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I dati del covid-19

Esiste un dibattito scientifico ed etico-politico sul covid-19. È stato sostanzialmente ignorato dai principali media, con l’eccezione di sedi “di complemento” come YouTube e Facebook, che però hanno anche attuato pesanti forme di censura che dopo l’inizio della campagna vaccinale anti-covid-19 si sono rafforzate.
 

La campagna per convincere tutti che la sola via d’uscita dalla militarizzazione della vita sociale e dallo spegnimento a tempo indeterminato di tutte le attività e i settori economici “non essenziali” era un vaccino è cominciata quando ancora nessun vaccino era stato sviluppato, e non si poteva nemmeno essere sicuri che ci si sarebbe mai arrivati.


Lo scopo di questo articolo (che è collegato e si riferisce all’occorrenza ai miei precedenti contributi sull’argomento, e in particolare al più esteso) è invece di sintetizzare alcuni elementi di fatto essenziali emersi fin qui sulla questione covid-19 e discuterne il significato. 

Poiché la disinformazione sfrutta la ritrosia di gran parte dei cittadini a entrare nelle questioni numeriche, ho presentato nella maniera più elementare alcuni dei dati resi disponibili dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in modo da permettere a chi lo voglia di trovare facilmente le pagine internet rilevanti, verificare quanto dico, e tenersi informato sull’evoluzione dei parametri chiave.
Niente di quello che segue intende distogliere la popolazione a rischio di complicanze dall’attuare forme di autoprotezione da tutte le forme similinfluenzali, particolarmente in questi mesi dell’anno. 

Ma lo stesso l’avrei potuto raccomandare negli anni scorsi, quando del SARS-CoV-2 ancora non si sapeva niente (anzi, l’ avevo pure fatto in un libro uscito in prima edizione nel 2015).

Ci sono buone ragioni per ritenere che la versione ufficiale del covid-19 ha fatto, sta facendo e farà più vittime di quante ne potrebbe mai fare l’equivocazione da parte di lettori disattenti o malintenzionati delle critiche a tale versione. Da parte degli intellettuali e soprattutto della comunità accademica esiste un dovere di fare chiarezza, piuttosto che selezionare quale posizione assumere sulla base delle aspettative di finanziamento e successo dei propri progetti editoriali o di ricerca.


Il caso italiano
In questo articolo mi occuperò quasi soltanto del caso italiano. A sentire questa definizione dello scopo una reazione comune è: ma il covid-19 non è una pandemia? Qualsiasi ipotesi sia fatta per spiegare il caso italiano deve essere verificata su almeno qualche centinaio di altri Paesi in tutto il mondo, prima di poter essere accettata! O no?
No. L’idea che il covid-19 sia lo stesso problema sanitario per tutto il mondo, e che si possa facilmente generalizzare da un Paese, o addirittura da un continente, all’altro è radicalmente sbagliata. Non che siano mancati gli “esperti” disposti a sostenere questo e altro, beninteso.
Ecco un controesempio particolarmente chiaro.
Tra i problemi cronici dell’Africa c’è la carenza numerica e qualitativa delle sue strutture igieniche e sanitarie. In particolare ha pochi medici e poco personale sanitario. Nel seguito scriverò “Africa” con le virgolette per intendere la Regione Africana secondo l’OMS (che non include l’Egitto né la maggior parte dei paesi di lingua araba dell’Africa settentrionale).
In “Africa” nel 2016 si registravano 416.000 morti per tubercolosi (una tragedia sanitaria di cui i telegiornali nazionali non hanno fatto altro che parlare in questi ultimi anni, non ve ne eravate accorti?...).
Nella prima metà del 2020 gli “esperti” prevedevano che, tra tutti i continenti, sarebbe stata quello più martoriato dalla pandemia, e la stima che un modell o matematic o predittivo per l’"Africa" forniva era 150.078 (82.735-189.579) decessi “covid-19” nel solo primo anno della pandemia. Questa predizione è stata pubblicata il 25 maggio.
Bene, al 20 dicembre 2020, la percentuale dei casi di covid-19 e la percentuale dei decessi attribuiti al covid-19 sono state, in entrambi i casi, il 2% rispetto ai valori mondiali di entrambi. E con il covid-19 in “Africa” ci sono stati 37.741 decessi “covid-19” cioè meno della metà del valore minimo previsto. (Ipotesi sul caso africano sono discusse, per esempio, qui).
C’è invece un Paese industriale, con standard sanitari incomparabili a quelli medi africani e con circa 1/18 della popolazione dell’“Africa”. È l’Italia.
Nella sola Italia ci sono stati, secondo la stima ufficiale aggiornata al 28 dicembre dell’ISS, 70.085 morti “covid-19”
Cioè ha avuto quasi il doppio dei morti attribuiti al covid-19 in “Africa”.


Una divergenza così clamorosa dimostra oltre ogni ragionevole dubbio il carattere altamente specifico da un punto di vista geopolitico della “pandemia virale”.
Inoltre l’Italia ha avuto il 13% dei morti in tutta Europa e la mortalità massima tra i paesi europei, nonostante i severissimi provvedimenti restrittivi («lockdown») che è stata tra i primi Paesi ad adottare, e nonostante una popolazione altamente obbediente. (Sì, lo so che, di fronte al fallimento delle misure restrittive, i giornalisti governativi sono stati sguinzagliati per fare riprese di gruppi di persone che, con tanto di mascherina, osavano fare passeggiate sul lungo mare di qualche città. 

So anche che il ministero degli Interni ha attuato sistemi di sorveglianza contro i “disobbedienti”, o presunti tali, che avrebbero fatto scovare il boss mafioso Bernardo Provenzano in 4 settimane invece che in 43 anni).Infine la disparità regionale (e addirittura provinciale) dell’impatto della mortalità “covid-19” è un fenomeno così palese e coerente nel tempo , e l’intera popolazione italiana è così interconnessa in termini di circolazione di merci, lavoratori e turisti, che tale disparità semplicemente non si può spiegare in termini dell’azione di un singolo agente contagioso. Si guardi questa tabella, dal rapporto ISS aggiornato al 16 dicembre:

 Come si vede, la Lombardia, che ha il 16% della popolazione italiana, ha visto da sola il 37,9% dei decessi; e Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, che formano il 31% della popolazione italiana, hanno visto insieme il 57,2% dei decessi. Invece Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, che formano il 28,5% della popolazione italiana, hanno visto insieme l’11,3% dei decessi!
Diamo un altro controesempio.
La Tanzania è un paese africano molto povero e con 45 milioni di abitanti (vedi qui). Il suo presidente si è rifiutato di bloccare l’economia in funzione di contrasto al covid-19 e per questa ragione è stato trattato come un pazzo criminale dalle autorità sanitarie, dai principali media e dagli “esperti”.
Eppure secondo l’OMS al 20 dicembre i morti tanzanesi con covid-19 erano stati... 21. Sì, non ci sono errori di stampa: ventuno.
Queste semplici considerazioni basate su dati ufficiali confermano la tesi che solo una spiegazione tagliata su misura sul caso italiano può sperare di spiegare che cosa è successo in Italia. Chiudersi in un laboratorio di virologia non potrà mai dare la chiave di questo problema. Una conseguenza complementare è che la soluzione globale invocata e avallata da alcuni (vacciniamoci tutti!) per una problematica dalla fisionomia così fortemente geografica è un errore già solo per questo.


