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La distruzione del patrimonio pubblico italiano. Le responsabilità dei nostri governanti.

Dopo l’assassinio di Aldo Moro, i nostri governanti, divenuti vittime del neoliberismo, pensiero unico dominante, hanno fatto di tutto per togliere al Popolo il proprio patrimonio pubblico (la “proprietà pubblica”,  di cui all’art. 42 Cost., comma 1, primo alinea), dimenticando che, come un individuo non può fare nulla se non ha un suo piccolo patrimonio, così un “Popolo”, e cioè, come diceva il Pugliatti, un “Soggetto plurimo”, non può fare nulla se è privato del “patrimonio pubblico”. 

Questo fine perverso è stato perseguito su due piani: quello “finanziario” e quello puramente “economico”.


Sul piano finanziario, c’è stato l’adeguamento dell’Italia al sistema globale della “finanziarizzazione” dei mercati. 
Si è, in altri termini, dato per legge valore di “moneta” a dei semplici “prodotti finanziari” tossici per l’economia perché di non sicura realizzazione.
I “prodotti finanziari” sono stati molti e di diverse specie, ma tutti inficiati dall’incertezza del perseguimento della loro dichiarata finalità.
Citiamo soltanto le ”cartolarizzazioni” e i “derivati”, entrambe costruite sul presupposto errato che il debitore adempia al suo debito.

Le “cartolarizzazioni dei diritti di credito” furono legittimate dalla legge n. 130 del 1999 del governo D’Alema.
I “derivati” (un complesso di debito tra loro intrecciati e di difficilissima interpretazione), furono legittimate dalla legge 448 del 2001 (finanziaria 2002), del governo Berlusconi.

C’è poi da ricordare che un’azione fortemente distruttiva, e creatrice del nostro enorme “debito pubblico”, è derivata dalla lettera del 12 febbraio 1981, con la quale il Ministro del tesoro Andreatta scrisse al governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi che la nostra Banca centrale era sollevata dall’onere di acquistare i buoni del tesoro rimasti invenduti. 

Il sistema fino ad allora vigente prevedeva che, poiché molti dei buoni emessi dal Tesoro restavano invenduti, a causa dei bassi tassi di interessi da essi previsti, la Banca d’Italia doveva acquistare tali beni, in modo che, stampando nuova moneta, il nostro bilancio poteva tornare in pareggio e le attività delle nostre aziende e imprese pubbliche potevano continuare a essere poste in essere. Con la decisione di Andreatta, invece, venne, per così dire, amputata la nostra sovranità monetaria, e fummo costretti a rivolgerci al mercato generale, il quale, con una serie di manovre speculative, sovente guidate da Soros, fecero salire il tasso di intesse sui buoni del Tesoro al 25 per cento, con la conseguenza di un improvviso e altissimo aumento del nostro debito pubblico, 

Come afferma Paolo Ferrero, “tutto il nostro debito pubblico è costituito dai tassi di interessi impostici dalla speculazione del mercato generale”. 

Si deve sottolineare, a questo punto, che la spinta più forte contro la nostra economia al fine di adeguarla alle richieste dell’Europa e del mercato generale, nella più stretta osservanza dei principi neoliberisti, fu data dal governo Monti, il quale, non solo introdusse in Costituzione l’obbligo del “pareggio di bilancio” (legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012), cui sono da collegare effetti disastrosi sul piano finanziario, ma non esitò a dare un duro colpo alla disciplina delle pensioni (legge cd Fornero: decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge n. 214 del 22 dicembre 2011), e a dare l’avvio alla più sfrenata concorrenza con le “liberalizzazioni” di cui al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella legge 24 maggio 2012, n. 27. 

Quest’ultimo provvedimento si impone all’attenzione generale per il richiamo, per così dire, “amputato” all’art. 41 della nostra Costituzione, del quale si cita solo l’inizio, secondo il quale “l’iniziativa economica privata è libera”, dimenticando il resto, che viene palesemente violato e che recita: “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. 

