Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, Illich combatte i diplomi, i certificati, le lauree, insieme all’istituzionalizzazione dell’imparare.
Afferma che un adulto sarebbe in grado di apprendere i contenuti di 12 anni di scuola in uno o due anni.
Descolarizzare la società prima di tutto un appello alla destabilizzazione non solo — o non tanto — della scuola, quanto di tutte quelle istituzioni che riteniamo siano «buone» solo perché siamo stati indotti a dare per scontato che esse rivestano un ruolo necessario e perseguano effettivamente l’obiettivo originario che attribuiamo loro.
Il nostro errore è quello di aver abdicato la nostra responsabilità personale di pensare e di agire per le nostre vite a vantaggio degli «esperti» che lavorano in queste istituzioni.
L’errore degli esperti è quello di non considerare le conseguenze inattese, gli elementi della natura umana che rendono vana qualsiasi pianificazione accuratamente studiata, qualsiasi intervento sistematico, specie quelli meglio intenzionati.
Illich in seguito avrebbe aggiunto che non possiamo e non dobbiamo tentare di pianificare, programmare e controllare la vita; al contrario dovremmo basarci sulle sorprese che la vita reca con sé e prepararci ad esse.
Si tratta quindi di una critica delle istituzioni e dei professionisti, nonché del modo con il quale essi contribuiscono alla disumanizzazione: le istituzioni creano i bisogni e ne controllano la soddisfazione.
Così facendo, spingono l’essere umano e la sua creatività verso l’impotenza.
Descolarizzare la società si presenta come un esame critico sull’istruzione così come praticata nelle società contemporanee.
Ricco di dettagli sui diversi sistemi formativi, contiene molti esempi sulla inefficacia della scuola.
Le affermazioni e le proposte del saggio suonano, oggigiorno, altrettanto radicali di quanto lo erano all’epoca di pubblicazione.
L’istruzione di tutti attraverso la frequenza scolastica non è realizzabile, nemmeno tentando forme organizzative differenti, o chiedendo agli insegnanti di cambiare i loro metodi, o escogitando «nuovi espedienti per far imparare alla gente ciò che secondo gli esperti essa ha bisogno di sapere»
La struttura della scuola, come tale, esercita un effetto invariante che Illich chiama «programma occulto», il quale trasforma l’apprendimento da attività in merce.
L’«istruzione» diventa un prodotto quantificabile e cumulativo, il cui valore può essere misurato in base alla durata e al costo dell’applicazione al singolo studente.
Solo se si recupera il senso della responsabilità personale di ciò che si impara o si insegna, diventa possibile spezzare questo incantesimo e colmare il distacco tra l’istruzione e la vita.
Recuperare il potere di imparare o di insegnare significa che il docente il quale si azzarda a intromettersi negli affari privati di un’altra persona si assume anche la responsabilità dei risultati.
Parimenti, lo studente che si espone all’influenza di un insegnante deve assumersi la responsabilità della propria istruzione.
In questo quadro, dice ancora Illich, se proprio vogliamo una struttura scolastica, dovremmo configurarla come un centro di servizi, in cui si ha accesso, ad esempio, a un pianoforte o a dei libri.
La ricerca di nuovi «imbuti» educativi va sostituita dalla ricerca di «reti educative» che innalzano l’opportunità di ciascuno di trasformare ogni momento della sua vita in un momento di apprendimento, di condivisione e di interesse degli uni verso gli altri.
La tesi anti-istituzionale di Illich, che appare con questo testo e che verrà esemplificata anche nelle analisi delle altre istituzioni, presenta quattro aspetti principali.
* Una critica al processo di istituzionalizzazione. La società moderna sembra creare sempre ulteriori istituzioni, e spaccati sempre più ampi della nostra esistenza finiscono sotto il loro dominio. Un tale processo indebolisce le persone, diminuisce la loro fiducia in se stesse e nelle loro capacità di risolvere i problemi, annienta le relazioni conviviali e colonizza la vita, come un parassita o un cancro che uccide la creatività.
* Una critica al ruolo degli esperti e delle specializzazioni. Gli esperti e la cultura esperta richiedono la presenza di un numero sempre maggiore di esperti. Essi hanno la tendenza a creare cartelli, costruendo «barricate istituzionali», proclamando, ad esempio, il loro ruolo di controllo per l’accesso alla professione. Gli esperti controllano la produzione della conoscenza: decidono quali siano le conoscenze validate e legittime e in che modo vadano acquisite.
Questa critica verso gli esperti e la professionalizzazione verrà proposta in maniera particolare nel saggio incluso nel presente volume, pubblicato nel 1977, quasi a corollario, per l’ambito sociale, di quanto espresso precedentemente in un altro famosissimo libro, Nemesi medica (Illich, 1975).
* Una critica alla mercificazione. I professionisti e le istituzioni nelle quali essi operano tendono a definire un’attività, (nel caso della scuola: l’apprendimento), come un bene («l’istruzione») di cui viene monopolizzata la produzione, viene limitata la distribuzione e il cui prezzo è superiore alle disponibilità finanziarie della gente normale e, un po’ alla volta, anche di tutti i governi.
* Il principio della controproduttività. La contro-produttività è il fenomeno per cui una procedura fondamentalmente benefica si trasforma in senso negativo. Una volta raggiunta una determinata soglia, il processo di istituzionalizzazione evidenzia caratteristiche di contro-produttività.
Un anno dopo Descolarizzare la società, nel 1972, appare Toolsforcon viviality (nell’edizione italiana: La convivialità) nel quale Illich universalizza le tematiche in precedenza applicate al campo dell’istruzione: l’istituzionalizzazione delle conoscenze specialistiche, il ruolo dominante delle ^«democratiche nella
società industriale e il bisogno di sviluppare nuovi strumenti perché il cittadino medio possa riappropriarsi delle conoscenze necessarie alla vita.
Scrivendo questo saggio, Illich ha presente il grado di pervasività che la tecnologia e l’organizzazione industriale hanno raggiunto nelle nostre società: anche i cittadini più consapevoli dei rapporti di sfruttamento e di dominio legati all’industrializzazione si rassegnano al proprio destino, pena il ritorno a una situazione ancora più faticosa e meno confortevole.
Tuttavia, dice Illich, c’è un uso della scoperta che conduce alla specializzazione dei compiti, alla istituzionalizzazione dei valori, alla centralizzazione del potere [e] l’uomo diviene l’accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia, [ma c’è anche] un secondo modo di mettere a frutto l’invenzione, che accresce il potere e il sapere di ognuno, consentendo di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio d’iniziativa e di produttività agli altri. (Illich,p. 12 trad. it.)
Gli strumenti della modernità hanno l’obiettivo di «liberare» l’uomo dalla schiavitù, dall’ignoranza, dalla miseria, dalla malattia, ma se manca la consapevolezza che l’equilibrio della vita, fragile e complesso, non oltrepassa certe soglie, si finisce per divenire servitori degli strumenti, in modo tale che «oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione, e comincia la grande reclusione».
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