzione e alla cultura (sancito dalla nostra Costituzione
all’art. 34) o quantomeno a vederne compromessa la fruibilità.
Proprio
a Bergamo, la città in cui – com’è noto – il direttore del dipartimento
di anatomia patologica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, mettendo in
discussione le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e
del Ministero della Salute che sconsigliavano di eseguire le autopsie
sui corpi deceduti a causa del Covid, scoprì il ruolo decisivo della
formazione dei trombi nell’aggravarsi della malattia, evidenziando la
necessità dell’utilizzo dei farmaci anticoagulanti.
Proprio a
Bergamo, la città in cui il primo atto di disubbidienza in materia di
pandemia si è dimostrato un primo passo verso la verità clinica. Con
lo stesso spirito, siamo portati oggi a dubitare dell’utilità
scientifica, della legittimità giuridica e della liceità etica di un
lasciapassare sanitario formalmente preposto a contenere la diffusione del Covid-19.
Questo
strumento, infatti, oltre a non garantire la non-contagiosità dei suoi
detentori, comporta la discriminazione nei diritti costituzionali in
base allo stato di salute e all’assunzione di un prodotto sperimentale
(non privo di possibili effetti collaterali gravi) per una malattia
ritenuta curabile da sempre più medici con i protocolli farmacologici di
terapia domiciliare (come testimoniato, ad esempio,
dall’esperienza dei dottori di ippocrateorg.org e del Comitato Cure
Domiciliari Covid-19, a smentire con oltre 60.000 guariti la diffusa
vulgata secondo cui non esistono valide alternative mediche al vaccino).
Proprio a Bergamo, dove a inizio pandemia l’abbandono dei pazienti
fino all’aggravarsi della malattia e l’inopportuna pratica di
ventilazione forzata precoce hanno contribuito a causare così tante
morti, possiamo permetterci altri errori?
Oggi chiunque critichi
l’effettiva utilità sanitaria e la neutralità politica del Green Pass
rischia di attirarsi quella stessa accusa di “irresponsabilità” che
viene già disinvoltamente rivolta, con modi sempre più violenti e
intimidatori, a chiunque decida di non farsi iniettare i vaccini genici a
mRna e a Dna ricombinante (la cui fase di sperimentazione terminerà,
per i diversi brevetti, tra il 2022 e il 2023). Ci si chiede quale
considerazione del concetto di responsabilità abbia realmente oggi chi
ci governa, laddove Stato, istituzioni e multinazionali farmaceutiche –
ben lungi dall’assumersi la responsabilità delle proprie decisioni
politiche e tantomeno i rischi degli effetti avversi da vaccini – li
scaricano sul senso civico e sulla “libera scelta” dei cittadini stessi.
La manleva di responsabilità avviene tramite consenso informato, accompagnata da forme di pressione psicologica, sociale e mediatica che giungono ora a compimento con l’imposizione del Green Pass, una sorta di obbligo indiretto che preclude – in assenza di tamponi diagnostici o certificati d’avvenuta vaccinazione – l’accesso a servizi essenziali. Queste misure, come l’obbligo vaccinale ventilato in queste settimane, sarebbero forse più comprensibili e accettabili se il rapporto benefici/rischi della vaccinazione anti-Covid 19 fosse nettamente a vantaggio dei primi, ma anche su questo vi sono ragionevoli dubbi all’interno della stessa comunità scientifica. Al netto di una controversa ma in genere assai bassa letalità del virus (attestata secondo l’OMS allo 0,6%, senza considerare le differenze per fasce d’età e i casi di comorbilità e patologie pregresse), si ricorda che tra gli effetti avversi a breve termine dei vaccini genici possono presentarsi gravi trombosi, danni neurologici, miocarditi e pericarditi; nel lungo termine, sono svariati gli scienziati che prospettano il serio rischio di effetti mutageni, infertilità, malattie autoimmuni e tumori.
Perfino i dati ufficiali iniziano a parlare chiaro: l’Eudravigilance, la banca dati europea di farmacovigilanza dell’EMA, registrava al 31 luglio 2021 e per i soli paesi dell’Unione Europea un totale di 20.594 morti associate ai vaccini anti-Covid e un totale di 1.960.607 effetti avversi provocati dagli stessi (dei quali 968.870 gravi). In fatto di responsabilità, com’è possibile sorvolare sulle gravi reazioni che possono conseguire dalla vaccinazione anti-Covid 19, specie per una fascia d’età, quella degli studenti universitari, in cui la relativa pericolosità del virus è ulteriormente ridotta?
Tornando a noi, e
sempre a questo proposito, è utile a questo punto richiamare le parole
del nostro Rettore, dalla citata email del 10 agosto 2021
sull’introduzione del Green Pass:
Contiamo sul vostro senso di responsabilità, come abbiamo sempre fatto, convinti che provvederete quanto prima (e possibile) a farvi vaccinare: solo in questo modo avremo la speranza di “tenere a bada” il contagio e, di conseguenza, di proseguire le nostre attività in presenza tutti insieme, senza paura di danneggiarci l’un l’altro.
