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Cos’era la lira e perché dava tanto fastidio?


La lira era la moneta a corso legale in Italia pienamente sovrana fino al divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia.
La moneta di un Paese non è soltanto un mezzo di scambio, ma anche uno dei fondamentali finanziari dell'economia. La lira aveva portato l'industria italiana tra le potenze mondiali.
Avvenuto durante governo Spadolini, il “divorzio”, venne formalizzato e dal ministro Beniamino Andreatta nel 1981. Il passaggio avvenne senza dibattito, né approvazione parlamentare, bensì con una semplice lettera del Ministro al capo della banca centrale italiana.
Allora, a capo della Banca d’Italia, c’era Carlo Azeglio Ciampi.
Il 1981 dunque segna la fine della sovranità monetaria dell’Italia.
Ecco la storia di come andarono le cose e perché.

La cessione della sovranità monetaria precedette l'abbandono della lira

Si trattò quindi di una vera e propria abdicazione, cioè di un atto volontario del Governo Spadolini che precedette l'addio alla lira che avverrà con l'adozione dell'euro.
Le condizioni in cui l'Italia entrerà nella moneta comune vengono in parte spiegate in due nostri recenti articoli della serie I traditori dell'Italia:
Articoli che invitiamo caldamente a leggere con attenzione.
La perdita di sovranità ha causato la fine della di monetizzazione dei deficit pubblici, ovvero l’impossibilità di finanziare il disavanzo pubblico tramite creazione di nuova moneta, ma anche la rinuncia al controllo sui tassi di interesse.

La lira era stato il sostegno all’economia italiana portandoci fino al quinto gradino fra le potenze industriali de mondo

I Governi di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta peroravano la causa di un’economia industriale fondata su grandi gruppi e grandi imprese.
Avrebbero voluto eliminare le inefficienze ed aumentare la competitività del Paese giocando nel campo degli avversari.
Quindi uno dei miraggi di quella classe dirigente era quello di abbandonare un’industria imperniata sulle piccole e le micro aziende manifatturiere dell’epoca.
Secondo le teorie di quella classe dirigente, politica in particolare, trasformare il sistema produttivo e industriale italiano, sul modello degli Stati continentali, ci avrebbe aperto le porte dell’Europa nei panni dei protagonisti assoluti, assieme a Germania e Francia.
Bisognava pertanto deindustrializzare l’Italia e di impiantare il modello tedesco entro i nostri confini, per cercare di assomigliare di più alle economie più avanzate.
Per centrare un obiettivo simile, occorreva anche mutare il sistema di finanziamento dello Stato ritenuto troppo paterno ed assistenziale nei confronti del sistema produttivo italiano, oltre che padre di tutti i vizi, e cambiare radicalmente il sitema creditizio.
Uno dei rami da potare, come abbiamo visto negli articoli che hanno riguardato le privatizzazioni di Prodi e il taglio del welfare di Monti, era la partecipazione dello Stato nella vita produttiva e sociale italiana.
Ciò avviene a partire dagli anni 90, ma per giungere a questo obiettivo, si era resa necessaria molti anni prima, la prima grande privatizzazione: la cessione di sovranità.
Anzi, per meglio dire, si era resa necessario abbattere il principale sostegno alle famiglie e alle imprese fino ad allora indispensabile per portare l’Italia fra le prime cinque industrie mondiali.
Ma andiamo con ordine.
Per introdurre l’argomento della buona, vecchia lira italiana, ci affidiamo alla lettura del libro di Economia spiegata facile, edito da Gingko Edizioni.

Chi stampava la lira

Anche se siamo abituati a dire che le banche centrali stampano moneta, dovremmo piuttosto imparare a parlare di emissione di moneta.
Comunque, continuando in parole semplici, per venire incontro a tutti e non deviare il discorso su questioni più tecniche, diciamo che le banche “stampano moneta”, OK?
La lira veniva stampata dalla banca d’Italia presso la zecca di Stato.
Inizialmente su ordine del Ministero del Tesoro, poi di sua iniziativa in quanto titolare della politica monetaria.
La Banca d’Italia aveva anche l’incarico di acquistare tutti i titoli di Stato rimasti invenduti alle aste dei Titoli.

Cos’è la Banca d’Italia

La banca centrale - illustrazione tratta dal libro di economia spiegata facile
La banca centrale – illustrazione tratta dal libro di economia spiegata facile
La banca d’Italia è la banca centrale dello stato italiano che fino al 1981 fungeva da prestatrice di ultima istanza (cioè prestava i soldi allo Stato).
Con l’entrata in vigore dell’euro ha perso gran parte dei suoi poteri, perché delegati alla BCE.
Oggi i compiti della Banca d’Italia sono soprattutto di tipo statistico. trasmette alla BCE le statistiche sull’economia italiana, riceve dei compiti della BCE ed è responsabile della vigilanza sul sistema bancario italiano.
Da sempre le quote della banca d’Italia sono detenute dalle banche private italiane.
Nonostante ciò la banca d’Italia non persegue fini di lucro (come da suo statuto).

