La Valle del Po ha conquistato il primato di area con l’atmosfera più malsana d’Europa. Non possiamo più crescere, produrre, consumare e scaricare a oltranza, costruire case, autostrade, capannoni e viaggiare in modo “fossile”
Tra automobili, riscaldamenti domestici accesi
nonostante il caldo tardivo e disastrosi incendi boschivi nelle valli
alpine, in ottobre l’intera pianura Padana si è trasformata in una
camera a gas.
Con la bassa ventosità, in un «catino» chiuso su tre lati
da Alpi e Appennini polveri sottili, ossidi di azoto, benzene, monossido
di carbonio e altri composti tossici si accumulano giorno dopo giorno.
L’inquinamento c’è anche a Roma o a Napoli, ma sulle coste o in altre
situazioni geografiche più favorevoli basta una brezza marittima a
disperderlo, mentre la Valle Padana per la sua conformazione conquista
il primato di una delle aree con l’atmosfera più malsana d’Europa.
Abbiamo
trasformato in discarica il sottile strato d’aria in cui viviamo e
respiriamo, come d’altra parte tutti gli altri ambienti terrestri fino
agli oceani e ai ghiacciai polari.
Pioggia e vento possono dar
temporaneo sollievo, ma spostano soltanto il problema altrove, e al
ritorno di condizioni meteo calme e stabili lo smog si ripresenta
puntuale.
Ne sentiamo
parlare tutti gli anni, almeno dal 1950.
È un sintomo di un grave
malanno che ci si ostina a voler curare con palliativi: blocchi del
traffico di qualche giorno, consigli di utilizzo dei mezzi pubblici, un
grado in meno nella temperatura delle case.
La grave patologia che lo
smog manifesta per tutti i venti milioni di abitanti della Megalopoli
padana è invece il raggiungimento dei limiti fisici del nostro operare.
Con lo smog, che non è solo fuori di noi, ma entra dentro di noi e ci
avvelena, l’ambiente ci avverte che lo stiamo sovrasfruttando,
compromettendone i processi fondamentali per la nostra vita, dal clima
alla biodiversità.
Il
segnale che ci porta il fumo padano è forte e chiaro: non possiamo più
aggiungere, crescere, produrre, consumare e scaricare a oltranza,
costruire case, autostrade, capannoni e viaggiare compulsivamente su
mezzi alimentati a combustibili fossili.
Abbiamo raggiunto la
saturazione, dobbiamo al più presto rallentare la corsa e stabilizzarci
in una condizione sostenibile. Occorre rivedere il modello economico dei
consumi e dei trasporti, e domandarci intanto perché viaggiamo così
tanto.
E’ davvero
indispensabile tutto questo nostro formicolare per migliaia di
chilometri? Possiamo rinunciarvi, almeno in parte? A cominciare dal
superfluo, come la logica del low-cost che ci porta a volare per un
caffè a Londra con la stessa disinvoltura di un giro in bici al parco.
Poi, ci sono soluzioni come il telelavoro, applicato anche solo un paio
di giorni alla settimana laddove possibile tra gli impiegati nel
terziario, così come la mobilità elettrica, basata su energia prodotta
il più possibile da fonti rinnovabili, che produrrebbero miglioramenti
tangibili della qualità dell’aria.
Ma se la tecnologia può dare una mano
a risolvere qualche problema, ricordiamoci che il nostro orizzonte
segnato da una cappa brunastra ci indica da oltre mezzo secolo che
quella della crescita infinita non è una direzione sicura verso la quale
dirigerci.
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