Raggiunto, verso la fine del secolo scorso, un buon livello di uguaglianza formale, nasce la necessita di tradurla in reale: l’obbiettivo richiedeva però che la collettività fosse in grado di conoscere la compatibilità fra le proprie necessità, diverse e contrapposte, nonché la modalità per soddisfarle.
La mancanza di questa conoscenza collettiva, ha rotto il meccanismo democratico e gli elettori, privi della possibilità di controllare i risultati, hanno chiesto tutto e il suo contrario, privilegiando le promesse più demagogiche e irrealizzabili.
I politici così hanno potuto operare senza controlli reali, coinvolgendo progressivamente anche la struttura burocratica – la “casta” tanto giustamente vituperata.
Per garantirsi il consenso è ormai sufficiente continuare a promettere ed apparire; la conseguenza non è solo l’eterna campagna elettorale, ma anche le quotidiane scelte sbagliate della struttura pubblica.
Per realizzare seriamente le infrastrutture e i servizi necessari servono infatti tempi lunghi, con un incerto ritorno d’immagine; problemi non risolti, come la crisi logistica di Genova o l’acqua alta di Venezia, legittimano le richieste di fondi che accrescono subito potere e consenso politico.
La struttura pubblica diventa più interessata alla possibilità di spesa (anche inutile) che alla soluzione dei problemi.
La crisi economica ne è la conseguenza inevitabile.
L’incapacità di fronteggiare il coronavirus lo dimostra in modo evidente; proibizioni pesantissime senza nessuna seria strategia di uscita; quando fra una settimana forse si ridurrà la reclusione, rischiamo di trovarci al punto di partenza.
D’altronde lo stesso Conte, ha la primaria necessità di difendere il proprio potere, contro i molti che, per la stessa necessità, cercano di scalzarlo: si aggiunga che sia i politici che la collettività poco sanno di cure, tamponi, mascherine, così come del Mes e degli altri accordi europei; di conseguenza le posizioni contrapposte non nascono da obbiettivi diversi, ma solo dalla ricerca del consenso.
Per superare il coronavirus, come per uscire dalla crisi economica, è necessario che la struttura pubblica sia in grado di elaborare una strategia seria che, con comportamenti coerenti, disponga grandi risorse per investimenti e servizi; è esattamente quello che non sa e non vuole fare.
La nomina di 15 commissioni con 440 esperti (un altro Parlamento) non può certo coprire questo vuoto di potere e di volontà; il coronavirus ci dirà quindi se abbiamo la forza di affrontare il cambiamento o preferiamo una crisi eterna e irreversibile.
Bruno Musso – Genova 28.4.20
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