In questo modo Monti legittimò i licenziamenti per soli ragioni di maggior guadagno e dette un colpo mortale alla “sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, che da allora in poi furono concetti considerati “recessivi” di fronte alle esigenze di maggior guadagno delle imprese. 
Si trattò di un provvedimento fortemente disastroso per il nostro “patrimonio pubblico”, poiché, come ciascun può constatare, la restrizione o la mancanza del “lavoro” costituisce la causa prima del nostro impoverimento generale.

Sul piano puramente economico la distruzione del nostro “patrimonio pubblico”, e in particolare delle nostre “fonti di produzione di ricchezza nazionale”, è stata perseguita dai nostri governanti attraverso l’uso di due micidiali strumenti: le “privatizzazioni” e le “svendite”, effettuate per rientrare nei limiti di bilancio imposti dall’Unione Europea con la sua politica di austerità, politica che ha di fatto impedito lo sviluppo economico e ha fatto ulteriormente innalzare il nostro debito pubblico.

La “dannosità” delle “svendite” non ha bisogno di precisazioni: si tratta di un impoverimento diretto e immediato del “patrimonio pubblico”, che peraltro ha sovente effetti duraturi e irrefrenabili, specialmente quando si tratta di svendite delle “fonti di produzione” della ricchezza, come i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le comunicazioni di ogni tipo, e così via dicendo.

La “dannosità” delle “privatizzazioni” non appare a prima vista evidente, ma essa è assolutamente micidiale alla pari delle svendite. 

Infatti, sostituendo ad un Ente pubblico una SPA, che ovviamente è scalabile da chiunque, e quindi anche (e soprattutto) da soggetti stranieri, i beni facenti parte del “patrimonio pubblico”, che cioè sono oggetto di “proprietà pubblica” del Popolo, passano, senza che nessuno se ne accorga, nella “proprietà privata” di singoli soggetti, che molto spesso sono multinazionali estere. 

Inoltre è da sottolineare che la trasformazione di un Ente pubblico in SPA è un colpo mortale alla stessa esistenza dello Stato, poiché gli amministratori della Società per azioni sono tenuti a perseguire l’utile della Società medesima e non più l’interesse pubblico del Popolo sovrano. 

Insomma “privatizzare” significa distruggere lo Stato nella sua più intima essenza.
La prima impressionante privatizzazione fu quella della legge 30 luglio 1990, n. 218, nota come legge Amato-Carli, seguita dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356. 
Entrambi i provvedimenti legislativi decretarono in pratica la “privatizzazione” delle “banche pubbliche” italiane e eliminarono la “separazione” tra banche commerciali e banche di investimento. 
Un vero colpo mortale all’economia italiana.

A tale proposito, tra l’altro, vien fatto di ricordare che, con la privatizzazione delle banche pubbliche, si è avuto anche la privatizzazione della Banca d’Italia, divenuta anch’essa una SPA, con la conseguenza che non si sa più a chi appartengono i lingotti d’oro una volta in proprietà dello Stato, e cioè del Popolo italiano. 
Si tratta di 2.452 tonnellate d’oro, per un controvalore in euro di almeno 90 miliardi. 
Non ci sono leggi in proposito, ed esiste soltanto un Regolamento della Banca d’Italia, il quale, all’art. 61, afferma che i lingotti d’oro appartengono alla stessa Banca d’Italia, i cui soci sono 121 banche private, con una piccolissima partecipazione dell’INPS. 

Pertanto, in attesa di una legge che chiarisca la questione (una proposta di legge è stata presentata dall’On. Borghi) si deve purtroppo ritenere che, allo stato dei fatti, quell’oro non appartiene più al Popolo italiano, ma alle banche private (tra le quali ce ne sono alcune dominate da capitale straniero, come Unicredit e Banca Intesa), che costituiscono l’Assemblea della SPA Banca d’Italia.

Le ulteriori privatizzazioni proseguirono con il decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 (governo Amato), convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che trasformò in SPA: l’INA, l’ENI, l’ENEL e l’IRI (che poi Prodi provvide a svendere pezzo per pezzo), in pratica tutto il patrimonio economico in proprietà degli Italiani. 

