Il nostro sistema economico è completamente privo di capacità di assorbire shock di questo genere.
Le catene di fornitura e produttive, di tutti i beni e servizi, sono estese a livello mondiale ed interconnesse.
Nulla o quasi si può produrre senza ricevere componenti, materiali, competenze da qualche altra parte del mondo, spesso a grandissima distanza.
Se abbiamo bisogno di un numero straordinario di mascherine per il viso scopriamo che la carta viene dalla Cina, o dall’Indonesia, il cotone dagli Stati Uniti, la fabbrica è in Germania.
Quando allora il nostro governo, come ha fatto due giorni fa, davanti alla previsione di un’impennata dell’uso, richiede di poter accedere al mercato, scopre che in effetti gli Stati esistono. Ma gli altri.
La Germania e la Francia si rifiutano, dopo aver parlato per decenni di mercato unico e di vantaggi comparati del commercio (per cui noi facciamo vino ed olio e loro medicali) ora ricordano che la frontiera c’è e, in effetti, le mascherine servono a loro.
Del resto la Cina ne usa centomilioni al giorno (e ce le sta mandando per solidarietà).
La Protezione Civile, dato che in Italia non ne produciamo, ha comprato allora quattrocentomila dispositivi dal Sud Africa, e ne sta cercando altri cinquecentomila.
La Regione Lombardia ne ha ordinati duemilioniemezzo.
L’intera nostra catena economica è eterodiretta, dai centri decisionali delle multinazionali, o dipende per segmenti decisivi da fornitori che non possiamo controllare.
Ad esempio, la nostra logistica, l’intero movimento primario delle merci, è in misura prevalente organizzata su gomma e la grandissima parte degli autisti e dei mezzi sono rumeni, o dell’est europeo, perché costano di meno e sono meno protetti dalle norme del lavoro.
Per ogni viaggio devono partire da Bucarest e passare il Brennero, attraversando Ungheria e Austria, caricare e scaricare più volte, poi tornare.
Che succederà quando non potranno entrare in Lombardia, o andandoci rischieranno di essere messi in quarantena a casa?
Ancora, la carta con la quale la nostra industria editoriale produce i libri, le riviste, e le brochure o altro, viene dalla Cina o dal nord Europa.
Questo modello è insostenibile sotto il profilo ambientale e fragilissimo sotto quello economico.
È stato interamente ed unicamente costruito, in una lunga fase di follia e debolezza degli Stati, per sfruttare fino all’ultimo centesimo i differenziali di prezzo e di potere che il capitale mobile riusciva a estorcere a lavoratori deboli o a imprese subordinate.
Si tratta di un modello che parte dal presupposto che mai nessun paese si ricorderà di esercitare i propri poteri sovrani, o potrà farlo.
Inoltre questo modello è esattamente lo stesso che ha compresso per decenni il reddito e l’indipendenza dei lavoratori in occidente, rendendo ovvio che la maggior parte delle persone viva con contratti senza protezioni, precari, a tempo, con singole settimane di risparmi, sovraindebitati.
Fa stare l’economia in costante stato di carenza di domanda, per cui i prezzi dei beni di prima necessità continuano a calare, e tutti coloro che li producono sono giorno dopo giorno alla disperata ricerca di un modo di risparmiare qualche costo di produzione, anche se comporta andarsi a cercare un fornitore dall’altra parte del mondo che costa il 2 per cento meno di quello sotto casa, che chiude.
È così che ci siamo trovati senza mascherine.
I tedeschi lo sanno. Che succede ad un simile sistema se per qualche settimana una regione centrale, che produce il quarantapercento del Pil e una quota maggiore dei prodotti industriali, resta isolata?
Che collassa completamente.
Dunque, loro scelgono di lasciar morire i propri concittadini, tanto muoiono di “polmonite”.
E noi che dovremmo fare?
Scegliere un modello e portarlo in fondo, con logica. Se, come credo, deve essere quello “cinese”, allora ci vuole anche l’autorità per programmare la produzione, nazionalizzare le strutture sanitarie, assumere il personale, riconvertire quel che si può, impedire gli spostamenti non necessari effettivamente e non a parole, sostenere il reddito delle famiglie con misure straordinarie da ‘economia di guerra’ (come l’elicopter money), sospendere le normative dannose, come il Mes e la normativa bancaria, avocare allo stato il sostegno della moneta, sospendere il Trattato di Shengen, controllare le frontiere.
Dovremmo, intanto, spendere in due tre mesi qualcosa come i sette miliardi per la sanità, le risorse per sostenere per almeno sei mesi i redditi di una quota maggioritaria della popolazione, che subirà gli effetti a cascata dell’arresto delle attività produttive ed economiche in buona parte del paese, quindi tenersi pronti a nazionalizzare le imprese che non dovessero farcela, aumentare la spesa pubblica per fare fronte alle carenze di beni e servizi (ordinandoli direttamente e provvedendo a forniture in natura ai più deboli). Tornare, almeno in parte, ad un’economia di comando e programmazione. Liberarci dei vincoli europei, in un modo o nell’altro.
O, come diceva Malcom X: “Con tutti i mezzi necessari”.
