Una spinta che viene da lontano
In Italia, negli anni che vanno dal 2012 al 2015, è sembrato che la possibilità di intro-durre una (seppur iniziale) misura di reddito garantito in Italia, si avviasse sul sentiero della praticabiltà.
Un principio di base che avrebbe introdotto, in uno dei paesi europei
a maggior rischio esclusione sociale e con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile, una nuova garanzia di dignità della persona dentro la sfera dei diritti sociali ed economici.
Seppur in forme diverse, rispetto ad un dibattito molto più avanzato e ad alcune esperienze internazionali , in Italia si è imposto in quegli anni quantomeno un dibattito che facesse del “reddito minimo garantito” una opzione possibile, praticabile, urgente e necessaria.
Senza soffermarci sulla lunga storia del dibattito in Italia, possiamo dire che già negli anni ’90 dello scorso secolo nel nostro paese si è avuto un forte legame tra la proposta del reddito e le analisi delle trasformazioni produttive .
Un dibattito che ha portato la rivendicazione del reddito non solo dentro la sfera del “lavoro e del non lavoro” o del contrasto alla povertà, ma anche come rivendicazioni di nuova libertà a partire dalla proposta di un reddito di base incondizionato al lavoro. Dentro questo scenario, negli scorsi anni, l’in-
tenso dibattito ha interessato sopratutto i movimenti sociali e le nuove figure lavorative precarie (in particolare attraverso le grandi manifestazioni della May Day fin dai primi anni 2000.
Il dibattito in Italia non ha avuto però solo questo taglio più politico e sociale, vi sono stati infatti anche alcuni approcci di tipo istituzionale. Infatti subito dopo la così detta Commissione Onofri 4 , a partire dalla metà degli anni ’90, si sono avute alcune sperimentazioni e proposte che andavano in qualche modo nella direzione di modernizzare lo stato sociale italiano ed ammettere, di fatto, la necessità di introdurre un reddito minimo garantito.
Seppur con molti limiti e forti critiche sulle forme ed i modelli individuati,
vi sono state alcune esperienze che segnano un pò la “storia” delle esperienze in Italia in merito a questa proposta.
Di seguito potremmo sottolineare le sperimentazioni come il Reddito Minimo di Inserimento e le proposte delle tante e diverse leggi regionali, fino ad arrivare alle proposte di alcune forze politiche, da Rifondazione Comunista a SEL (Si-nistra Ecologia e Libertà) al Movimento 5 Stelle che hanno inserito nei loro programmi politici, ed elettorali, proposte simili . Cosi come ad alcune varie proposte di singoli deputati o senatori anche di diversi schieramenti che non necessariamente trovavano nel loro partito altrettanto interesse (come ad esempio alcuni esponenti del Partito Democratico) .
Il dibattito ha attraversato inoltre anche il mondo culturale ed accademico, con
la presa di posizione forte di giuristi e giuslavoristi, costituzionalisti, sociologi ed economisti .
Insomma questo per dire che in questi ultimi 25 anni sicuramente il tema del di- ritto ad un reddito garantito si è fatto largo, tanto sul piano sociale che politico e culturale e si è imposto in maniera sempre più presente nel dibattito del nostro paese come mai prima.
Oltre che le trasformazioni che attraversavano l’Italia e che hanno reso sicuramente il tema del reddito una delle proposte più calzanti per rispondere a questa nuova contemporanità, sicuramente aver individuato nelle best practice già esistenti da tempo negli schemi di welfare di molti paesi europei, ha reso la proposta del reddito garantito ancora più credibile in merito alla reale praticabilità.
La chiave, usata spesso come grimaldello, dei “modelli europei” è stata ad un certo punto necessaria proprio per raccontare questa proposta fuori dall’angolo in cui rischiava di rimanere, cioè di una bella idea ma “impraticabile”.
Le esperienze dei paesi del nord Europa (e non solo) cosi come le diverse “indicazioni” delle istituzioni sovranazionali europee, con alcune importanti
risoluzioni sul ruolo del reddito minimo garantito, hanno sicuramente reso “più comprensibile” il tema ed hanno avuto quella forza per rompere il muro della impraticabilità che i più scettici rivendicavano.
Le esperienze europee e le indicazioni sovranazionali hanno fatto si che il tema emergesse dalle rivendicazioni sociali e dal dibattito teorico per finire cosi in un campo nuovo.
Ad un certo punto le esperienze europee cosi come le indicazioni sovranazionali, per alcuni versi, sono state utili proprio per agganciare alcune visioni per definire delle proposte di legge anche nel nostro paese.
