Il quadro nazionale delle tasse ambientali in Italia è coerente col principio Chi inquina paga?
Ci sono margini per una riforma della fiscalità ambientale, all’insegna di una maggior equità e trasparenza?
In questo studio i costi esterni ambientali generati da ciascun settore dell’economia nazionale sono confrontati con l’ammontare complessivo delle
imposte ambientali pagate dallo stesso settore così come definite e monitorate dall’Istat (accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore e altre imposte su inquinamento e risorse naturali), allo scopo di formulare alcune ipotesi di riforma della fiscalità ambientale, all’insegna di una maggior equità e trasparenza.
I costi esterni sono quei danni, generati da un’attività economica o sociale, che
ricadono su terzi (sotto forma di effetti sanitari, danni a beni ed attività economiche) o sui ricettori ambientali (effetti a carico del capitale naturale e dei servizi eco-sistemici).
Questo contributo stima i costi esterni associati alle emissioni in atmosfera (gas serra, macro-inquinanti, metalli pesanti) e al rumore dei trasporti.
Non sono invece state considerate esternalità importanti come, ad esempio, gli scarichi inquinanti nelle acque, l’inquinamento dei suoli dovuto allo smaltimento illegale dei rifiuti, gli incidenti stradali e la congestione da traffico.
Il totale dei costi esterni stimato per le attività delle imprese e delle famiglie in Italia nel 2013 supera leggermente i 50 miliardi di euro, una cifra che corrisponde al 3,2% del PIL nazionale.
La maggior parte dei costi esterni è dovuta ai settori produttivi dell’economia (33,6 miliardi di euro, che corrispondono al 66,9% del totale), mentre le attività delle famiglie contribuiscono per 16,6 miliardi (33,1%).
L’industria ha i costi esterni ambientali più elevati (13,9 miliardi di euro), seguita
dall’agricoltura (10,9 miliardi), mentre il riscaldamento domestico è al terzo posto (9,4 miliardi) superando i costi esterni ambientali dei trasporti delle famiglie (7 miliardi).
Le emissioni di particolato contribuiscono per il 29% circa dei costi esterni, seguite dalla CO 2 col 22%, dall’ammoniaca (NH 3 ) e dagli ossidi di azoto (NO x ) col 16%, dagli ossidi di zolfo (SO x ) col 5%, dal metano (secondo gas serra per importanza) col 4% e dal rumore dovuto ai trasporti col 3%.
Il confronto fra il gettito delle imposte ambientali e i costi esterni evidenzia che:
- le famiglie pagano il 70% in più dei loro costi esterni ambientali
- le imprese pagano il 26% in meno
- all’interno delle attività economiche, i comparti dell’agricoltura e dell’industria pagano rispettivamente il 93% e il 27% in meno dei loro costi esterni ambientali
- il comparto dei servizi paga il 57% in più.
Un’analisi per settori più disaggregata fa emergere ulteriori disparità.
Almeno quattro branche dell’economia, fra le 64 esaminate, risultano pagare in maniera del tutto marginale rispetto ai costi da esse prodotti a carico della collettività:
- trasporto marittimo, 1%
- trasporto aereo, 6%
- agricoltura, 6,6%
- elettricità e gas, 16,9%.
Il settore manifatturiero, che nel suo complesso mostra un’apparente coerenza col principio Chi inquina paga (94% di copertura dei costi esterni), presenta una situazione di forte diseguaglianza al suo interno, con 15 delle 19 branche manifatturiere che compensano – attraverso le imposte ambientali - i propri costi esterni e in alcuni casi pagano molto di più, finendo di fatto per sussidiare le restanti 4 branche manifatturiere (coke e raffinazione; vetro, ceramica, cemento e altri minerali; metallurgia; industria della carta), che pagano molto meno di quanto dovrebbero.
I risultati dell’analisi evidenziano che in Italia ci sono ampi margini per migliorare la qualità delle imposte ambientali, ma questo richiede l’inclusione del monitoraggio sistematico e trasparente dei costi esterni.
La fiscalità vigente, attualmente basata sulle accise sui prodotti energetici, dovrebbe essere oggetto di una riforma che permetta un maggior utilizzo di imposte specifiche sulle emissioni, come la carbon tax.
Le nuove imposte dovrebbero essere coerenti con la misura dei costi esterni ambientali di tutte le attività socio- economiche in un’ottica di economia circolare.
In particolare, questo studio segnala tre aree di possibile intervento:
1) i sussidi dannosi per l’ambiente, che il recente Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dei sussidi ambientalmente dannosi (Ministero dell’Ambiente – AT Sogesid, 2017) stima complessivamente in 16,2 miliardi di euro l’anno (per la maggior parte costituiti da agevolazioni ed esenzioni fiscali), dovrebbero essere gradualmente eliminati
2) occorrerebbe ridurre ulteriormente il tetto del sistema comunitario di commercio delle emissioni (ETS - Emission Trading System), evitando l’allocazione gratuita di permessi a specifici settori, e introdurre una carbon tax sia nei settori non ETS sia sulle importazioni
3) la riforma della fiscalità ambientale potrebbe essere completata dall’ introduzione graduale di imposte su specifici inquinanti e sull’estrazione di risorse naturali scarse.
Se accompagnata dalla parallela riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi da
lavoro, questa riforma potrebbe avvenire senza incidere sulla pressione fiscale
complessiva.
La riforma della fiscalità ambientale consentirebbe di finanziare anche un
piano di interventi green (infrastrutturali e di sostegno alla green economy) che coniughi gli Ufficio valutazione impatto Pag. | 9
Documento di valutazione n. 6
obiettivi di rilancio dell’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Dossier completo
Ci sono margini per una riforma della fiscalità ambientale, all’insegna di una maggior equità e trasparenza?