Covid-19 e SARS-Cov-2
Il covid-19 è una sindrome similinfluenzale che è stata dichiarata all’OMS (= Organizzazione Mondiale della Sanità) dal governo cinese il 31 dicembre 2019 e identificata l’8 gennaio 2020 come dovuta a un coronavirus denominato SARS-CoV-2 (d’ora in poi, per brevità: cov-2). È dalla Cinache si sarebbe diffusa nei paesi europei, arrivando in Italia a febbraio. Questa versione dei fatti è stata quella ufficiale per diversi mesi, ma oggi sappiamo che in Italia il cov-2 era in circolazione almeno da novembre (si veda anche qui). Ma che cosa sappiamo del cov-2 stesso e della sua relazione con il covid-19? Questo virus è stato mai coltivato, purificato e sperimentalmente dimostrato capace di provocare il covid-19 in un essere umano?
La risposta è no (c’è un’ampia documentazione al riguardo). Ma questo non significa che non esista il covid-19 in quanto sindrome similinfluenzale associata talvolta a complicanze fatali (come tutte le similinfluenze, compresa ovviamente l’influenza). Ciò che si mette in dubbio è che il cov-2 ne sia il principale fattore causale, anche nell’ipotesi che si possa considerare correttamente identificato da un punto di vista virologico.
Questa distinzione non è solo importante sotto il profilo scientifico, ma anche a livello di interventi sanitari. Se il cov-2 (virus) è la causa del covid-19 (sindrome similinfluenzale), allora
(1) identificare e isolare i contagiosi e (2) prevenire il contagio
è una strategia scientificamente fondata per evitare il dilagare dell’epidemia. Tuttavia, anche assumendo certa la relazione causale tra cov-2 e covid-19, l’effettivo impatto del covid-19 sulla mortalità in una certa popolazione dipenderebbe da:
(3) le condizioni individuali, epidemiologiche e sanitarie che favoriscono l’insorgenza di complicanze;
(4) la capacità di curare le complicanze del covid-19.
È solo se ci si dichiara incapaci di intervenire sulle condizioni (3), e se si nega (4) come si è fatto sistematicamente (cioè si dichiara invalida ogni terapia proposta anche se efficace sul campo) che la strategia (1)-(2) assume la centralità che in questi mesi il governo italiano ed altri governi le hanno conferito.


Scienza e decisioni politiche
Non basta però sapere quello che andrebbe fatto per poterlo e saperlo realizzare. Anche una strategia scientificamente fondata per evitare un male può causarne altri di tale entità da essere politicamente, giuridicamente, eticamente inaccettabile.
Come diceva Bernard Shaw, per rifare l’urbanistica di Londra secondo uno stile più funzionale ed esteticamente adeguato, un primo passo scientificamente fondato sarebbe stato, seguendo un noto esempio dell’antichità, incendiarla. Prima di riderci su, riflettiamo che questo è ciò che si può dire che abbia fatto il governo italiano con l’economia, i diritti civili, la socialità del nostro Paese.
In secondo luogo, se una strategia che, a priori, è scientificamente fondata risulta fallimentare alla prova dei fatti, non solo questo è un interessante problema scientifico, ma i decisori politici devono trarne le conseguenze, senza poter demandare alla “scienza” la soluzione del loro problema.
Per esempio, il 18 dicembre il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha risposto a una giornalista, che – rara avis – gli ha posto domande intelligenti sul l'elevato numero di morti in Italia nonostante le misure restrittive, che «qui la politica dismette il proprio ruolo e affida la risposta alla scienza».
Con ciò Conte ha dimostrato ancora una volta la propria inadeguatezza, intellettuale e politica, per il ruolo che riveste. Il segno più chiaro è riferirsi alla «scienza» su un tema come quello della pandemia covid-19 come se ci si riferisse a un oracolo invece che a un dibattito in corso che si esprime con voci fortemente discordanti. Simulare l’univocità delle risposte della scienza censurando le voci, per quanto professionalmente autorevoli, che dissentono dal Comitato tecnico-scientifico del governo è semplicemente un’impostura.
Che il covid-19 sia stata «La più grande beffa mai perpetrata su un pubblico credulone» non l’ha detto il primo che passa, ma uno dei massimi patologi statunitensi a una commissione governativa. Che la «seconda ondata» sia stata una messinscena fondata su test fallaci lo ha detto un ex principale consulente scientifico della Pfizer (quella del vaccino anti-covid-19, per intenderci).
Che le misure di blocco dell’economia e della società siano controproducenti è sostenuto in una lettera aperta di medici e sanitari belgi del 5 settembre 2020, e dai firmatari (al momento più di 712.000 cittadini, più di 13.000 scienziati medico-sanitari, più di 39.000 medici) della Dichiarazione di Great Barrington, lanciata il 4 ottobre 2020. E la gestione del covid-19 in Bielorussia indica che anche in Europa senza blocco dell’economia e della società si è riusciti a ottenere risultati molto migliori che da noi o in Gran Bretagna .
Si potrebbe continuare a lungo elencando altre prese di posizione, ma ciò basta a dimostrare la falsità della pretesa che la comunità medico-sanitaria sia d’accordo con le misure adottate da governi come quello italiano.
In altre parole: non c’è una scienza univoca del covid-19 e non c’è neppure un’unica strategia sanitaria che sia stata adottata da tutti i governi.


Mascherine
Si sbaglierebbe però a pensare che il dissenso informato e competente riguardi solo l’interpretazione generale del covid-19. Si considerino le “mascherine”, che sono diventate quasi una divisa in quella che è diventata sempre più simile a una leva obbligatoria per tutta la popolazione. E quando si è in un esercito, come si sa, gli ordini non si discutono: si eseguono. Ma chi ha autorizzato il governo a confondere la politica sanitaria con una campagna militare, a partire dalla dichiarazione di stato di emergenza?
Uno dei bilanci recenti più favorevoli all’uso delle mascherine che si trova nella letteratura ufficiale è apparso il 6 ottobre su Nature. Anche a non considerare il rituale e insensato esperimento sui criceti, è difficile trarne una conclusione univoca. Uno degli intervistati è Michael Osterholm, direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy all'università del Minnesota a Minneapolis, e di lui si legge:
«indossa la mascherina. Eppure lamenta “la mancanza di rigore scientifico” con cui finora è stato trattato l'argomento. “Stiamo sempre a criticare la gente perché fa dichiarazioni senza avere alcun dato [...] Facciamo molto la stessa cosa qui” [cioè a proposito dell'efficacia delle mascherine]».
Un mese e mezzo dopo, uno studio randomizzato e controllato, realizzato in Danimarca su quasi 5000 persone, arrivava al seguente bilancio, sia pure limitato:
«I nostri risultati suggeriscono che la raccomandazione di indossare una mascherina chirurgica quando si sta in mezzo agli altri fuori casa non ha ridotto, ai livelli convenzionali di
significatività statistica, l'incidenza dell'infezione di SARS-CoV-2 in chi le indossava, in un contesto in cui si applicava il distanziamento sociale e altre misure sanitarie non includenti
raccomandazioni sulle mascherine, e l'uso delle mascherine nella comunità era raro.»
È uno studio che ha faticato ad essere accettato per la pubblicazione su rivista (il problema generale della pubblicazione sulle riviste scientifiche è centrale, ed è ampiamente discusso nel mio libro citato). Non solo, ma Facebook ha pure censurato la pagina di due illustri epidemiologi che ne davano un giudizio positivo. Ma lo studio danese non era certo il primo che gettava dubbi.
D’altra parte, nel considerare le raccomandazioni dell’uso generalizzato delle mascherine (non stiamo parlando delle sale operatorie!) ci sono altre considerazioni da fare: concentrarsi sull’unico aspetto di quanto esse schermino il contagio, in partenza e/o in arrivo, è un esempio di scienza su
commissione più ancora che di specialismo ottuso. In effetti andrebbero considerati:
- le conseguenze nocive dell’indossare per molte ore la mascherina: la mascherina fa reinalare anidride carbonica e, in chi è infetto, la reinalazione manda in profondità nelle vie respiratorie anche il virus, con il rischio di provocare una pericolosa infiammazione polmonare e trasformare un
asintomatico in un malato;- il rischio posto all’utente dal materiale di cui è fatta la mascherina : il 70% delle mascherine
contengono biossido di titanio, un cancerogeno sugli umani per inalazione o ingestione;
- il disastro ecologico in corso per lo smaltimento delle mascherine: le mascherine «impiegano fino a 450 anni per decomporsi», e «lo smaltimento errato di anche solo l’1% delle mascherine utilizzate nel mondo potrebbe causare ogni mese la dispersione in natura di 10 milioni di mascherine».
Non considerare questi aspetti della questione significa mettere a rischio la presente e le future generazioni, e mi auguro che chi si è fatto garante dell’adozione di questa misura protettiva da parte di tutta o quasi la popolazione in nome della “guerra al covid-19” (magari raccomandando le mascherine subito dopo aver scritto che non c’erano prove scientifiche dell’utilità!) sia chiamato a risponderne nelle sedi opportune.