Caro Rettore, con la presente ci sentiamo di rassicurarLa: Lei può senz’altro contare sul nostro senso di responsabilità morale, non certo nel farci “quanto prima (possibile)” vaccinare (visto che il vaccino, come sopra ricordato, non assicura affatto di poter “tenere a bada” il contagio), bensì nel non assecondare, per il
bene nostro e altrui, un nuovo ordine culturale, legislativo e sociale nutrito d’irresponsabilità politica e di coartazione tecnologico-sanitaria.
Da parte nostra sarebbe relativamente comodo, facile e indolore accettare il requisito del Green Pass per meglio concentrarci egoisticamente sulla nostra singola carriera universitaria, apprestandoci a vivere il mondo di domani come se non fosse un prodotto delle nostre scelte (o delle nostre reticenze) di oggi. Disgraziatamente, però, il nostro senso di responsabilità ci trattiene dal farlo. A Lei che ce ne ha ricordato l’importanza, ci permettiamo così – a nostra volta – di ringraziarLa richiamandoLa a questo stesso principio, non solo nei riguardi dell’Università di Bergamo ma di tutti gli atenei lombardi di cui è coordinatore. A porsi idealmente di fronte a tutti gli studenti, indistintamente. E a ribadire, se vorrà, queste sue stesse parole suasive e perentorie.
È sicuro di volersene prendere la
responsabilità?
Insieme a tutti i destinatari della presente, ci
chiediamo in particolare se anche i professori della nostra Università
vorranno accondiscendere, foss’anche solo nel silenzio/assenso, a questa
stessa sovrana attitudine alla deresponsabilizzazione, al pensiero
unilaterale e semplificatorio, al silenziamento d’ogni dissenso critico,
quando non già criminalizzato o patologizzato.
Esattamente
novant’anni fa, nel 1931, venne imposto a tutti i professori
universitari l’obbligo di giurare fedeltà al regime fascista, pena la
destituzione dalla cattedra di cui erano titolari. Come ben sappiamo,
solo 12 professori su 1.225 rifiutarono. Oggi il personale docente e non
docente presente negli istituti universitari italiani ammonta a circa
125.600 persone: quanti di questi si rassegneranno ad accettare
l’inaccettabile?
Giova ricordare a tutti noi – che conosciamo così male
la Storia – quanto ancora rischiamo di ripeterne gli orrori?
Cari
professori: anche noi, come il Rettore nei nostri confronti, sappiamo di
poter contare sul suo e sul vostro senso di responsabilità, certi “che
provvederete quanto prima (e possibile)” a levare finalmente una voce
contraria e non sottomessa dinanzi a questo provvedimento
incostituzionale e inqualificabile, come alcuni vostri colleghi stanno
già coraggiosamente iniziando a fare, da Andrea-Sigfrido Camperio Ciani
(ordinario di Etologia, Psicobiologia e Psicologia evoluzionistica
all’Università di Padova) a Francesco Benozzo (associato di Filologia e
linguistica romanza all’Università di Bologna, candidato al Nobel per la
Letteratura dal 2015).
Forse non sarete tutti, forse sarete solo una
piccola parte, ma ci basterà per essere fieri, una volta di più, di
essere o essere stati vostri studenti. Ci sarà sufficiente per non
incrinare la fiducia che in questi anni di studio abbiamo avuto e
tuttora abbiamo in voi. Per non dover mettere in discussione, alla
radice, il senso del vostro stesso insegnamento.
Se poi vorrete,
spazientiti, sbirciare già alla fine di questo messaggio ben poco smart,
social friendly o parcellizzabile in slogan pronti ad essere confutati
con ottusa disinvoltura dai sedicenti fact-checker, troverete un nuovo
motivo di delusione. Vedete, non ci firmiamo “Studenti contro il Green
Pass”. Nemmeno “Studenti contro i sieri genici sperimentali a mRna e Dna
ricombinante”, o “Studenti contro il terrorismo mediatico, il
tracciamento sanitario e la digitalizzazione totalitaria”. Siamo,
semplicemente, studenti dell’Università di Bergamo. Spiacenti di
aggiungere un’inerte constatazione in un momento già governato dal
consenso tautologico e dal culto dell’identico, ma, sapete, questo non è
niente di più e niente di meno di quello che effettivamente siamo.
Siamo parte della comunità universitaria. Ci siamo regolarmente
iscritti, pagando le tasse universitarie. Abbiamo frequentato le
lezioni, abbiamo sostenuto gli esami, anche con medie eccellenti.
Durante il nostro percorso universitario, come tutti, siamo stati
colpiti dai lutti e dalle restrizioni.