Ma dovremmo essere una nazione, ed avere uno Stato.
Le catene di fornitura e produttive, di tutti i beni e servizi, sono estese a livello mondiale ed interconnesse.
Nulla o quasi si può produrre senza ricevere componenti, materiali, competenze da qualche altra parte del mondo, spesso a grandissima distanza.
Se abbiamo bisogno di un numero straordinario di mascherine per il viso scopriamo che la carta viene dalla Cina, o dall’Indonesia, il cotone dagli Stati Uniti, la fabbrica è in Germania.
Quando allora il nostro governo, come ha fatto due giorni fa, davanti alla previsione di un’impennata dell’uso, richiede di poter accedere al mercato, scopre che in effetti gli Stati esistono. Ma gli altri.
La Germania e la Francia si rifiutano, dopo aver parlato per decenni di mercato unico e di vantaggi comparati del commercio (per cui noi facciamo vino ed olio e loro medicali) ora ricordano che la frontiera c’è e, in effetti, le mascherine servono a loro.
Del resto la Cina ne usa centomilioni al giorno (e ce le sta mandando per solidarietà).
La Protezione Civile, dato che in Italia non ne produciamo, ha comprato allora quattrocentomila dispositivi dal Sud Africa, e ne sta cercando altri cinquecentomila.
La Regione Lombardia ne ha ordinati duemilioniemezzo.
L’intera nostra catena economica è eterodiretta, dai centri decisionali delle multinazionali, o dipende per segmenti decisivi da fornitori che non possiamo controllare.
Ad esempio, la nostra logistica, l’intero movimento primario delle merci, è in misura prevalente organizzata su gomma e la grandissima parte degli autisti e dei mezzi sono rumeni, o dell’est europeo, perché costano di meno e sono meno protetti dalle norme del lavoro.
Per ogni viaggio devono partire da Bucarest e passare il Brennero, attraversando Ungheria e Austria, caricare e scaricare più volte, poi tornare.
Che succederà quando non potranno entrare in Lombardia, o andandoci rischieranno di essere messi in quarantena a casa?
Ancora, la carta con la quale la nostra industria editoriale produce i libri, le riviste, e le brochure o altro, viene dalla Cina o dal nord Europa.
Questo modello è insostenibile sotto il profilo ambientale e fragilissimo sotto quello economico.
È stato interamente ed unicamente costruito, in una lunga fase di follia e debolezza degli Stati, per sfruttare fino all’ultimo centesimo i differenziali di prezzo e di potere che il capitale mobile riusciva a estorcere a lavoratori deboli o a imprese subordinate.
Si tratta di un modello che parte dal presupposto che mai nessun paese si ricorderà di esercitare i propri poteri sovrani, o potrà farlo.
Inoltre questo modello è esattamente lo stesso che ha compresso per decenni il reddito e l’indipendenza dei lavoratori in occidente, rendendo ovvio che la maggior parte delle persone viva con contratti senza protezioni, precari, a tempo, con singole settimane di risparmi, sovraindebitati.
Fa stare l’economia in costante stato di carenza di domanda, per cui i prezzi dei beni di prima necessità continuano a calare, e tutti coloro che li producono sono giorno dopo giorno alla disperata ricerca di un modo di risparmiare qualche costo di produzione, anche se comporta andarsi a cercare un fornitore dall’altra parte del mondo che costa il 2 per cento meno di quello sotto casa, che chiude.
È così che ci siamo trovati senza mascherine.
I tedeschi lo sanno. Che succede ad un simile sistema se per qualche settimana una regione centrale, che produce il quarantapercento del Pil e una quota maggiore dei prodotti industriali, resta isolata?
Che collassa completamente.
Dunque, loro scelgono di lasciar morire i propri concittadini, tanto muoiono di “polmonite”.
E noi che dovremmo fare?
Scegliere un modello e portarlo in fondo, con logica. Se, come credo, deve essere quello “cinese”, allora ci vuole anche l’autorità per programmare la produzione, nazionalizzare le strutture sanitarie, assumere il personale, riconvertire quel che si può, impedire gli spostamenti non necessari effettivamente e non a parole, sostenere il reddito delle famiglie con misure straordinarie da ‘economia di guerra’ (come l’elicopter money), sospendere le normative dannose, come il Mes e la normativa bancaria, avocare allo stato il sostegno della moneta, sospendere il Trattato di Shengen, controllare le frontiere.
Dovremmo, intanto, spendere in due tre mesi qualcosa come i sette miliardi per la sanità, le risorse per sostenere per almeno sei mesi i redditi di una quota maggioritaria della popolazione, che subirà gli effetti a cascata dell’arresto delle attività produttive ed economiche in buona parte del paese, quindi tenersi pronti a nazionalizzare le imprese che non dovessero farcela, aumentare la spesa pubblica per fare fronte alle carenze di beni e servizi (ordinandoli direttamente e provvedendo a forniture in natura ai più deboli). Tornare, almeno in parte, ad un’economia di comando e programmazione. Liberarci dei vincoli europei, in un modo o nell’altro.
O, come diceva Malcom X: “Con tutti i mezzi necessari”.
Ma dovremmo essere una nazione, ed avere uno Stato.
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