In questo studio i costi esterni ambientali generati da ciascun settore dell’economia nazionale sono confrontati con l’ammontare complessivo delle
imposte ambientali pagate dallo stesso settore così come definite e monitorate dall’Istat (accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore e altre imposte su inquinamento e risorse naturali), allo scopo di formulare alcune ipotesi di riforma della fiscalità ambientale, all’insegna di una maggior equità e trasparenza.
I costi esterni sono quei danni, generati da un’attività economica o sociale, che
ricadono su terzi (sotto forma di effetti sanitari, danni a beni ed attività economiche) o sui ricettori ambientali (effetti a carico del capitale naturale e dei servizi eco-sistemici).
Questo contributo stima i costi esterni associati alle emissioni in atmosfera (gas serra, macro-inquinanti, metalli pesanti) e al rumore dei trasporti.
Non sono invece state considerate esternalità importanti come, ad esempio, gli scarichi inquinanti nelle acque, l’inquinamento dei suoli dovuto allo smaltimento illegale dei rifiuti, gli incidenti stradali e la congestione da traffico.
Il totale dei costi esterni stimato per le attività delle imprese e delle famiglie in Italia nel 2013 supera leggermente i 50 miliardi di euro, una cifra che corrisponde al 3,2% del PIL nazionale.
La maggior parte dei costi esterni è dovuta ai settori produttivi dell’economia (33,6 miliardi di euro, che corrispondono al 66,9% del totale), mentre le attività delle famiglie contribuiscono per 16,6 miliardi (33,1%).
L’industria ha i costi esterni ambientali più elevati (13,9 miliardi di euro), seguita
dall’agricoltura (10,9 miliardi), mentre il riscaldamento domestico è al terzo posto (9,4 miliardi) superando i costi esterni ambientali dei trasporti delle famiglie (7 miliardi).
Le emissioni di particolato contribuiscono per il 29% circa dei costi esterni, seguite dalla CO 2 col 22%, dall’ammoniaca (NH 3 ) e dagli ossidi di azoto (NO x ) col 16%, dagli ossidi di zolfo (SO x ) col 5%, dal metano (secondo gas serra per importanza) col 4% e dal rumore dovuto ai trasporti col 3%.
Il confronto fra il gettito delle imposte ambientali e i costi esterni evidenzia che:
- le famiglie pagano il 70% in più dei loro costi esterni ambientali
- le imprese pagano il 26% in meno
- all’interno delle attività economiche, i comparti dell’agricoltura e dell’industria pagano rispettivamente il 93% e il 27% in meno dei loro costi esterni ambientali
- il comparto dei servizi paga il 57% in più.
Un’analisi per settori più disaggregata fa emergere ulteriori disparità.
Almeno quattro branche dell’economia, fra le 64 esaminate, risultano pagare in maniera del tutto marginale rispetto ai costi da esse prodotti a carico della collettività:
- trasporto marittimo, 1%
- trasporto aereo, 6%
- agricoltura, 6,6%
- elettricità e gas, 16,9%.
Il settore manifatturiero, che nel suo complesso mostra un’apparente coerenza col principio Chi inquina paga (94% di copertura dei costi esterni), presenta una situazione di forte diseguaglianza al suo interno, con 15 delle 19 branche manifatturiere che compensano – attraverso le imposte ambientali - i propri costi esterni e in alcuni casi pagano molto di più, finendo di fatto per sussidiare le restanti 4 branche manifatturiere (coke e raffinazione; vetro, ceramica, cemento e altri minerali; metallurgia; industria della carta), che pagano molto meno di quanto dovrebbero.
I risultati dell’analisi evidenziano che in Italia ci sono ampi margini per migliorare la qualità delle imposte ambientali, ma questo richiede l’inclusione del monitoraggio sistematico e trasparente dei costi esterni.
La fiscalità vigente, attualmente basata sulle accise sui prodotti energetici, dovrebbe essere oggetto di una riforma che permetta un maggior utilizzo di imposte specifiche sulle emissioni, come la carbon tax.
Le nuove imposte dovrebbero essere coerenti con la misura dei costi esterni ambientali di tutte le attività socio- economiche in un’ottica di economia circolare.
In particolare, questo studio segnala tre aree di possibile intervento:
1) i sussidi dannosi per l’ambiente, che il recente Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dei sussidi ambientalmente dannosi (Ministero dell’Ambiente – AT Sogesid, 2017) stima complessivamente in 16,2 miliardi di euro l’anno (per la maggior parte costituiti da agevolazioni ed esenzioni fiscali), dovrebbero essere gradualmente eliminati
2) occorrerebbe ridurre ulteriormente il tetto del sistema comunitario di commercio delle emissioni (ETS - Emission Trading System), evitando l’allocazione gratuita di permessi a specifici settori, e introdurre una carbon tax sia nei settori non ETS sia sulle importazioni
3) la riforma della fiscalità ambientale potrebbe essere completata dall’ introduzione graduale di imposte su specifici inquinanti e sull’estrazione di risorse naturali scarse.
Se accompagnata dalla parallela riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi da
lavoro, questa riforma potrebbe avvenire senza incidere sulla pressione fiscale
complessiva.
La riforma della fiscalità ambientale consentirebbe di finanziare anche un
piano di interventi green (infrastrutturali e di sostegno alla green economy) che coniughi gli Ufficio valutazione impatto Pag. | 9
Documento di valutazione n. 6
obiettivi di rilancio dell’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
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