Etica della sperimentazione
Sopra ho menzionato la sperimentazione su volontari umani per appurare l’effettivo peso causale del cov-2 (cfr. anche qui). Qualcuno potrebbe chiedersi: ma esporre a un virus alcuni volontari sani (i ricercatori biomedici dovrebbero essere i primi a proporsi) per vedere se produce i sintomi (quasi sicuramente blandi) del covid-19 non sarebbe contrario all’etica? Il sottinteso è che è molto meglio fare la prova su altre specie animali, come si fa – ma purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) questa metodica permette di concludere “su ordinazione” qualsiasi cosa. In realtà questo è stato capito, ma se ne sono tratte le conseguenze, purtroppo, solo nella sperimentazione dei vaccini anti-covid-19.
Per quanto riguarda l’etica, è opportuno ricordare che le campagne di vaccinazioni di entrambi i vaccini antipolio Salk e Sabin, contaminati dal Simian Virus 40 – un virus delle scimmie cancerogeno su varie specie animali – fecero sì che questo virus fosse somministrato negli anni 50 e 60 del secolo scorso a centinaia di milioni di persone ignare. Ciò fu giudicato perfettamente in linea con l’etica, e nessuno è mai stato processato per questo.
Se non ci si rende conto che è così che funzionano i giudizi etici ufficiali sulla ricerca biomedica non si è in grado di orientarsi nemmeno in ciò che da un anno si sente dire dai principali media sul covid-19 e il suo presunto vaccino.


Tamponi
In ogni caso, anche se l’origine cinese del cov-2 è dubbia, è sicuro che dalla Cina sono arrivati i primi test per dichiararne la presenza: i tamponi. Il “tampone” è un’attrezzatura per il prelievo di campioni clinici, con reagenti che, dopo opportuno trattamento, rivelerebbero la presenza nel campione di RNA virale. Il trattamento usa un processo di amplificazione detto RT-PCR.
Come per primo aveva, in generale, sottolineato il chimico insignito del premio Nobel proprio per la scoperta di tale processo, Kary Mullis – purtroppo scomparso poco prima che si cominciasse a parlare di covid-19 – fissare il numero di cicli di amplificazione (Ct) necessario per dire se il campione sia “positivo” o “negativo” è una scelta largamente arbitraria. E tuttavia si può dire che se si superano i 3 3 cicli, un soggetto “positivo” non è contagioso – anche se ufficialmente
continua ad essere classificato come “positivo”. L’articolo da cui sto citando è apparso il 27 aprile 2020.
Benché questa critica sia stata ripresa ed elaborata da molti autori (ma non da quelli che potrebbe capitarvi di vedere sui normali canali televisivi), è solo il 14 dicembre scorso (cioè sette mesi e mezzo dopo) che l’OMS ha ritenuto di dover mettere in guardia a tale riguardo chi deve valutare l’esito di un tampone. In particolare, oltre a invitare gli utilizzatori di questi test a leggere attentamente e integralmente le istruzioni e a mettersi in contatto con il produttore in caso di dubbi,
l’OMS scrive (mio grassetto):«4. Considerate ogni risultato positivo (il SARS-CoV-2 è rilevato) o negativo (SARS-CoV-2 non
è rilevato) in combinazione con il tipo di campione clinico, con le osservazioni cliniche, con la storia del paziente e le informazioni epidemiologiche.
5. Fornite il valore di Ct nel rapporto all’unità sanitaria richiedente.»
In altre parole: senza un’adeguata considerazione del contesto clinico (individuale) ed epidemiologico (della popolazione), e senza che si conosca il numero dei cicli di amplificazione
adottato, un tampone positivo non dice letteralmente nulla sullo stato di salute e l’infettività di un soggetto. Questa è ormai un’opinione non solo scientificamente fondata, ma ufficiale.
Che i tamponi non siano affidabili è qualcosa che fa notizia solo quando riguarda personaggi famosi. Per esempio, Elon Musk, della Tesla, ha diffuso un messaggio, il 13 novembre, in cui dice che in quello stesso giorno si è sottoposto per 4 volte al tampone rapido della Becton, Dickinson and Co.: 2 volte è risultato negativo, e 2 volte positivo. Lanciare una moneta 4 volte avrebbe dato un verdetto ugualmente valido. Oppure la ministra Lamorgese, che era stata annunciata “positiva”, prima che due altri tamponi risultassero entrambi negativi (come sapete, ogni persona che risulta positiva viene sottoposta a uno o più tamponi di conferma, giusto?...). Un caso più complesso ma che getta lo stesso seri dubbi su questo test è quello della squadra della Lazio fra ottobre e novembre.


“Casi”
Prendiamo adesso un rapporto recente dell’ISS . Secondo tale rapporto, al 22 dicembre in Italia ci sono stati 1.963.023 «casi», e 67.540 «deceduti». La «letalità» è il rapporto:
67.540/1.963.023 ~ 3,4%.
Voglio adesso spiegare perché ognuna delle tre parole virgolettate è problematica.
Innanzitutto: che cos’è un «caso»? Andando in un’altra pagina dell’ISS si legge: «Si ricorda che la definizione internazionale di caso, adottata anche dall’ISS, prevede che venga
considerata come caso confermato una persona con una conferma di laboratorio del virus che causa COVID-19 a prescindere dai segni e sintomi clinici.»
Quindi la definizione utilizzata dall’ISS è in conflitto con le indicazioni (per quanto tardive) dell’OMS sopra citate: un «caso» nel senso dell’ISS è un individuo positivo al tampone, senza la contestualizzazione che l’OMS ritiene indispensabile a dargli un significato clinico.
A partire dal 23 aprile nelle statistiche della Protezione Civile, oltre al totale dei tamponi effettuati, c’è anche una nuova colonna dei “casi testati”, in cui figurano numeri nettamente più bassi. Così fino al 22 dicembre i tamponi effettuati sono stati 25.383.219, ma le persone testate sono state solo
14.386.848. Ora i “casi” sono stati 1.301.573, quindi il 9% degli individui testati è stato positivo in un qualche momento tra febbraio e dicembre del 2020. La mortalità del covid-19 è stata, su tutta la popolazione italiana (di 60,3 milioni di abitanti) dell'1,6%. Torneremo tra poco sulla questione di quale significato dare a questa percentuale.


Cambio di criteri
Come mai l’OMS si è finalmente sbilanciata? Perché non aveva spiegato il rischio di falsi positivi con un alto Ct molto prima? Una spiegazione plausibile è che regole più stringenti per la diagnosi del covid-19, in corrispondenza dell’inizio della campagna vaccinale, permetteranno di diminuire
i falsi positivi e attribuire tale diminuzione al vaccino.
Non sarebbe la prima volta che il successo di una campagna di vaccinazioni è stato realizzato cambiando definizioni chiave e criteri diagnostici da prima a dopo l’inizio della campagna. Forse l’esempio più famoso è quello del cambiamento della definizione di epidemia e di poliomielite da prima a dopo l’introduzione del vaccino Salk (si veda la dichiarazione di Clinton Miller davanti alla Camera dei Rappresentanti degli U.S.A. nel 1962).Un aspetto interessante dei programmi scolastici di storia è che la storia della medicina (anche solo quella dell’ultimo secolo) non ne fa parte, e anche episodi di ovvia importanza sotto molti profili come quello appena citato non sono esposti nei manuali. Poiché non siamo “complottisti” l’unica spiegazione valida è una involontaria dimenticanza...


