Ovvero la Medicina come istituto di controllo sociale.
All’inizio degli anni ’70 il filosofo Irving Kenneth Zola descriveva l’idea di uno Stato che si avvale degli strumenti e dell’autorevolezza della medicina per imporre la propria agenda politica, di uno Stato nel quale la medicina, in quanto <<istituto di controllo sociale>>, “sta diventando il nuovo depositario della verità, il luogo in cui i giudizi assoluti e spesso finali sono espressi da esperti presentati come moralmente neutri e obiettivi.
E questi giudizi sono espressi non in nome della virtù o della legittimità, ma della salute” (I.K. Zola, Medicine a san Institute of Social Control, in <<The Sociological Review>>, 1 novembre 1972).
Il concetto fu sviluppato, tra gli altri, dallo psichiatra Thomas Szasz, autore nel 1984 di “The Therapeutic State” sui moventi politici delle tassonomie e delle terapie applicate alla salute mentale.
Nel 2001, in “Pharmacracy: Medicine and Politics in America”, Szasz allargava l’analisi all’intero complesso medico-farmaceutico evidenziando il nesso tra politicizzazione della medicina e medicalizzazione della politica e denunciando il ruolo sempre più ingombrante assunto da una scienza medica prestata al consenso, al controllo e alla coercizione.
<< Lo Stato terapeutico>>, spiegava l’autore, << esercita la sua autorità e usa la forza nel nome della salute>> appoggiandosi all’idea, sempre più largamente accettata, che medicina e governi debbano reclutarsi a vicenda per << proteggere le persone da sé stesse>> postulando così l’indegnità dei governati e, quindi, del modello democratico in essenza:
“L’idea che lo Stato abbia il dovere di proteggere le persone da sé stesse è parte integrante di una visione autoritaria e religioso-paternalistica della vita – oggi abbracciata da molti atei.
Una volta che persone si siano accordate su quale debba essere il vero Dio, o il vero Bene, devono necessariamente proteggere i membri del gruppo, e anche i non membri, dalla tentazione di adorare falsi dei o falsi beni.
La versione post-illuministica di questa visione nasce dalla secolarizzazione di Dio e dalla medicalizzazione del bene. Una volta che le persone si siano accordate su quale debba essere l’unica, vera razionalità, devono necessariamente proteggersi dalla tentazione di adorare l’irrazionalità: cioè la pazzia”.
[…] L’episodio che ha più recentemente e audacemente incarnato l’idea di << Stato terapeutico>> nel nostro Paese - l’intensificazione ed estensione dell’obbligo vaccinale infantile introdotte dalla legge Lorenzin - non va dimenticato (considerando) che quell’episodio, come qualsiasi atto normativo, scaturisce da una visione della società e del suo governo, cioè da un’ideologia. […]
Dopo il 1999, quando con il decreto del Presidente della Repubblica n. 355 del 26 gennaio si stabilì che << la mancata certificazione [delle vaccinazioni] non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami>>, confermando peraltro una prassi già in corso da anni, NON vi furono né aumento delle infezioni né una diminuzione delle coperture vaccinali, che anzi aumentarono [ L’esclusione dalla frequenza scolastica era stata introdotta dal DPR 22 dicembre 1967, n. 1518 (art. 47, novellato dai citato DPR del 1999).
A quei tempi erano obbligatorie TRE vaccinazioni: anti-poliomielite, anti-difterica e anti-tetanica.]. L’episodio, che già da solo basterebbe a liquidare qualsivoglia “ragione scientifica” a sostegno di nuove e più draconiane costrizioni, aiuta a ricollocare più correttamente la riflessione nell’ambito che le compete.
Nei pochi anni trascorsi dal 1999 al 2017 si è consumato un cambio di paradigma ideologico - NON epidemiologico - che ha investito tutti gli ambiti della vita pubblica, in modi diversi ma sempre in ossequio ai medesimi principi e alle medesime premesse che sembrano ispirare la norma in esame, con sorprendenti e puntuali isomorfismi.
[Tratto da “Immunità di legge”, Il Pedante – Pier Paolo Dal Monte, Imprimatur, 2018, pagg. 103-105 ]
Da quanto esposto sopra, avendo scelto e riportato soltanto un passo che esprime bene il concetto del filo conduttore esposto nel libro, si evince la progressiva applicazione della ideologica liberalista sulle politiche interne ai vari Stati, come unica ragion d’essere per “un mondo nuovo” dettato da potenti forze esterne.
Veramente non riesco a comprendere come i popoli abbiano potuto farsi stringere in una morsa tanto coercitiva, e come questi abbiano demandato la ragion critica ad elementi terzi chiaramente inchinati a politiche che vanno, talvolta, contro l’interesse anche proprio.
Nessuno è veramente, o per lo meno nessuno lo sarebbe, contrario ai vaccini quando essi risultino essere utili, e senza "sorprese"
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