Come si legge nel libro di Bruno Amoroso e Nico Perrone, “Capitalismo predatore: come gli USA fermarono i progetti di Mattei e Olivetti”, “le privatizzazioni riportarono l’Italia alle condizioni del dopoguerra: uno Stato minore nel contesto globale, che poteva essere utile in tante situazioni, ma che doveva restare in posizione subordinata”. 

Quanto ai “servizi pubblici essenziali”, basti pensare che sono state privatizzate (con la prospettiva di probabile svendita), sia le Ferrovie dello Stato (con delibera CIPE del 12 agosto 1992, in attuazione dell’art. 18, della legge 8 agosto 1992, n. 359, governo Berlusconi), sia le Poste italiane (con delibera CIPE del 18 dicembre 1997, in attuazione dell’art. 1, comma 2, della legge 29 gennaio 1994, n. 71, di conversione in legge del decreto legge 1 dicembre 1993, n. 487, governo Ciampi). 

E’ altresì da sottolineare, per quanto riguarda invece i “servizi pubblici locali”, che, dopo il referendum del 2011, il quale ha sancito l’obbligo della pubblicità di detti servizi e, in particolare del servizio idrico integrato, il governo Berlusconi, con l’art. 4 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, ha reintrodotto “la gestione concorrenziale” dei servizi in parola (escludendo quello dell’acqua), e che, tuttavia, la Corte costituzionale, con sentenza 17 luglio 2012, n. 199,  ha annullato detta norma rilevando “la sua coincidenza rispetto a quella abrogata dal voto popolare, e sottolineando che “l’intento abrogativo riguardava pressoché tutti in servizi pubblici locali di rilevanza economica”. 
Ciò non ostante, tranne il Comune di Napoli, tutti (o quasi) gli enti pubblici territoriali hanno affidato i servizi in questione a gestioni private.

Un colpo micidiale al patrimonio pubblico italiano venne poi dato dal decreto legge 25 settembre 2001, 351, convertito nella legge 23 novembre 2001, n. 410, (governo Berlusconi), il quale all’art. 3, comma 1, stabilisce che “L’inclusione dei beni da vendere  nel decreto produce il passaggio (dei beni stessi) al patrimonio disponibile” 

Insomma, tutti gli immobili pubblici, compresi quelli inalienabili, in quanto beni artistici e storici costituenti demanio dello Stato e di altri Enti pubblici territoriali, diventano alienabili. 

Viene violato così in modo aperto e del tutto disinvolto l’art. 42, primo comma, della Costituzione, secondo il quale la “proprietà è pubblica e privata”, intendendosi per “proprietà pubblica”, come osservò il Giannini, la “proprietà collettiva demaniale” del Popolo sovrano. 

In sostanza, il governo Berlusconi sottrasse la proprietà al Popolo di tutti i suoi immobili artistici e storici, facendoli diventare privati, contro gli interessi dello stesso Popolo, come se nulla fosse. 

E si continua ancora su questa strada con enormi svendite, senza che nessuno se ne accorga e senza che la questione venga portata alla Corte costituzionale ai fini dell’annullamento della legge di cui si parla. 

Dannosissime privatizzazioni sono state poi varate dal governo Renzi. Si pensi allo Sblocca Italia (decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito nella legge 11 novembre 2014, n. 164), che ha concesso a una azienda petrolifera straniera tutto il petrolio sottostante al nostro territorio terrestre e marittimo, producendo incalcolabili danni all’ambiente, alla salute e alla economia; ha consentito l’applicabilità del principio del silenzio assenso anche in zone vincolate; ha sottoposto i Soprintendenti al potere dei Prefetti. 

Si pensi inoltre al Jobs Act dello stesso governo (decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81), che ha abolito l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, riducendo i lavoratori a merce di scambio e cancellando i diritti conquistati con decenni di lotta; si pensi alla riforma della pubblica amministrazione (legge 7 agosto 2015, n. 124), sempre del governo Renzi, che ha cancellato il Corpo forestale dello Stato, con la conseguenza che nel 2017 gli incendi estivi hanno superato del 700 per 100 gli incendi dell’anno precedente. 