“Caso” o malato?
Normalmente in medicina un “caso” di una certa malattia è una persona malata. Ma così non è con i “casi” di covid-19: in breve, tra i casi di covid-19 il malato non è la regola, ma l’eccezione.
Notiamo innanzitutto la fine distinzione che si è tracciata tra gli stati di non-malattia tra i positivi (si veda l’Appendice):
- l’asintomatico (non ha sintomi e non li avrà mai);
- il presintomatico (non ha sintomi, ma li avrà (?) entro un massimo di 14 giorni);
- il paucisintomatico (ha “pochi” (?) sintomi);
- il lievemente sintomatico.
In alcune statistiche si è raggiunto il sublime contemplando una quinta categoria: il sintomatico ma senza precisazione del sintomo. A queste categorie di non-malattia fanno seguito i casi di malattia, distinti tra severi e critici.
Che l’asintomatico sia contagioso è qualcosa che si continua a ripetere da parte di chi vorrebbe tornare dalla scienza alla magia, ma, alla fine del 2020, non esistono prove convincenti che questo sia vero. E nemmeno esistono test di infettività in uso corrente che possano stabilirlo in un caso particolare.
Per capire quale sia l’incidenza delle prime 4 classi rispetto alle altre 2 basta guardare il seguente grafico, aggiornato al 30 novembre.
È chiaro che dal mese di luglio in poi i casi severi o critici formano meno del 5%. Per considerare il periodo successivo, nei 30 giorni fino al 22 dicembre ci sono stati 490.197 casi, e circa 24.510 sono stati severi o critici. Se consideriamo che il 9% della popolazione italiana sono stati “casi” tra febbraio e dicembre, ma meno del 5% di questi hanno avuto bisogno del ricovero in ospedale, si ricava che nello stesso periodo il rischio di essere ospedalizzati in un reparto covid-19 è stato lo0,45%, cioè 1 su 2222.


Decessi
A questo punto bisogna trattare una obiezione che per molti cittadini è un argomento a favore delle scelte del governo che non ammette replica: e i morti? Se il covid-19 non fosse la malattia grave con cui ci spaventano quotidianamente, come si spiegherebbe una così alta mortalità?
Ammettiamo, per rafforzare la tesi che intendiamo confutare, che l’attribuzione al covid-19 dei decessi censiti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) non dia adito a dubbi. Come sopra, utilizzerò, con riferimenti, esclusivamente i dati dell’ISS, dell’ISTAT e della Protezione Civile, cioè quelli di cui fanno uso il ministero della Salute e i suoi consiglieri. Che cosa dicono?
Il dato di gran lunga più importante per farsi un’idea realistica del covid-19 riguarda le età degli individui censiti.
Secondo il rapporto covid-19 aggiornato al 16 dicembre , l'età mediana dei deceduti positivi è 82 anni, mentre quella dei positivi è inferiore di più di 30 anni: 48 anni.
In Italia l'aspettativa di vita alla nascita è 85,3 anni per le donne e 81,0 per gli uomini.
Ora, in base alla stessa fonte, l’età mediana dei morti per covid-19 è, per le donne, 85 anni, e per gli uomini 80.
In prima approssimazione, ciò indica che il covid-19 uccide prevalentemente soggetti vicini al limite della loro aspettativa di vita.
Beninteso, è una grave perdita. Sono convinto che non solo alcuni grandi artisti o intellettuali, ma l’intera “quarta età” andrebbe valorizzata, e che la sua emarginazione sia un male da combattere a beneficio dell’intera società. Il fatto che nelle residenze per anziani c' è stata un'alta proporzione dei morti "per covid-19" è solo una delle tante prove che si è molto lontani dal curarsi degli anziani come si dovrebbe.
Con tutto ciò, nessuno vorrà sostenere che essere colpiti da una qualsiasi infezione alle vie respiratorie, non solo quella da cov-2 ma anche un raffreddore curato male, possa dare un contributo positivo alla longevità di un individuo già in età avanzata.
Collegare la mediana dei decessi all’aspettativa di vita ci dà quindi una parte di un’importante verità sul covid-19. Ma non tutta.
L’altra parte è che i morti “covid-19” con almeno una grave patologia preesistente costituiscono il 96,9%, e quelli che ne hanno almeno 3 (sic!) sono il 66,2%.
Quindi l’enunciato completo è: il covid-19 uccide prevalentemente soggetti vicini al limite della loro aspettativa di vita e, per tutte le fasce d’età, sofferenti di una o, per la maggioranza, più di 3 gravi patologie croniche.
So bene che ISS e ISTAT hanno fatto ogni sforzo per convincere gli italiani del “protagonismo” del covid-19, ma sono tentativi partoriti dalla propaganda, non dalla scienza .
Per sincerarsi che il precedente enunciato in grassetto descrive accuratamente la letalità del covid- 19, consideriamo tutte le classi di età.
Fino a 50 anni non compiuti i morti “positivi” sono stati 737 su un totale di 63.562, cioè l’1,1%. Di questi 737, erano solo 19 quelli che «non avevano diagnosticate patologie di rilievo».
L'età media in Italia è 45,7 anni. La popolazione fino a 50 anni non compiuti è il 55,3% della popolazione, cioè 33,35 milioni. Quindi nella fascia d'età fino a 49 anni compiuti la mortalità del covid-19 è stata 737/33.35 x 10 -6 = 22 milionesimi
cioè lo 0,0022%, o, se si preferisce, 2,2 su 100.000.
Pertanto dire che chi ha meno di 50 anni, e anche chi ne ha molti di più ma non soffre di gravi patologie croniche, non debba preoccuparsi eccessivamente del covid-19, non è frutto di un irresponsabile ottimismo che “nega” che ci siano stati morti, ma è una sintesi oggettiva del quadro fornito dai dati epidemiologici ufficiali.
È chi nega questo, che sta negando le evidenze epidemiologiche ufficiali.
Se quindi è ragionevole, come è, distinguere tra il profilo epidemiologico delle diverse regioni italiane per applicare ad esse regolamenti diversi (regioni gialle, arancioni, rosse), allo stesso modo regole di comportamento diverse dovrebbero essere raccomandate alle diverse classi della popolazione tenendo conto del loro profilo di rischio. E raccomandare regole di comportamento salutari significa facilitarne l’esecuzione dopo averne dimostrato la ragionevolezza, non mettere in atto un sistema di coercizione e punizione, che, oltre ad essere controproducente, è contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione italiana.


Mortalità per tutte le cause
Si sente a volte sostenere che il dato più importante non è la mortalità associata al covid-19, ma la mortalità per tutte le cause. In altre parole, la ragione per occuparsi del covid-19 sarebbe il fatto che ha messo in crisi il sistema sanitario in Italia (e in altri paesi), e che ciò ha provocato decessi non solo correlati a diagnosi di covid-19, ma anche come “danni collaterali” di tale crisi.
È innegabile l’importanza della mortalità per tutte le cause, innanzitutto perché è un parametro oggettivo, a differenza della eziologia della mortalità – cioè la classificazione dei decessi secondo le cause. Tuttavia non giova all’analisi della situazione sanitaria non distinguere tra le diverse cause
di un aumento della mortalità.
Com’è noto, nel decennio 2010–2019 al sistema sanitario nazionale sono stati sottratti 3 7 miliardi di euro, e tagliati 70.000 posti letto e 359 repart i . È evidente che una classe dirigente che ha voluto risparmiare sulla sanità pubblica è responsabile di aver portato il nostro Paese sull’orlo della catastrofe sanitaria – sostanzialmente come l’inadeguato investimento nell’edilizia antisismica, e gli insufficienti controlli sui lavori eseguiti, hanno fatto sì che in zone notoriamente ad alto rischio sismico un terremoto abbia causato tragedie.Naturalmente nel sostenere ciò non si sta affermando che non ci siano stati terremoti, ma che questi non avrebbero avuto gli effetti che abbiamo dovuto constatare senza una politica del territorio sprezzante della sicurezza dei cittadini.
In generale, chi insiste sull’eccezionalità di un evento negativo, sanitario o sismico, lo fa per dissimulare responsabilità politiche, e il caso del covid-19 è un esempio da manuale di tale strategia.


