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Ogni anno buttiamo decine di miliardi di euro per non avere una Banca pubblica. E non ce lo chiede l'Europa...

La domanda è secca: quali mezzi ha a disposizione, in base alle disposizioni dei trattati europei, uno stato membro dell’UE per intervenire nella sua economia e realizzare politiche anticicliche?
Non molti, se prendiamo in considerazione il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, uno stato membro è sottoposto a severi limiti di deficit sia per ciò che attiene il rapporto debito/PIL fissato alla soglia massima del 60%, sia per il rapporto deficit/PIL che non può sforare il limite del 3%.

Quest’ultimo parametro potrebbe essere superato, come fatto più volte in passato da Germania e Francia, ricorrendo ad un’interpretazione favorevole agli stati membri, che si basa sull’art.126 del TFUE che ammette l’ipotesi di superamento, seppur parziale e temporaneo.

Quindi se ne deduce, che esisterebbe un margine per superare il parametro del 3%, ma l’Italia non invoca a suo favore la disposizione presente nel Trattato, viceversa continua a prodigarsi in tagli alla spesa pubblica e in aumenti della pressione fiscale, per rispettare un criterio di riferimento, che in un momento di recessione economica grave e inedito per il Paese, andrebbe necessariamente superato.

Questo comportamento dell’Italia, masochistico e dannoso per l’economia nazionale, ci serve a comprendere meglio come I’esecutivo,  devoti alla stretta osservanza delle norme europee ma non quando queste potrebbero essere a nostro vantaggio, stiano pervicacemente producendo un danno alle casse statali, e il caso in questione viene dalla mancata creazione di una banca di Stato, un istituto di credito pubblico che eroghi il credito a condizioni vantaggiose alle piccole e medie imprese, e rifinanzi il deficit dello Stato, sotto forma di monetizzazione del debito pubblico.

 La creazione dell’istituto bancario pubblico, è funzionale all’economia nazionale per promuovere gli investimenti pubblici e aiutare le piccole e medie imprese, tramite la concessione del credito a condizioni agevolate.
Non si tratta nondimeno di una violazione dei Trattati Europei, ma al contrario di una loro stretta osservanza, prescritta dalla versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ovverossia il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009 per gli stati membri. Il TFUE all’art 123, comma 1, proibisce esplicitamente alle banche centrali di finanziare il deficit statale, tramite la concessione di scoperti  di conto oppure l’acquisto dei titoli del debito da parte delle banche centrali nazionali: “Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca Centrale Europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali,agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.”

Un divieto che non è previsto per gli istituti di credito pubblico, come previsto dall’art.123 al secondo comma, che recita: “Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. 

I vantaggi di una banca pubblica

I trattati, come visto, non vietano la costituzione di una banca di Stato, e alla realizzazione di una banca pubblica sono connessi una sequela di vantaggi non indifferenti, per il paese membro che si decida a istituirla.
Attualmente, la BCE presta il denaro agli istituti di credito privati ad un tasso intorno allo 0,00%, e questi una volta ricevuto il prestito della BCE, utilizzano quel denaro per acquistare titoli del debito pubblico, che variano da rendimenti dell’1,50% sui bond decennali italiani fino al 10% per i titoli del debito greci ;un’operazione definita carry-trading nel gergo bancario, ovvero quando una banca compra massicce quantità di titoli di Stato .

Gli stessi istituti bancari privati riprestano quel denaro ad un tasso di interesse più alto alle imprese e allo Stato, costretti ad indebitarsi ad un tasso di interesse più oneroso.
Se l’Italia si dotasse di una banca pubblica, potrebbe chiedere  direttamente il denaro in prestito alla BCE allo 0,00%, con un ingente risparmio per il bilancio dello Stato e finanziare il suo stesso debito pubblico, utilizzando l’istituto di credito pubblico per ricomprare i bond emessi dallo Stato italiano ad un tasso di interesse piuttosto basso.
Si consideri che la spesa per interessi dell’Italia dal 2010 al 2013, è stata pari a circa 300 miliardi di euro; uno spreco enorme che poteva essere evitato, se si fosse proceduto alla creazione di un istituto bancario pubblico, previsto dai trattati.

Non dimentichiamo che la spesa per interessi è aumentata a dismisura dall’anno del divorzio tra il Ministero del Tesoro e Bankitalia nel 1981, quando quest’ultima non venne più “obbligata” all’acquisto dei titoli emessi del Tesoro, e insufflò la bolla degli interessi che tutt’ora grava sulle casse dello Stato.
La banca pubblica potrebbe erogare credito agevolato a tassi di interesse contenuti alle piccole e medie imprese, le quali hanno in questo momento un disperato bisogno di credito bancario per ripartire, e al contempo verrebbero premiati i finanziamenti di progetti basati sullo sviluppo sostenibile, che mirino alla valorizzazione del territorio e dei beni culturali.
Progetti che spesso non vengono tenuti in debito conto dagli istituti bancari privati, i quali dopo la nascita della banca universale degli anni’90 che ha racchiuso in sé le funzioni delle banche commerciali e d’investimento, hanno assunto scopi più prettamente finanziari e strizzato l’occhio al profitto facile. Basti pensare che i bilanci degli istituti bancari sono seduti sulla bomba ad orologeria dei derivati finanziari. 

La KfW Bankengruppe: la Cassa Depositi e Prestiti tedesca 
Uno degli stati membri che meglio si è servito del principio presente nei trattati europei è la Germania che quando si tratta di sfruttare i vantaggi derivanti dalle norme europee non rimane certo passiva.
La KfW Bankengruppe è l’istituto bancario pubblico tedesco, partecipato all’80% dalla Repubblica Federale Tedesca e al 20% dai Land. 
Il Governo tedesco, grazie alla KfW, contabilizza tutta una serie di operazioni che altrimenti andrebbero nel bilancio federale, e in questo modo “occulta” una parte consistente del suo debito pubblico.
Tramite la KfW, il governo tedesco finanzia le imprese a bassi tassi di interesse, promuove progetti di sviluppo ambientale e la costruzione di infrastrutture, permettendo all’ istituto bancario tedesco di finanziare gli istituti pubblici.

Grazie all’art.123 del TFUE, la KfW, mette in atto quel meccanismo che abbiamo descritto sopra, chiedendo il denaro in prestito alla BCE al tasso di sconto dello 0,00%,  e offrendo in cambio l’emissione di titoli del debito per garantire quel prestito.
Una volta ricevuto il denaro, la banca pubblica provvede ad erogarlo alle banche private tedesche,  che sono obbligatoriamente costrette a prestarlo ai privati a tassi agevolati.
In questo modo, un’enorme massa di liquidità monetaria riesce ad essere trasmessa al settore privato, senza andare a violare la lettera dei trattati.

A questo punto la domanda legittima che ci poniamo è: perché l’Italia non segue l’esempio della Germania e procede alla creazione di una banca pubblica?
Il compito del governo non è poi così complicato, poiché sarebbe sufficiente partire dall’utilizzo e dalla trasformazione della Cassa e Depositi Prestiti italiana, per farle eseguire le stesse funzioni della KfW tedesca. 
  
di Cesare Sacchetti


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