Si pensi soprattutto all’art. 5 della legge delega 28 luglio 2016, 154, che consentito al governo Gentiloni di emanare il decreto legislativo 3 aprile 2018, n 34 (testo unico sulle foreste), che ha decretato la fine della tutela forestale rendendo possibile il taglio degli alberi di alto fusto in dispregio di tutte le norme di conservazione dei boschi e delle foreste, al fine di utilizzare il legname per le centrali a biomassa. 

E certamente l’elencazione non finisce qui. 

Le sciagure prodotte da leggi costituzionalmente illegittime continuano a ritmo serrato e diventa difficoltoso anche annoverarle.
A ciò si aggiunga che, svendute le banche e le industrie, stiamo svendendo persino tutto il nostro territorio. 

Abbiamo svenduta l’isola più bella dell’Arcipelago della Maddalena, l’isola di Budelli, nonché Isola Bella di fronte a Taormina, e, a quanto pare, l’Isola di Poveglia e l’isolotto di Cerboli nella Laguna Veneta, il Monte delle Tofane e il Monte Cristallo sopra Cortina d’Ampezzo (mediante il sistema delle “cartolarizzazioni”). 
Sono stati venduti tutti i Fari marittimi (dieci dei quali li ha acquistati la Germania), sono stati svenduti una quantità incredibile di immobili artistici e storici appartenenti allo Stato o a Enti pubblici territoriali. 

Solo per fare qualche esempio, sono stati svenduti, a Roma, la Zecca monumentale di piazza Verdi, acquistata da Cinesi e la Casina Valadier, situata al Pincio, venduta, per 16 milioni, a uno sceicco arabo. 
E chi voglia saperne di più veda l’elenco degli immobili da vendere accuratamente custodito dall’Agenzia del Demanio. Intanto anche splendide industrie strategiche (come, ad esempio, 
La Magneti Marelli, indispensabile per la fabbricazione delle auto elettriche) e straordinari immobili artistici e storici, in mano privata, sono passati in enorme quantità in mano straniera. 
A Roma l’Hotel Excelsior è in mano Araba, il Grand Hotel di piazza Esedra in mano Cinese, l’Eden in mano inglese, il Flora, che ha cambiato nome, in mano francese, ed è inutile proseguire nell’elencazione.

Quanto all’attuale governo Conte (rectius Di Maio-Salvini), è sufficiente ricordare che esso ha svenduto agli Indiani l’Acciaieria di Taranto, in modo che i profitti vadano agli Indiani e le malattie incurabili agli Italiani, ha dato attuazione al Tap, che, per portare il petrolio in Austria, ha distrutto già buona parte del territorio pugliese, ha dato attuazione al cd. Decreto Martina, che autorizza lo sradicamento di tutti gli ulivi del Salento, riducendo tale zona d’Italia un deserto. E l’elenco, lo si creda, potrebbe continuare.

Abbiamo elencato soltanto alcuni degli effetti catastrofici delle privatizzazioni e delle svendite, che hanno impoverito il patrimonio pubblico italiano, fino a farci diventare l’ultima economia dell’Europa. 
La colpa è della ideologia neoliberista, che ha imposto un sistema economico predatorio a livello mondiale, e dell’insipienza dei nostri governanti, che “si fanno belli” con gli stranieri danneggiando l’intero Popolo Italiano, disinformato e tradito. 
Un vero governo non può battersi su questioni di cronaca permanendo in una continua battaglia elettorale. 
Un vero governo deve tutelare gli interessi italiani, che, in questo momento storico, si difendono nazionalizzando le “fonti di produzione della ricchezza”, come fanno Inghilterra, Francia e Germania, e non consentendo allo straniero di impadronirsi, per pochi euro, di tutto il territorio italiano compreso tutto quello che un territorio contiene. 

Lo impone l’art. 52 della Costituzione, secondo il quale “difendere la Patria è dovere sacro del cittadino”.   
       
Professor Paolo Maddalena.
Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”

Commenti

  1. Perche il Governo Italiano tassa i cittadini per l'88% complessivo quando potrebbe benissimo tassarli per il 28% ?

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