Disinformazione quotidiana
In questi mesi siamo stati informati giorno per giorno dei morti da covid-19. Ecco un esempio tipico tratto dal sito dell’ANSA:
Ora, innanzitutto la mediana, nei casi fatali, tra l’insorgenza dei sintomi e il decesso è 12 giorni: quindi l’accostamento dei nuovi casi alle vittime è in sé stesso privo di senso statistico: se in un giorno c’è una diminuzione dei nuovi casi, non dobbiamo aspettarci per quel giorno anche una diminuzione delle vittime, perché queste saranno comprese tra i casi, per ipotesi più numerosi, di 2 settimane prima. Quindi la formulazione giornalistica che è stata ripetuta incessantemente
“diminuiscono i casi, ma resta alto il numero delle vittime” alimenta nei non esperti non solo la paura ma anche un errore statistico: tra le due parti della proposizione non c’è infatti
contraddizione.
Inoltre i casi, di per sé, hanno senso solo se si riporta il tasso dei positivi rispetto alle persone testate. La positività rispetto al totale dei tamponi effettuati si è attestata intorno al 7,8%. Questo non vuol dire che attualmente il 7,8% della popolazione sia positiva, ma è la percentuale degli italiani che, sottoposti al tampone in qualche momento tra febbraio e dicembre 2020, lo sono stati. Al 26 dicembre la percentuale della popolazione italiana che è positiva è stimata essere lo 0,9%. Ma, come abbiamo visto, la positività non indica una malattia in atto e, tra i positivi, i malati che potrebbero aver bisogno di ricovero ospedaliero sono 45 su 100.000 (cioè lo 0,5% dello 0,9%).
Una tendenza decennale
Ma, tornando al titolo ANSA, 459 decessi in 24 ore sono molti o pochi? Questa domanda sembra così brutale che il semplice porla può suscitare sospetti di cinismo – eppure va posta per capire di che cosa stiamo parlando.
La media della mortalità quotidiana negli ultimi 5 anni è stata 1728. Cioè, anche ammettendo le attribuzioni ufficiali di “morte per covid-19” (e ho spiegato qui e qui perché non sono affidabili), in quelle stesse 24 ore (24-25 dicembre) ci sono state circa 1269 persone che non sono morte per covid-19.
Se si va a guardare l’evoluzione della mortalità in Italia negli ultimi anni (altra informazione che non viene mai data), si scopre che è in crescita da dieci anni – precisamente in quello che ho definito il decennio nero della sanità italiana. Ecco il grafico del tasso di mortalità ogni 1000 persone in Italia dal 2000 al 2020

A partire dal 2010 tra il numero di anni e il tasso c’è una correlazione lineare pressoché perfetta, e si vede che il tasso di decessi per 1000 cresce di 1/10 ogni anno. Inutile dirlo, nessuno dei principali media ha mai parlato di questa crescita oggettiva della mortalità per tutte le cause.
Questo grafico mostra chiaramente che siamo di fronte a un regresso sanitario non su 10 mesi, ma su 10 anni, e che il covid-19 vi ha avuto un ruolo da comprimario, non da protagonista.
Ancora una volta: i morti sono reali, dolorosamente e innegabilmente reali. Quello che non è reale è il ruolo ingigantito attribuito all’infezione da cov-2. Chi ne ha fatto un’emergenza in nome della quale nessuna rinuncia, nemmeno al lavoro e ai diritti civili, era eccessiva, avrebbe dovuto spiegare prima questo fenomeno di lungo periodo. Nessuno l’ha fatto.


Ipotesi e più che ipotesi
Ci sono ipotesi verosimili per questa crescita del tasso di mortalità, e anche molto probabili.
Innanzitutto è evidente che il già citato depotenziamento della sanità pubblica ha concorso a questa tendenza.
Ma ci sono altre ragioni, di cui ho già parlato in varie occasioni.
1) Inquinamento atmosferico
Le monografie dell’EEA (= Agenzia europea dell’ambiente) sull’inquinamento atmosferico dovrebbero essere sul tavolo di lavoro di ogni ministro della Salute. L’Italia è da anni oggetto di procedure d’infrazione per violazione dei parametri della salubrità dell’aria. L’ultima sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea è del 10 novembre 2020, e riguarda il «superamento sistematico e continuato dei valori limite applicabili alle microparticelle (PM10) in determinate zone e agglomerati italiani» (per un’analisi si veda qui). Il 30 ottobre la Commissione Europea aveva messo in mora l’Italia, dando una scadenza di due mesi. «In Italia, i dati disponibili mostrano che il valore limite per il Pm2,5 non è stato rispettato dal 2015 in diverse città della Pianura Padana, tra cui in particolare Venezia, Padova e varie zone vicine alla città di Milano. Inoltre, le misure previste dall’Italia nei suoi piani sulla qualità dell’aria non sono sufficienti, secondo la Commissione, per far durare il meno possibile i periodi di superamento dei limiti.
Il Pm10 e il Pm2,5 sono particolarmente pericolosi per la salute umana. L’esposizione al particolato può influire sulla funzione polmonare e causare, o aggravare, malattie cardiovascolari e respiratorie, infarti e aritmie; inoltre può avere conseguenze per il sistema nervoso centrale e il sistema riproduttivo, e provocare il cancro. Nell’Unione europea, ogni anno, quasi 350.000 morti premature sono attribuibili al solo Pm2,5.»
È evidente (anche se il rapporto dell’EEA 2020 ritiene che «the causality is not clear and further epidemiological research is needed») che la sovrapposizione con una qualsiasi similinfluenza in un individuo cronicamente esposto ai principali inquinanti dell’aria può facilmente portare a un esito fatale. E a questo proposito non posso che ripetere ancora una volta che le province in cui, nonostante tutte le misure di isolamento dal “contagio”, la mortalità attribuita al covid-19 ha raggiunto e mantenuto i massimi livelli sono esattamente quelle maggiormente colpite dall’inquinamento atmosferico delle aree urbane Ma quanti sono i decessi attribuibili a 3 dei maggiori inquinanti? Mentre scrivo queste parole (28 dicembre) si attribuiscono al covid-19 in Italia 70.085 decessi.
L’ordine di grandezza è lo stesso.

Non solo, ma il sintomo principale (73%) nei deceduti era la dispnea.
Che disturbi respiratori preesistenti favoriscano esiti infausti di una infezione similinfluenzale, di qualsiasi origine, è a priori del tutto evidente, e ci sono anche studi recenti che lo confermano.


2) Le morti per similinfluenze e loro complicanze
Il complesso delle similinfluenze ha mietuto in stagioni influenzali recenti (2013-2017) una media di 34.000 vittime per anno, mentre l’ISS continua a riportare, parlando solo dell’influenza in senso stretto (e nemmeno per la sola influenza questo è vero!) che si tratterebbe di... 8000 morti.
Molti “esperti” avevano previsto che all’arrivo dell’autunno le forze riunite della normale “influenza” (tenere presente che molto spesso si legge “influenza” ma bisogna intendere
similinfluenza) e della seconda ondata del covid-19 avrebbero sbaragliato qualsiasi resistenza sanitaria che non fosse stata quella della chiusura economica e sociale. Non restava che pregare e aspettare il vaccino prossimo venturo.
Altri studiosi avevano invece congetturato che il covid-19 non fosse che una componente del complesso delle similinfluenze, che aveva semplicemente assorbito a livello diagnostico le sue
consorelle – e anche varie altre malattie che la fallibilità e l’abuso dei tamponi gli aveva erroneamente accreditato.
Bene: in data 24 ottobre è apparso su un quotidiano un articolo dal titolo: «L’influenza è stata ammazzata dal covid? Gli esperti pongono l’intrigante domanda mentre i casi di influenza
precipitano in tutto il globo». Basta dare un’occhiata al grafico della stagione similinfluenzale 2020-21 per capire che anche in Italia il covid-19 sta rubando la scena alle similinfluenze:


Ovviamente siamo appena all’inizio, e rimango pronto a farmi sorprendere dai prossimi sviluppi, di cui darò atto. Ma, al momento, ci sono buone ragioni per pensare che il cov-2 non si è sommato alle similinfluenze come affermavano i profeti di sventura “autorizzati”, ma si è preso un demerito che non gli spettava.