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In Italia, negli anni che vanno dal 2012 al 2015, è sembrato che la possibilità di intro-durre una (seppur iniziale) misura di reddito garantito in Italia, si avviasse sul sentiero della praticabiltà.
Un principio di base che avrebbe introdotto, in uno dei paesi europei
a maggior rischio esclusione sociale e con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile, una nuova garanzia di dignità della persona dentro la sfera dei diritti sociali ed economici.
Seppur in forme diverse, rispetto ad un dibattito molto più avanzato e ad alcune esperienze internazionali , in Italia si è imposto in quegli anni quantomeno un dibattito che facesse del “reddito minimo garantito” una opzione possibile, praticabile, urgente e necessaria.
Senza soffermarci sulla lunga storia del dibattito in Italia, possiamo dire che già negli anni ’90 dello scorso secolo nel nostro paese si è avuto un forte legame tra la proposta del reddito e le analisi delle trasformazioni produttive .
Un dibattito che ha portato la rivendicazione del reddito non solo dentro la sfera del “lavoro e del non lavoro” o del contrasto alla povertà, ma anche come rivendicazioni di nuova libertà a partire dalla proposta di un reddito di base incondizionato al lavoro. Dentro questo scenario, negli scorsi anni, l’in-
tenso dibattito ha interessato sopratutto i movimenti sociali e le nuove figure lavorative precarie (in particolare attraverso le grandi manifestazioni della May Day fin dai primi anni 2000.
Il dibattito in Italia non ha avuto però solo questo taglio più politico e sociale, vi sono stati infatti anche alcuni approcci di tipo istituzionale. Infatti subito dopo la così detta Commissione Onofri 4 , a partire dalla metà degli anni ’90, si sono avute alcune sperimentazioni e proposte che andavano in qualche modo nella direzione di modernizzare lo stato sociale italiano ed ammettere, di fatto, la necessità di introdurre un reddito minimo garantito.
Seppur con molti limiti e forti critiche sulle forme ed i modelli individuati,
vi sono state alcune esperienze che segnano un pò la “storia” delle esperienze in Italia in merito a questa proposta.
Di seguito potremmo sottolineare le sperimentazioni come il Reddito Minimo di Inserimento e le proposte delle tante e diverse leggi regionali, fino ad arrivare alle proposte di alcune forze politiche, da Rifondazione Comunista a SEL (Si-nistra Ecologia e Libertà) al Movimento 5 Stelle che hanno inserito nei loro programmi politici, ed elettorali, proposte simili . Cosi come ad alcune varie proposte di singoli deputati o senatori anche di diversi schieramenti che non necessariamente trovavano nel loro partito altrettanto interesse (come ad esempio alcuni esponenti del Partito Democratico) .
Il dibattito ha attraversato inoltre anche il mondo culturale ed accademico, con
la presa di posizione forte di giuristi e giuslavoristi, costituzionalisti, sociologi ed economisti .
Insomma questo per dire che in questi ultimi 25 anni sicuramente il tema del di- ritto ad un reddito garantito si è fatto largo, tanto sul piano sociale che politico e culturale e si è imposto in maniera sempre più presente nel dibattito del nostro paese come mai prima.
Oltre che le trasformazioni che attraversavano l’Italia e che hanno reso sicuramente il tema del reddito una delle proposte più calzanti per rispondere a questa nuova contemporanità, sicuramente aver individuato nelle best practice già esistenti da tempo negli schemi di welfare di molti paesi europei, ha reso la proposta del reddito garantito ancora più credibile in merito alla reale praticabilità.
La chiave, usata spesso come grimaldello, dei “modelli europei” è stata ad un certo punto necessaria proprio per raccontare questa proposta fuori dall’angolo in cui rischiava di rimanere, cioè di una bella idea ma “impraticabile”.
Le esperienze dei paesi del nord Europa (e non solo) cosi come le diverse “indicazioni” delle istituzioni sovranazionali europee, con alcune importanti
risoluzioni sul ruolo del reddito minimo garantito, hanno sicuramente reso “più comprensibile” il tema ed hanno avuto quella forza per rompere il muro della impraticabilità che i più scettici rivendicavano.
Le esperienze europee e le indicazioni sovranazionali hanno fatto si che il tema emergesse dalle rivendicazioni sociali e dal dibattito teorico per finire cosi in un campo nuovo.
Ad un certo punto le esperienze europee cosi come le indicazioni sovranazionali, per alcuni versi, sono state utili proprio per agganciare alcune visioni per definire delle proposte di legge anche nel nostro paese.
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