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Educare alla Bellezza

L’unica speranza per tenersi a galla nel fango della “modernità terminale” è rieducare alla Bellezza; perché nessuna società si è mai identificata con lo squallido, il laido e il “brutto”, come sta facendo la nostra.

Ma la Bellezza che può conquistare i cuori, è sempre legata alla Forza: perché l’unica alternativa credibile al disastro sociale di oggi, può essere solo una rinnovata “educazione cavalleresca”.
La chiamano “emergenza educativa” e nel concreto, significa l’implosione valoriale e umana di un’intera società: famiglie distrutte, depressione, atti di violenza, tanto brutali quanto apparentemente inspiegabili e gratuiti, solitudine, depressione, suicidi, ripudio per la vita fin dalla più giovane età.

Ma qual è la natura di questo vero e proprio buco nero nel quale sta sprofondando inesorabilmente una società intera: uomini e donne, ragazzi e adulti e persino bambini e anziani? Qual è la radice dello squallore, del cinismo, dell’indifferentismo, dell’alienazione che oggi consuma anime, corpi, coscienze, gruppi, singoli e intere generazioni? E qual è, se c’è, una possibile soluzione?

Per prima cosa, e pur a rischio di essere definiti “pessimisti”, facciamo una premessa: a nostro parere, questo tipo di società non può essere salvata nel suo complesso.
La perdita di un Centro (innanzitutto spirituale), la progressiva dissoluzione dei rapporti e delle qualità tipicamente umane (cultura, arte, pensiero, senso della comunità, ecc.), la perdita del senso dell’esistenza (e della stessa idea che l’esistenza possa averne uno), persino il conseguente crollo demografico ed economico, spingono verso una prognosi infausta per la società occidentale nel suo complesso.

Un cambiamento generale della società, infatti, presupporrebbe una tale rivoluzione delle coscienze e delle strutture (la quale sarebbe certamente catastrofica nel senso letterale del termine), da essere inimmaginabile al momento (e comunque, non certo realizzabile con mezzi puramente “umani”).
E tuttavia, è sempre possibile per gruppi più o meno ristretti e per alcuni singoli, resistere alla valanga di fango che tutto spiana e tutto demolisce, ma a patto di definire alcuni punti di partenza.

Una società della Bruttezza
Se, come scriveva Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, è evidente che oggi questa società è perduta.
La Bellezza come armonia, la Bellezza come meraviglia e capacità di stupirsi, la Bellezza come nobiltà d’animo, la Bellezza come arte, oggi non abita più qui.
E in effetti, se c’è una caratteristica che definisce più d’ogni altra questo “mondo terminale”, è il suo affogare in una valanga di squallore, bruttezza e pessimo gusto.
La bruttezza ha invaso le nostre vite: la bruttezza del linguaggio, del vestire, del costruire; persino la Religione, in occidente, non è più capace di creare bellezza e si accontenta di sguazzare nel brutto e nel banale, edificando pseudo-templi più simili a garage che a “luoghi di culto”, rinnegando migliaia di anni di estetica meravigliosa, in cambio di squallide liturgie.
Ma ancor di più: la società attuale sembra avere un vero e proprio “culto del brutto”; glorifica lo squallore (estetico e morale), persino compiacendosene.

La “Bellezza” precede la “Bontà”
Quello che, infatti, abbiamo dimenticato, è che il Bello precede necessariamente, in ordine di tempo, il Buono. “Kalòs kai agathòs” affermavano gli Antichi.
E in effetti, nessuno di noi si è mai innamorato di un “codice morale”, di una Legge o di un “ordine”, perché ciò che ci attira e ci “converte”, in realtà, è sempre e solo ciò che appare “bello” al nostro immaginario.
Il moralismo clericale (e ancor più quello “laico” della cosiddetta “educazione civica”) hanno infatti dimenticato che ciò che smuove l’uomo – in un verso o nell’altro – non è l’imposizione di un “codice comportamentale” calato dall’alto, ma un’Immagine che appare bella e convincente.
Anche nei Vangeli, il Cristo afferma: “Affinché gli uomini vedano le vostre belle opere (kalé = “belle”, non “buone” come viene tradotto nelle Bibbie moderne) e glorifichino il Padre che è nei Cieli” (Mt. 5).