3) Le infezioni ospedaliere
Una piaga endemica del sistema ospedaliero italiano, ma di cui nessuno parlava, almeno fino a quando non è stato inserito nel contesto covid-19 dall’articolo più volte citato, sono le infezioni che si contraggono in molti reparti. Ricordo che le infezioni antibiotico-resistenti, contratte negli ospedali italiani, uccidono decine di migliaia di persone all’anno: «si è passati dai 18.668 decessi del 2003 a 49.301 del 2016. L'Italia conta il 30% di tutte le morti per sepsi nei 28 Paesi UE».
Quindi nel 2016 tra infezioni ospedaliere ed esposizione a tre inquinanti dell’aria (e non sono i soli!) che hanno portato l’Italia di fronte alla Corte di Giustizia europea, sono morti 125.501 cittadini: 1,8 volte i morti attribuiti al covid-19 in questo 2020.
Nessun presidente del consiglio aveva dichiarato lo stato di emergenza, nessun telegiornale ne aveva dato notizia con un minimo di enfasi e di attenzione continuativa, l’economia non era stata bloccata, le scuole erano rimaste aperte anche nelle città più notoriamente inquinate, e ovviamente nessuno ci informava quotidianamente su quanti erano morti anche solo per queste due cause – la seconda delle quali poteva essere esattamente monitorata sulla base delle cartelle cliniche.
A questi fenomeni sanitari di lungo periodo se ne sono sommati alcuni caratterizzanti la gestione dell’emergenza nel 2020:
4) La cattiva gestione delle RSA
Nella già citata conferenza stampa del 12 dicembre, Conte ha dato, come una delle spiegazioni della maggiore mortalità da covid-19 in Italia, la seguente: «dipende anche dalle abitudini di vita, è risaputo che in Italia siamo un paese in cui gli anziani di solito li teniamo vicino a noi», e poi ha accennato in maniera confusa (probabilmente per timore di provocare un incidente diplomatico) alle «diverse abitudini di vita» di «altri Paesi».È difficile dire dove questa risposta sia più sbagliata: nel suggerimento che in Italia le persone anziane siano morte prevalentemente perché contagiate a casa da figli e nipoti, o nell’assunto che gli italiani non mandano i loro anziani in ospizi e RSA?
Eppure dovrebbe essere «risaputo» (ma con il nostro presidente del Consiglio non si può mai dire ) che quest’anno le residenze per anziani, in Italia, sono state un luogo di massima diffusione del covid-19 , e al 6 aprile era da lì che derivavano più della metà dei decessi attribuiti al covid-19.
Invece di indulgere alla retorica degli “Italiani brava gente” si poteva cogliere l’occasione per biasimare i responsabili della cattiva gestione delle RSA, compresa la sconcertante decisione
dell’assessore al Welfare della Lombardia di trasferirvi i convalescenti del covid-19 (come egli disse, vantandosene: «Non so in quale altro Stato europeo sarebbe stato possibile fare una cosa del genere»).


5) Gli interventi mancati
Ci sono poi i decessi dovuti agli oltre 700.000 interventi e visite ospedaliere che sono stati rinviati perché si dovevano requisire per il covid-19 interi reparti. Questa situazione era stata denunciata anche da alcuni medici, e in maniera molto eloquente dal Dr. Flavio Poltrone (il 28 ottobre).
Ecco una recente stima (19 dicembre):
«Da chi soffre di bronchite a chi ha insufficienza renale o cardiaca, sono quasi 700.000, solo nei reparti di Medicina interna, le persone che hanno subìto gli effetti indiretti del Covid, vedendo saltare il ricovero a causa della pandemia. E, a esser penalizzati, sono soprattutto i malati cronici:
a quasi 400.000 non è stata garantita assistenza ospedaliera. [...] “Non erano ricoveri inappropriati e riguardavano soggetti fragili o con più di una patologia. Molti quindi è possibile che sino [sic] diventati malati Covid, molti sono deceduti nelle loro case o nella Rsa.
Altri per fortuna - conclude [Dario Manfellotto, presidente FADOI e direttore di Medicina interna dell'Ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina di Roma] - probabilmente non hanno avuto complicazioni grazie al fatto che sono rimasti bloccati e protetti a domicilio”»
A questo bisogna aggiungere i decessi dovuti ai ritardi nei ricoveri urgenti dovuti o ad ambulanze che non sono arrivate o all’attesa, per ore, dei risultati del tampone.
6) Le indicazioni fuorvianti date a medici ospedalieri e di base
I medici ospedalieri erano stati sconsigliati dal ministero della Salute di effettuare autopsie , ed erano stati indotti a curare come polmoniti quelle che erano tromboembolie. In molti casi l’errore diagnostico è stato fatale al “paziente covid”.
Contemporaneamente, i medici di base sono stati sconsigliati dal visitare i propri pazienti, ma quelli che hanno disobbedito sono riusciti a far attraversare senza vittime tra i loro assistiti l’intera crisi covid-19. Vale la pena citare un lungo stralcio della testimonianza della dottoressa Maria Grazia Dondini:
«Il 22 febbraio di quest’anno è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci
sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia. La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico. Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di
tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo. Ma c’è una cosa più grave.
Nella circolare ministeriale, il Ministro della Sanità ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI,disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale. Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva. Tutti i pazienti lamentavano che non rispondeva nessuno; io stessa ho provato a chiamare il 1500 senza successo. Un ministro della salute che si accinge ad affrontare una emergenza sanitaria prevede che i numeri di pubblica utilità non rispondano?
In sintesi: le polmoniti atipiche non sono state più trattate con antibiotico, i pazienti lasciati soli, abbandonati a se stessi a domicilio. Ovviamente dopo 7-10 giorni, con la cascata di
citochine e l’amplificazione del processo infiammatorio, arrivavano in ospedale in fin di vita.
Poi, la ventilazione meccanica ha fatto il resto.»
In un Paese normale una testimonianza di questo genere avrebbe costretto alle immediate dimissioni il ministro della Salute e i suoi consulenti «tecnico-scientifici». Si capisce come mai, invece, sono stati così pronti, a invocare e ad acquistare (con i soldi dei contribuenti, se occorre precisarlo) un vaccino di cui non si sapeva niente. Il vaccino significava infatti l’amnistia per scelte che, favorite da una buona dose di incompetenza anche se non dettate solo da questa, si possono solo definire criminali.


7) Disturbi psichici e psicofarmaci
E bisogna aggiungere ai decessi provocati non dal covid-19 ma dalle misure prese per “combatterlo” quelli dovuti ai disturbi psichici (e conseguente uso di psicofarmaci e aumento dei
suicidi) provocati dalla condanna agli arresti domiciliari di un’intera nazione. Si ricordi come è stata definita la «salute» nel 1948 dall’OMS:
«La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l'assenza di malanni o di altro impedimento fisico»
Come si può pretendere di tutelare la salute dei cittadini quando si causa con le misure adottate tanto malessere fisico, mentale e sociale?
Le persone normali non desiderano rimanere nell’inattività, neppure se sovvenzionate allo scopo.
Quando la Costituzione afferma, nel primo articolo, che l’Italia è una repubblica «fondata sul lavoro», sta valorizzando l’attività lavorativa come parte integrante della cittadinanza. Sentirsi utili in quell’impresa collettiva che è la gestione e il miglioramento della Cosa Pubblica, e vedersi garantita una sufficiente forza economica individuale e capacità di dispiegamento sociale non come benevola gratuità del sovrano, ma come giusto riconoscimento del proprio impegno in tale impresa collettiva, è un elemento fondamentale di stabilità psicologica e valoriale per la stragrande maggioranza dei cittadini. Pensare che reddito di cittadinanza e “ristori” possano compensare la disintegrazione del proprio ruolo sociale è non solo erroneo in termini psico-sociali: è anticostituzionale.
Data la moltitudine di cause elencate, il contributo delle infezioni da coronavirus alla mortalità di quest’anno può essere stato un cofattore, ma è semplicemente irragionevole pensare che sia stata la causa predominante e decisiva.
In altre parole: si è trasformata una tragedia sanitaria multifattoriale – ma una tragedia non dovuta a un “destino cinico e baro”, bensì in larghissima misura all’incuria e alla corruzione dei governi e delle amministrazioni locali e alle stesse misure emanate con la pretesa di prevenirla
– in una campagna pubblicitaria per il più grosso affare che le case farmaceutiche potessero sognarsi, caratterizzato dalla trasformazione dell’intera popolazione mondiale in “pazienti”
ricattati dai loro governi.


