«L’economia umanistica è la
sfida di questo secolo che seppellirà, come un incidente storico,
quella capitalistica e quel pensiero neoliberista che ci racconta da
decenni come il pianeta sia guidato dai mercati, mentre al contrario
il mondo è guidato dalla libera mente dell’uomo. Quella mente, da
secoli, si chiama Morale».
Parole accorate, viscerali, che vengono dal
profondo del cuore di un uomo consapevole, prima ancora che
economista. Di un cittadino italiano che sta vedendo i suoi
compatrioti, e non solo loro, soffrire, a causa di un sistema
economico e sociale perverso. Un sistema che sta strozzando
l’esistenza in favore del profitto, che sta distruggendo il lavoro
per rimpinguare il capitale, che sta gonfiando a dismisura il fasullo
ed al contempo sta distruggendo senza remore il reale.
Quello di cui sopra è il
testo che Valerio Malvezzi ha chiesto di firmare per aderire al suo
Manifesto per un’Economia Umanistica, esposta magistralmente e
nondimeno con adamantine sincerità e passione nella sua “Lettera
ai potenti della terra”.
Si tratta di un discorso
pronunciato al convegno “Spread,
banche e sicurezza nazionale nel contesto europeo” (tenutosi al
Senato della Repubblica il 29 gennaio 2019 su iniziativa del
MoVimento 5 Stelle).
Non certo una filippica tecnica, anzi al
contrario un’epistola energica, robusta, finanche di arcana
saggezza e di sempiterno vigore.
La sua requisitoria è spietata, l’elegante e
diretta invettiva ai signori del mondo, agli speculatori, agli uomini
dell’alta finanza non lascia spazio ad interpretazioni, non concede
manovre a coloro che egli cita sul banco degli imputati.
L’accusa è
quella di sfruttare (e corroborare) un sistema economico malato, che
essi hanno deliberatamente modificato a loro favore, secondo una
pianificazione vecchia di decenni.
Questo al solo scopo di
arricchirsi in maniera spropositata, condannando la povera gente ad
un’esistenza di «lacrime e sangue», di
«sacrifici» esacerbanti e ricompense misere, nullificanti.
Questo è un altro punto centrale che egli cita e
tocca: le parole.
Questi signori, mai visibili e sempre nascosti
(poiché tale è il vero potere nella storia: intangibile e
pervasivo), hanno mistificato il linguaggio, hanno incusso timori e
paure attraverso vocaboli di terrore.
Uno di quelli fondamentali è
la parola “debito”, a cui è associata la
connotazione cristiana della colpa.
Questi signori hanno inventato tecnicismi per non
essere compresi ed agire indisturbati.
Mentendo spudoratamente, e
senza vergogna alcuna, sulle loro reali intenzioni, hanno adoperato i
più svariati grimaldelli per scassinare le porte del processo
democratico e pervertirne il significato ed i dettami, andando a
demolire il rapporto orizzontale tra le persone.
Sotto la
libertà, si cela la schiavitù.
Sotto al processo di
globalizzazione, si cela quello di glebalizzazione.
Il cuore del problema è quindi di tipo politico,
nel senso più squisitamente greco del termine.
Da Aristotele ad Adam
Smith, vi è sempre stato un determinato ordine delle cose.
Quello nel quale la finanza si trovava all’ultimo gradino della
piramide, poiché essa veniva condotta dall’economia, a sua volta
guidata dalla politica, che sottostava ai precetti della filosofia
morale.
Oggi, la piramide è rovesciata, e gli effetti
sono chiari, lampanti e dannatamente drammatici.
Ma essa non è
irrimediabile, non è incontrovertibile, non è definitiva.
Poiché,
con semplicità finanche banale ma del tutto innegabile, sotto a
tutto si trova una ed una sola cosa, il motore (im)mobile che tutto
muove: l’Uomo.
L’Uomo può risolvere le ingiustizie, può
colmare le lacune, può fattualmente compiere qualunque miracolo egli
desideri, racchiuso nello scrigno delle sue infinite possibilità.
Per farlo, però, deve aprire la propria mente, deve squarciare il
Velo di Maya che lo turlupina, inganna e raggira.
Deve acquisire consapevolezza e prendere coscienza di essere la vera
scaturigine dell’azione: nessun meccanismo di umana creazione è
eterno, per quanto si tenda a cristallizzarlo.
Così, il modello economico neoliberista
– mercantilista, neo-schiavista, neo-feudale -, che distrugge i
diritti sociali ed edulcora una realtà di sottomissione con
l’esasperazione di quelli civili, non è per sempre.
