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PROLETARI D’ITALIA, DOVE SIETE FINITI?

Vi ricordate di cosa erano ricchi i poveri, una volta? Di una cosa sola: i loro bambini.
Se ne erano accorti per primi i nostri gloriosi antenati inventori di una Repubblica che giunse a dominare il mondo allora conosciuto, cioè Roma.
Agli antichi romani, infatti, si deve l’invenzione della parola “proletari”.

Essa designava la classe più sfigata in assoluto che, nella graduatoria delle gerarchie sociali di allora, si collocava addirittura al sesto posto, dopo le cinque principali: quelle dei possidenti dell’ordinamento centuriato.

E tuttavia, i romani, che erano idealisti ma anche pragmatici il giusto si erano accorti di una evidenza: per quanto poveri, quelli della sesta classe, qualcosa pur possedevano, dopotutto: i propri figli. 

In una società schiavista, come tutte quelle antiche, l’essere umano era molto più spesso oggetto che soggetto di diritti.
Dunque, veniva abbastanza naturale collegare la figliolanza alla merce.
E annetterla, di conseguenza, a quella minuta dote (i figli, appunto) di cui erano dotati persino i poveri cristi.
Poi quella parola – “proletari – ha fatto storia, e scuola, ed è riemersa dopo secoli divenendo un termine abusatissimo nel diciannovesimo e ventesimo secolo.
Essa è stata, da Marx e compagni, debitamente rispolverata e riconsegnata all’uso frenetico, e spesso polemico, della lotta politica.
Ma il concetto non cambiava poi tanto, rispetto ai tempi di Servio Tullio: i bambini, povere braccia rubate all’infanzia, erano l’unica ricchezza per le masse. 
E per chi, in definitiva, poteva contare solo sul proprio corredo genetico e su una naturale fertilità per produrre qualcosa di “suo” che non finisse nel plus-valore del rapace capitalista.
Oggi sta accadendo una cosa stupefacente.
E cioè che, ai poveri, hanno tolto persino quell’unica risorsa.
Infatti, essi non fanno neppure più figli.
Anzi, la nostra società in generale non fa più figli.

Lo certifica una indagine Istat sulla popolazione italiana che (a causa del saldo negativo persistente nati/morti) è diminuita, nell’ultimo quinquennio, di ben 667.000 unità.
Ma non c’è solo questo.
Non solo i poveri non sono più proletari.

È la prole stessa ad essersi trasformata da (unica) dote del povero a preziosa mercanzia per il ricco. 

D’altra parte, è una legge del commercio: quanto più un bene si fa raro, tanto più aumenta il suo valore.
Questo ci porta all’orribile vicenda scoperchiata dall’inchiesta di Bibbiano il cui assunto, ove confermato, sarebbe: bambini strappati a famiglie, spesso povere – quelle che un tempo avremmo definito proletarie –, per essere indirizzati ad altre più “idonee”, e spesso più facoltose, destinazioni.
Il tutto in un giro come al solito vorticoso di denari.
I bambini sono diventati “cari” come i tartufi.
Ne fanno richiesta anche nuclei familiari dalla composizione originale dove la “naturalità” tradizionale della copia etero è diventata un optional, se non addirittura un limite.
Tutti ormai vogliono – ma che dico, esigono! – di poter attingere alla loro porzione di bambini.
Lo considerano un diritto. E, statene certi, li avranno.
Basterà pagare il conto.

Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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