Il vaccino
La commissione dell’EMA (= Agenzia europea dei medicinali) ha emesso il 21 dicembre un parere favorevole all’innovativo vaccino Comirnaty della Pfizer, nella forma dell’« autorizzazione commerciale condizionale » che si applica quando la documentazione allegata alla richiesta di autorizzazione è «meno completa del normale», ma il medicinale «viene incontro a bisogni insoddisfatti» e «i benefici superano i rischi».
Il 10 dicembre la FDA (=Food and Drug Administration) statunitense aveva dato la sua approvazione, e già molti giorni prima che l’EMA si pronunciasse i principali media anticipavano che anche l’EMA avrebbe dato un’approvazione. Intanto la Pfizer era già al lavoro da mesi per produrre «milioni di dosi». Pensare che FDA e, ancor più, EMA non si sentissero, per usare un eufemismo, “sotto pressione”, significa credere di vivere in un mondo che non è quello reale.
Anche se chi è pagato per vedere e lodare il vestito nuovo dell’imperatore non si farà certo impressionare da certi trascurabili dettagli, per gli altri può essere utile sapere che l’89% dei 330 milioni di euro del finanziamento annuale del’EMA deriva... dall’industria farmaceutica stessa. E la FDA? La percentuale è minore: il 45%. Ma corrisponde a 1,5 miliardi di dollari, sempre all’anno (New Scientist, 30 novembre 2019). Qui siamo nettamente oltre i “normali”, seppure intollerabili, conflitti di interesse della ricerca biomedica.
Sarà questa una importante ragione per cui FDA e EMA sono d’accordo in più del 90% dei casi sull’approvazione di nuovi farmaci? È una questione delicata e profonda che lascio al giudizio del sagace lettore.
Comunque quella parte della cittadinanza che è disposta a dare la propria fiducia a chi, per proteggerla dal freddo, 1) le vende la pelle dell’orso prima ancora che l’esistenza di un orso sia stata provata, 2) certifica che la propria merce è “vera pelle d’orso” (la documentazione alla base dell’approvazione non è pubblica) e 3) ha nella sua storia recente (2009) la più grossa multa di tutta la storia dell’industria farmaceutica per « fraudulent marketing » (penso che si capisca anche senza traduzione) – fa bene a mettersi in fila per farsi vaccinare il prima possibile.
Per questi cittadini, naturalmente, non è un indizio di insicurezza del prodotto se le industrie produttrici abbiano richiesto e ottenuto l’esenzione dalle cause legali in caso di danni provocati dal vaccino (qualcosa che ai costruttori di automobili è giustamente negato da oltre mezzo secolo), e che i governi, che in teoria dovrebbero subentrare e indennizzare, cercheranno in tutti i modi di non pagare un soldo ai danneggiati (se dobbiamo basarci sul loro comportamento a proposito degli altri vaccini).

 
I principali media si stanno portando avanti con il lavoro avvertendo che se in una casa di riposo per anziani sottoposti al vaccino anti-covid-19 qualcuno muore poche ore o pochi giorni dopo, la colpa non è del vaccino: tanto morivano in ogni caso (mentre, come sappiamo, se una di queste persone moriva di una delle malattie di cui era sofferente ma risultava positiva, anche dopo il decesso, allora nessun dubbio: era morta di covid-19).
Non bisogna prendersela con i volontari dei vaccini, anzi. Essi stanno dando una mano non solo alla ricerca biomedica (vedi sopra), ma anche alla vaccinovigilanza precoce. Per esempio, adesso sappiamo che tra gli effetti avversi potrebbero esserci anche quelli psichiatrici, come suggerito dal caso di un’operatrice sanitaria statunitense , a cui il vaccino ha provocato una reazione che l’ha costretta alla terapia intensiva:
«La donna ha sviluppato rush [sic: rash] cutanei, tachicardia e una crisi respiratoria, e le è stata somministrata epinefrina per placare i sintomi, che però si sono ripresentati, ed hanno costretto i medici curanti a fare anche uso di steroidi. Un ulteriore aggravamento ha costretto ad un ricovero in terapia intensiva.»
Nondimeno a quanto pare ne è uscita viva, o almeno abbastanza per poter dichiarare (immagino con un filo di voce) che «resta entusiasta del vaccino». Un caso di sindrome di Stoccolma?
 

I cittadini fiduciosi, quando sentono parlare di “manipolazione della percezione del rischio”, reagiscono ormai secondo uno spettro che va dall’irrisione (“Complotto!”) alla maledizione condita d’indignazione (“Vorrei che tu avessi un congiunto morto di covid-19...”). Anche i soli dati di questa sezione basterebbero a provare la nullità intellettuale di tali reazioni, e a valutare per quello che merita la sezione sulle «Fake n ews» (l’hanno chiamata proprio così!) dell’ISS, di cui però salvo la seguente affermazione, con cui ci si sta già coprendo le spalle (mio grassetto):«Anche dopo essersi sottoposti alla vaccinazione bisognerà continuare a osservare misure di protezione nei confronti degli altri, come la mascherina, il distanziamento sociale e il lavaggio accurato delle mani.»
Ecco il tanto desiderato e promesso ritorno alla normalità...
Resta una domanda: come si è riusciti a far sragionare sistematicamente una considerevole percentuale della popolazione nel nostro e in altri paesi?  

Un giorno, ne sono certo, si parlerà del covid-19 nelle scuole di management e di marketing.
Molti altri hanno invece capito che la manipolazione della percezione del rischio relativamente al covid-19 aveva appunto, tra i suoi scopi, quello di preparare l’intera popolazione mondiale – con un posto di riguardo, ovviamente, per il Bel Paese che fino al 2019 è stato il «capofila per le strategie vaccinali a livello mondiale» – a fare da cavia a una gigantesca sperimentazione farmacologica con colossali profitti per l’industria farmaceutica. E tra le cavie non troveremo personalità che con la loro intensa vita pubblica sarebbero maggiormente a rischio, e che invece sembrano ansiose, come i cittadini modello che sono, di non “saltare la fila” – per pura abnegazione, sia ben chiaro.