Infine siamo tornati in Università, per riprendere, terminare o proseguire i nostri studi. E ora?
Ora,
con il D.L. 111/2021 e la conseguente comunicazione del Rettore, chi è
deciso a non accettare l’illegittima imposizione del Green Pass non
sembra venir nemmeno contemplato nella vita universitaria, sia pure con
altre modalità di partecipazione (senza curarsi del considerando n. 36
del regolamento 953/2021 del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea
sull’uso del Green Pass, dove si sancisce che anche coloro che hanno
scelto di non essere vaccinati non possono essere oggetto di
discriminazione, diretta o indiretta).
Neppure un riferimento alla
possibilità – comunque moralmente discutibile e insoddisfacente – di
svolgere gli esami a distanza, ricorrendo a una modalità partecipativa
così sistematicamente e agilmente adottata nell’anno e mezzo di
emergenza pandemica. Ed eccoci esclusi, come accaduto ad altri studenti
Unibg nel curioso caso di occultamento dei 192 commenti – in larghissima
parte critici – sottoscritti al post di Facebook con cui l’Università
di Bergamo informava dell’introduzione del Green Pass, lo scorso 23
agosto: fuori dal testo, fuori dal diritto, fuori dalla comunità.
Confidiamo in una dimenticanza, in un refuso, a cui auspichiamo si
rimedi presto, come a livello governativo si è fatto con quel celebre
“per scelta” curiosamente omesso e poi reintegrato nella traduzione
italiana dello stesso 953/2021. Perché questo è quello che siamo:
studenti dell’Università di Bergamo, a rappresentanza di pressoché tutte
le sue facoltà. Non ci qualifichiamo, non ci quantifichiamo. Potremmo
essere 10, 100, 1000, 10000... Ma anche se fossimo solo in due, come
erroneamente e grottescamente riportato dal Corriere della Sera-Bergamo
in data 18 agosto 2021 riguardo ai primi due giorni di raccolta firme a
Bergamo per la petizione indetta dal Prof. Granara, dovrete fare i conti
con la nostra presenza. E con le nostre domande.
Da aspiranti
filologi e filosofi, ci chiediamo come sia ammissibile una
massificazione tanto violenta e un depauperamento tanto sistematico e su
larga scala del linguaggio e del pensiero critico.
Da aspiranti
pedagogisti, ci domandiamo se tutto ciò non sottintenda un preoccupante
stravolgimento dei concetti stessi di istruzione, di educazione e di
insegnamento.
Da aspiranti psicologi, ci interroghiamo su quanto sia
legittimo ed eticamente accettabile l’abuso di tecniche di
condizionamento mentale da parte di mass media e istituzioni nel
promuovere la campagna vaccinale.
Da aspiranti ingegneri, ci
chiediamo quanto sia effettivamente fondato e corretto un utilizzo
mediatico e strumentale di statistiche e dati, volti a giustificare
restrizioni e norme politico-sanitarie.
Da aspiranti giuristi, ci
interroghiamo su quanto siano tollerabili nel nome dell’emergenza
sanitaria la drastica riduzione e il graduale smantellamento delle
libertà fondamentali sancite dalla Costituzione Italiana e
dell’ordinamento democratico del nostro Paese.
Da esseri umani, ci
domandiamo quanto sia sostenibile questa china tecnocratica e disumana
che si va profilando, e a quale idea di futuro autoritario e
biomedicalizzato ci stiamo progressivamente adattando. Per paura, indifferenza o conformismo.
Ci chiediamo tutto questo, e lo chiediamo a voi. A ciascuno di voi.
Cosa deciderete di fare?
In
un contesto di pianificato caos normativo e statistico dove di
osservabile e verificabile sembra rimanere ben poco, e dove a dettare
legge sono spesso gli scienziati più autoritari in luogo dei più
autorevoli, avanziamo il sospetto che l’Università tutta rischi oggi di
trovarsi davanti a un bivio cruciale.
Può darsi, a ben vedere, che non siamo lontani dalla concreta, drammatica possibilità di regredire dai moderni principi del metodo scientifico sperimentale – che delle Università rinnovarono, illuminarono e affinarono lo spirito – all’opacità di un nuovo, restaurando dominio del principio d’autorità, sclerotizzato in granitica e incontestabile Scienza.
Per riconoscere la direzione più giusta e probabilmente più sana, può darsi che la strada da percorrere non sia all’insegna della paura e del controllo, bensì del coraggio e della libertà, debitamente scrostati dalle sedimentazioni propagandistiche di questi mesi.
E può darsi che al netto di tutti i
ricatti morali e occupazionali del caso, non siamo altri che noi –
mittenti e destinatari di questa lettera, insieme – i primi artefici del
futuro che ci aspetta.
Da oggi stesso, ognuno di noi, individualmente, ne sarà responsabile.
Grazie dell’attenzione,
Studenti dell’Università di Bergamo
Commenti
Posta un commento