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Se si scioglie il permafrost

Tra le drammatiche conseguenze del riscaldamento globale è indispensabile collocare anche lo scioglimento del permafrost, i terreni perennemente ghiacciati che caratterizzano le regioni più settentrionali del nostro pianeta.
Un fenomeno ben noto ai climatologi, nei cui modelli si mette in conto che l’innalzamento delle temperature finisca col portare a un graduale scioglimento di quei terreni e al conseguente rilascio di gas serra (CO2 e metano).
Desta però molta più preoccupazione il fatto che stiamo assistendo a un vero e proprio collasso del permafrost, con conseguenze davvero pesanti per il futuro.

Effetti pericolosi

A sottolineare la pericolosità del fenomeno ci hanno pensato Merritt Turetsky (University of Guelph – Canada) e i suoi collaboratori nell’analisi pubblicata a fine aprile su Nature. Si tratta di un autentico grido di allarme che mette in guardia sul devastante impatto che il disciogliersi del permafrost potrebbe giocare nella partita del clima.
Si stima che nei terreni ghiacciati che occupano circa un quarto dei territori dell’emisfero settentrionale siano immagazzinati quasi 1600 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio di quanto ne contiene l'atmosfera.
Quel carbonio è il risultato di millenni di accumulo nel terreno ghiacciato di piante e animali morti che non si sono decomposti ed è pertanto inevitabile che, al disgelo del permafrost, venga rilasciato in atmosfera.
I modelli dei climatologi tengono conto del lento e costante scongelamento del permafrost e prevedono, negli scenari tradizionali, che nei prossimi tre secoli potranno essere rilasciati circa 200 miliardi di tonnellate di carbonio.

Davvero molto complicato stimare le conseguenze climatiche di questo importante rilascio di carbonio: non tutto, infatti, resterà in atmosfera, ma parte di esso sarà assorbita dalle piante e restituita al suolo, chiudendo in questo modo un vero e proprio ciclo.
A dirla tutta, però, non è solo il carbonio a impensierire.
Quando la temperatura del terreno sale sopra lo zero, i microrganismi decompongono la materia organica che vi si trova, un processo che sfocia nel rilascio in atmosfera di pericolosi gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) destinati ad accelerare ancor di più il riscaldamento globale.
Insomma, è come se, immagazzinato nel permafrost ma pronto a esplodere, vi sia un terribile ordigno dalle devastanti conseguenze climatiche.
Secondo la Turetsky e il suo team, però, questi valori potrebbe essere fortemente sottostimati.
Riprendendo le conclusioni dello studio pubblicato un paio d’anni fa su Nature in collaborazione con David Olefeldt (University of Alberta) e altri ricercatori, si sottolinea come circa il 20% delle terre ghiacciate presenti caratteristiche che aumentano le probabilità che si possano innescare fenomeni di scongelamento più repentini: un vero e proprio collasso del permafrost.
Tra questi aspetti vi sono la presenza nel terreno di grandi quantità di ghiaccio e una morfologia caratterizzata da pendenze instabili. In simili terreni si può innescare il fenomeno noto con il nome di thermokarst (termocarsismo), che vede il permafrost sciogliersi più velocemente e in modo irregolare provocando frane, rapida erosione e drastico cambiamento del paesaggio.

Conseguenze ancora più preoccupanti

L’analisi di Merritt Turetsky e collaboratori delle conseguenze associate a questo collasso del permafrost mette a fuoco alcuni problemi che gli attuali modelli stanno ignorando. 
Dicono i ricercatori: «Il terreno ghiacciato non blocca solo il carbonio: tiene fisicamente insieme il paesaggio. 
In tutte le regioni artiche e boreali, non appena si sciolgono le sacche di ghiaccio che ha al suo interno, il permafrost collassa in modo improvviso. 
Invece dei pochi centimetri di terreno che normalmente si scongelano ogni anno, in pochi giorni o settimane ne possono essere destabilizzati diversi metri e il terreno affonda, inondato dal gonfiarsi dei laghi e dalla creazione di zone paludose. 
Lo scongelamento improvviso del permafrost è qualcosa di drammatico da osservare. 
Quando torniamo alle nostre postazioni in Alaska, per esempio, spesso scopriamo che le terre che un anno fa erano occupate da foreste ora sono ricoperte da laghi. 
I fiumi che una volta scorrevano limpidi, ora sono pieni di sedimenti. 
Le strade si deformano, le case diventano instabili. 
L'accesso ai cibi tradizionali sta cambiando, perché sta diventando pericoloso spostarsi via terra per cacciare. 
Le famiglie non possono più raggiungere le trappole per la selvaggina che hanno dato loro il necessario per sfamarsi per intere generazioni.» Un quadro certamente preoccupante per gli insediamenti umani di quelle regioni, ma che diventa decisamente più inquietante a livello globale quando si esaminano le stime quantitative esposte nello studio.
Secondo tali stime, lo scongelamento improvviso e permanente del permafrost che genera laghi e zone umide, unito a quello che interesserà le regioni collinari, potrebbe liberare tra 23 e 100 miliardi di tonnellate di carbonio entro il 2300. Un valore che, aggiungendosi ai 200 miliardi di tonnellate di carbonio indicati nei modelli che prevedono il rilascio graduale, innalzerebbe del 50% le proiezioni del rilascio di carbonio in atmosfera.

Mettendo poi in conto il fatto che, rispetto a uno scioglimento graduale, la repentina e improvvisa liquefazione del permafrost rilascia una maggiore quantità di metano,
Turetsky e collaboratori concludono che gli impatti climatici dei due processi saranno simili.
Con la davvero spiacevole conseguenza che l’impatto del collasso del permafrost sul clima terrestre potrebbe essere addirittura il doppio di quanto previsto dai modelli attuali.

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