L’anno che verrà
Nel 2020 la disinformazione perpetrata dai principali media ha raggiunti livelli confrontabili con i cinegiornali Luce di triste memoria. Un servizio televisivo pubblico degno di questo nome (e del denaro dei contribuenti) sarebbe stato capace di rappresentare nella sua complessità il dibattito scientifico in atto sul carattere del fenomeno “covid-19”, dando la parola anche a scienziati e medici che contraddicono la concezione dell’emergenza sanitaria accreditata e imposta dal governo e dai suoi “scienziati di fiducia”. E tra i passanti a cui gli inviati hanno chiesto che ne pensavano delle misure adottate dal governo, se ne sarebbe dovuto incontrare ogni tanto anche qualcuno un po’ meno acritico e supino – magari qualcuno che, per esempio, era andato alla Marcia della Liberazione a Roma il 10 ottobre scorso. Ciò purtroppo non è accaduto e non accade, senza che ciò abbia provocato interventi delle autorità di garanzia e della magistratura. Il cittadino che trae le sue informazioni dai telegiornali riceve un’immagine profondamente distorta del fenomeno “covid-19”, sotto il profilo sia medico-sanitario che politico.
In particolare, se un medico o un “opinionista” appare regolarmente come interlocutore in trasmissioni televisive, si può essere moralmente certi che prima o poi prenderà le difese delle scelte del governo. Cioè, può capitare che dica cose giuste (del resto sbagliare sempre è molto difficile), ma solo per sembrare affidabile quando dice quelle non giuste. Si potrebbe progettare un mini-corso di giornalismo, ad uso dei cittadini non meno che dei giornalisti, che presenti e discuta i numerosi esempi del fenomeno offerti dalla pandemia di disinformazione in corso.
Tuttavia, nonostante le varie forme di censura in atto, la Rete pullula ormai, molto più che a marzo o aprile, di articoli e video che rendono possibile a chiunque sia sufficientemente motivato trovare informazioni più attendibili. Queste informazioni sono entrate anche a Montecitorio grazie alle molte conferenze stampa e interrogazioni parlamentari dell’onorevole Sara Cunial, che ha creato un canale tra società civile e “Palazzo” che senza di lei non sarebbe esistito. Che i principali media se ne siano occupati raramente e quasi solo per denigrarla è un’ulteriore conferma della loro reale identità e funzione.
Con il referendum del 20-21 settembre 2020 governo e pseudo-opposizione sono riusciti a indurre una buona parte dei cittadini italiani a modificare la Costituzione nel senso di una riduzione della propria rappresentanza parlamentare. Questo risultato, per quanto da qualificare tenendo conto del 46,2 % di astensione, fa temere che oggi sia inutile dare ragioni là dove, in tutta evidenza, è il controllo sugli stati mentali esercitato da classe dirigente e principali media a determinare le scelte (o le non-scelte) della maggior parte dei cittadini. Nondimeno, penso che chi si lascia ancora guidare dal proprio raziocinio possa trarre beneficio da un’analisi fattuale come quella che ho presentato qui e nei miei altri scritti sul tema.
Tornando al contesto politico, il voto referendario è stato un assegno in bianco consegnato da una cittadinanza passivizzata a una classe politica che aveva bisogno di una conferma di tale
sottomissione. E, ovviamente, nonostante la propaganda per il taglio di 345 parlamentari affermasse che esso era necessario per far funzionare adeguatamente la nostra democrazia, il governo non ha compiuto la sola mossa coerente con l’esito del referendum: approvare il prima possibile una legge elettorale e procedere a nuove elezioni. Al contrario, ha dichiarato la sua intenzione di arrivare alla fine della legislatura. Eppure i 945 parlamentari, con quella terribile zavorra di 345 unità di troppo, sono ancora lì...
Bisogna dire che la tolleranza della menzogna politica da parte dei cittadini ha anche superato le aspettative più rosee di una classe dirigente che li tratta ormai a tutti gli effetti come sudditi, e che rinnova lo stile di un infelice passato chiedendo loro di «credere, obbedire, combattere» – anchese per il momento si tratta di combattere solo contro il «nemico invisibile». 

Invisibile sarà il nemico, ma non la retorica bellicista che arriva a fino a usare il termine di «coprifuoco» per il divieto di circolazione nelle ore serali e notturne. In effetti quello che si sta facendo della vita degli italiani da 10 mesi a questa parte rassomiglia molto più ad una leva obbligatoria per una guerra in corso che a una razionale politica sanitaria. 

Quando poi si legge che Sergio Mattarella, l’attuale presidente della Repubblica, ha convocato il Consiglio Supremo di Difesa il 27 ottobre 2020, in relazione alle «conseguenze dell'emergenza sanitaria sugli equilibri strategici e di sicurezza globali, con particolare riferimento alla NATO e all'Unione Europea», ci si rende conto che la rassomiglianza va oltre la metafora.
È bene ricordare, a proposito della menzogna politica come stile di governo, che il ministro degli esteri Di Maio (un benemerito del genere) promise che, se avesse vinto il SÌ al referendum, «dal 22 tagliamo pure lo stipendio dei parlamentari». Sono passati più di 3 mesi dal giorno fatale: il taglio degli stipendi dei parlamentari è stato forse effettuato? 

È chiaro che una classe dirigente di questo tipo può sopravvivere solo grazie al fatto che la maggior parte delle persone non ha memoria storica nemmeno della lunghezza di... poche settimane.
La vera guerra, quella contro la popolazione italiana e la Costituzione repubblicana, mossa da una classe dirigente cooptata per finalità manifestamente diverse dalla difesa degli interessi dei cittadini, sta inasprendosi, con misure sempre più vessatorie e scientificamente infondate, culminate nei riferimenti “autorevoli” che circolano in questi giorni sulla possibile obbligatorietà della vaccinazione anti-covid-19.
A tutto ciò si è aggiunto il provvidenziale (?) appoggio alla vaccinazione e all’“obbedienza” con cui il Papa gesuita sta rinnovando l’alleanza tra Trono e Altare.
È in questo contesto che si applica, per una volta non a sproposito, una delle frasi più ripetute dell’anno che sta per concludersi: non bisogna abbassare la guardia. 

E un segno di speranza è una recente sentenza del Tribunale civile di Roma che conferma con chiarezza e lucidità quanto sostenuto per mesi dalla parte della magistratura e della società civile rimasta fedele alla Carta costituzionale. 

La magistratura deve fare il suo dovere: ma anche i comuni cittadini il loro.Appendice
Ecco lo schema ufficiale dell’ISS per i positivi al tampone:

Come si vede, essendo ormai stato sospeso dall'OMS il criterio dei due tamponi negativi , si distingue tra “guarito” e “ guarito clinicamente”, per «poter eventualmente tenere distinte le due
definizioni» – di questi tempi può tornare utile sottolineare che i guariti clinicamente... forse non sono realmente guariti.


Inserito: 31 dicembre 2020; correzione refusi: 6.I, 12.I.2021
Scienza e Democrazia/Science and Democracy



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Post per pochi intimi.5 minuti per avere una visione corretta di quello che è realmente accaduto. Buona lettura. Può un virus arrivare proprio nel momento esatto per essere considerato come una vera e propria benedizione? Sarebbe quasi un’eresia rispondere di si. Invece, per gli operatori finanziari, è proprio ciò che è accaduto. A giugno 2019 il mercato dei REPO stava iniziando a collassare mostrando segnali di pericolo sistemico. La maggior parte della gente non sa neanche che cosa siano i REPO. In pratica sono operazioni di pronti contro termine con cui le banche e i maggiori operatori economici si scambiano asset (principalmente titoli di stato) con operazioni di durata brevissima allo scopo di ottenere liquidità istantanea per le ragioni legate soprattutto al rischio controparte che scaturisce da operazioni altamente speculative nel mercato dei derivati. Il campanello d’allarme inizia a suonare a giugno. A settembre 2019 la situazione diventa preoccupante. Quanto preoccupan

Quando e perchè è iniziato il declino Italiano ?

Nel 1987 l’Italia entra nello Sme (Sistema monetario europeo) e il Pil passa dai 617 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 1201 miliardi del 1991 (+94,6% contro il 64% della Francia, il 78,6% della Germania, l’87% della Gran Bretagna e il 34,5% degli Usa). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo di 7 miliardi mentre la lira si rivaluta del +15,2% contro il dollaro e si svaluta del -8,6% contro il marco tedesco. Tutto questo,  ha un suo apice e un suo termine coincidente con la nascita della Seconda Repubblica. La fredda legge dei numeri ci dice difatti che dal 31 dicembre del 1991 al 31 dicembre del 1995, solo quattro anni, la lira si svaluterà del -29,8% contro il marco tedesco e del -32,2% contro il dollaro Usa. La difesa ad oltranza e insostenibile del cambio con la moneta teutonica e l’attacco finanziario speculativo condotto da George Soros costarono all’Italia la folle cifra di 91.000 miliardi di lire. In questi quattro anni il Pil crescerà soltanto del 5,4% e s