Come veniva emessa la lira?

Lo Stato emetteva la lira direttamente “stampando” denaro.
Detto così sembra banale e contraddittorio con quanto scritto poc’anzi, ma vediamo quale era la prassi tecnica; perché non è che lo Stato ordinasse banconote per un tot di peso, di numero o per cifre buttate lì a caso.
C’era dietro un meccanismo attraverso il quale lo Stato stabiliva quanto dov’esse essere emesso.
Peraltro questo meccanismo è rimasto simile nei Paesi sovrani, cioè che battono moneta propria.
Va anche detto che, per come è concepita l’economia odierna, l’emissione di nuova moneta sottostà al sistema del debito.
Pertanto non ne parliamo come se debba essere una regola giusta o universale ed immutabile, ma soltanto per tradurre in parole semplici come funziona il sistema odierno. Starà a noi o ai posteri trovare sistemi di monetizzazione differenti; più efficienti ed equi.
Fino al 1981 la banca d’Italia poteva acquistare i titoli di Stato rimasti invenduti alle aste.

Titoli di Stato italiani più comuni
Titoli di Stato italiani più comuni – illustrazione tratta dal libro di economia spiegata facile
I Titoli di Stato a noi più familiari sono: i BOT (con scadenza 3, 6, 12 mesi) e i BTP (3 anni in su). Poi ci sono anche i CCT (7 anni), i CTZ (2 anni) e i BTP€i (5, 10 anni). Ma per capire come funziona il meccanismo di base a noi basta sapere cosa sono e a cosa servono questi primi due.

Buoni Ordinari del Tesoro

Sono Titoli a breve scadenza – da qualche mese a un anno – che vengono emessi per far fronte a spese impreviste oppure per una spesa in deficit il cui rientro è previsto a breve. BOT e CCT partecipano all’asta competitiva cioè offorno rendite molto basse.

Buoni del Tesoro Poliennali

Sono Titoli a lunga scadenza – 3 , 5, 10, 15, 30 anni con cedole semestrali – emessi per fare fronte a spese importanti ed investimenti che richiedono risorse che non prevedono rimborsi urgenti e quindi danno il tempo allo Stato di rientrare delle spese. I BTP partecipano all’asta marginale.
I titoli di Stato possono essere acquistati anche da altri Stati determinando un credito pubblico di quei Paesi nei confronti dello Stato che glieli ha venduti e specularmente un debito dello Stato emittente.
Esistono anche altri tipi di Titoli pubblici come i Titoli comunali (BOC), provinciali (BOP) e regionali (BOR) che comunque vengono garantiti dallo Stato ma attualmente godono di scarso interesse del mercato.
Avere un prestatore di ultima istanza (spiegato qui e qui) consentiva al Governo di contenere i tassi d’interesse sul debito pubblico e allo stesso tempo di creare nuova moneta.
Infatti partecipando all’asta degli stessi titoli italiani, la Banca d’Italia creava una domanda di titoli artificiale, mettendosi in competizione con gli investitori, cosa che facevano e fanno ancora tutti gli Stati sovrani.
Dal 1981 al 1992 la perdita di sovranità monetaria ci costa il pagamento di interessi sui BTP mediamente intorno al 5%, che causa il raddoppio del debito in appena un decennio.

Cos’era successo dal dopoguerra fino al 1981?

Dal dopoguerra fino agli anni ottanta, passando per il boom economico, l’Italia aveva recuperato gran parte dello svantaggio economico che la separava dal resto d’Europa e dagli USA.
Ma dal 1982, con il boom degli interessi (cioè delle rendite) sui titoli, avviene una fuga di capitali dalla produzione verso la speculazione.
Ricordate il discorso iniziale sulla deindustrilizzazione italiana?
Quando lo Stato inizia a finanziarsi sul mercato dei capitali, avviene il boom delle rendite e il sistema industriale cambia politiche di investimento.
Invece di investire nel lavoro e nello sviluppo, diventa prassi delle principali aziende private nazionali, prendere grossi prestiti (da cui si deducevano anche gli interessi dalle tasse) da destinare all’acquisto di titoli italiani.
La Fiat nel 1986 fa il 55% dei suoi utili acquistadto obbligazioni, la Olivetti addirittura il 67%.
È l’inizio del declino dell’industria italiana e il detonatore della supremazia della finanza sul lavoro.

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