Ma questo, purtroppo, vale anche in senso contrario: perché lì dove la Bellezza non è più diffusa, la bruttezza riesce spesso e paradossalmente a soppiantarla, riuscendo ad “impressionare” l’immaginario con modelli che, pur laidi e sgraziati, veicolano un senso apparente di “forza”, che può diventare coinvolgente e a-ccattivante (ovvero, capace di “imprigionare”, nel senso etimologico del termine).
Ed è questa la ragione del successo di quasi tutti i modelli e le mode contemporanee, le quali, seppur contraddistinte da un aspetto a volte rivoltante, pur “imprigionano” innumerevoli coscienze.

Non bisogna infatti dimenticare che la Bellezza si accompagna necessariamente alla forza, e che un’Immagine ed un Modello, per essere belli e convincenti, devono anche esseri “forti”. Soprattutto i giovani, in effetti, sono disperatamente alla ricerca di “modelli forti” con i quali identificarsi: una “bellezza morale” astratta, una “bellezza evanescente” ed impotente, non attrarrà mai nessuno.
Bisogna, allora, avere il coraggio di predicare una Bellezza che, se è necessario, sa anche utilizzare una legittima
Forza pur di difendere se stessa: una “Bellezza guerriera”, quella Bellezza che si incarna nell’archetipo eterno della Cavalleria, che è anche l’unico modello che può, ancora oggi, proporsi come antidoto credibile alla dissoluzione.

E da questo punto di vista, peraltro, un’educazione alla Bellezza è ancora possibile. Nel concreto, infatti, persistono a tutt’oggi modelli affascinanti e credibili che possono veicolare, con Bellezza e Forza, immagini capaci di educare gli esseri umani – e anche i giovani – oltre il fiume di fango della (in)cultura dominante.
Pensiamo, ad esempio, al successo straordinario del miglior fantasy e soprattutto all’opera – spesso validamente riproposta in chiave cinematografica – di autori come Tolkien e Lewis.
Essi narrano il vero “mito cavalleresco dei nostri tempi” che, riproponendo Archetipi antichissimi, può parlare al Cuore dell’essere, risvegliando valori eterni come la fratellanza, l’amicizia disinteressata, l’amore, la giusta battaglia, la vita come “Cammino” e come “Via”.

Bisogna, inoltre, riscoprire quelle Oasi di Bellezza che permangono, malgrado tutto, nel mondo attuale: la Bellezza vergine e potente della Natura, che rapisce anima e corpo, ma anche l’armonia dell’arte dei secoli passati, che ancora illumina le nostre città e i nostri borghi, spesso nell’indifferenza (bisogna riconoscerlo) di noi distratti e stressati eredi, incapaci spesso di alzare lo sguardo dal caos quotidiano, anche solo per ammirare un campanile, un rosone o una cupola…

E non bisogna dimenticare anche la Bellezza del nostro corpo, non nel senso squallidamente commerciale enfatizzato dalla moda, ma nel suo rapporto con la Forza, l’Armonia e la Disciplina (e su questo, discipline come le Arti Marziali, l’Alpinismo, un certo tipo di Escursionismo, hanno moltissimo da insegnare); risvegliandoci dal torpore indotto da un abuso della tecnologia e da quel vile rapporto con la fatica e col dolore, che ci contraddistingue come moderni.

Questo perché la violenza – quella più brutale, assurda e ingiustificata – non nasce, come qualcuno vorrebbe credere, dall’esercizio armonioso della Forza, ma dalla viltà indotta dalla debolezza e dal vittimismo.

Uccidere la moglie perché ci ha lasciati, sterminare la propria famiglia per “risolvere” un qualche problema, esercitare violenza su una donna sola o su un anziano – eventi ai quali la cronaca ci ha ormai abituato – non sono gesti che nascono dalla Forza ma dalla debolezza più vile.

Tutto questo, naturalmente, senza dimenticare l’aspetto più importante del nostro “Essere Uomini”, ovvero il Rapporto col Divino e con l’Assoluto. Un rapporto che va ricreato, ripreso, ricostruito anche a dispetto della decadenza della Religione e della secolarizzazione ormai imperante. Perché non vi è vera Forza e Bellezza e Saggezza, senza il rapporto con la sua unica ed eterna Fonte.
Articolo di Gianluca Marletta






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