Conoscendolo,
si può sconfiggerlo: ambendo al bene collettivo ed alla
cooperazione, si può fare del bene e cooperare.
L’incriminazione di Malvezzi prosegue con
accurata ma tumultuosa raffinatezza, che combina biasimo per i
padroni e speranza per il popolo: «Signori privati,
voi oscuri demiurghi di sventura, voi Dioscuri della povertà, voi
saccenti profeti di tristezza: voi avete ignorato per vostro
tornaconto il pianto di un popolo per anni, e lo ignorerete ancora,
ma io sono qui a dirvi, ad annunciarvi, come ultimo dei cittadini,
che il popolo sta cominciando a capire e che, quando il popolo si
muove, le cose cambiano; e per questo semplice fatto cambieranno, che
a voi piaccia, oppure no».
Questo sistema a-morale e privo di scrupoli,
ingannatore e rapace contro le sue vittime – anziani senza
pensione, imprenditori suicidi, famiglie disgregate, giovani
emigrati, disperati senza assistenza -, ha fatto credere che i soldi
siano ricchezza. Tutto ciò è falso.
La moneta è solo e soltanto uno
strumento: la vera ricchezza sta nel lavoro dei cittadini, nelle mani
degli operai, nella testa degli ingegneri, negli strumenti dei
contadini, nella buona volontà degli insegnanti.
E se la possibilità
di creare dal nulla questo strumento è nelle mani di pochi, che
non lo dispensano per creare occupazione e benessere, ma che lo
trattengono per creare povertà e disoccupazione, allora tutto ciò è
semplicemente sbagliato.
La vera forza, per l’Italia,
potrà essere quella della giustizia, della ragione, della
consapevolezza e – perché no? – quella della memoria.
Perché la
cultura, la storia, la Bellezza non sono comprabili, non sono
mercanteggiabili. L’Italia ha i mezzi, le capacità e le forze non
unicamente per rialzare la china, ma anche e soprattutto per non
smettere mai più di camminare a testa alta: la rivoluzione, prima
ancora che economica e politica, dovrà essere culturale.
Così si potrà capovolgere la piramide, ci si
potrà preoccupare non più di decimali, ma finalmente di concreto e
tangibile benessere delle persone.
Dice Malvezzi: «Il cuore del
documento di questo manifesto per l’economia umanistica deve essere
l’uomo al posto del mercato, il lavoro in luogo
del capitale, la produzione reale in sostituzione dei pezzi di
carta».
Devono essere la morale e la politica sopra all’economia
ed alla finanza.
Perché sono umane creazioni e, se tutto ciò che è
umano non ci è alieno (Terenzio), allora su di esse abbiamo potere e
sovranità per indirizzarle al Bene, alla Collettività, al Bene
della Collettività.
Lo disse anche Robert
Kennedy nel lontano 1968, in un commovente e profondo discorso
sul PIL all’Università del Kansas: «Con troppa insistenza e
troppo a lungo sembra che abbiamo rinunciato alla nostra eccellenza
personale ed ai valori della nostra comunità, in favore del mero
accumulo di beni terreni. […] Eppure il PIL non tiene conto della
salute dei nostri ragazzi, della qualità della loro educazione e
dell’allegria dei loro giochi. Non include la bellezza delle nostre
poesie o la solidità dei nostri matrimoni, l’acume dei nostri
dibattiti politici, l’integrità dei nostri funzionari pubblici.
Non misura né il nostro ingegno, né il nostro coraggio, né la
nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra passione, né
la fedeltà alla nostra patria. In poche parole, misura tutto,
eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta».
Una volta preso coscienza dell’inganno, lo si
potrà scoperchiare, capovolgere, distruggendone le fondamenta e
ricostruendo tutto.
La ricostruzione dovrà partire
dalle menti degli uomini, da troppo tempo ingabbiate nella cornice di
un sistema che ha sottratto loro la speranza e la facoltà di
sognare.
Non resta quindi che cercare la verità,
capire gli ingranaggi del reale, punire le menzogne e – come
conclude magnificamente Valerio Malvezzi – tornare a vivere:
«Quando, sul braciere di un manifesto per l’economia dell’uomo,
saranno incenerite le carte che ci tengono in catene sotto quelle del
capitale, sarà un giorno di giubilo.
Io sogno che quel giorno nasca qui, da un piccolo Paese che tanto contributo ha dato nei millenni al pensiero dell’uomo.
Io non so se vedrò da vivo quel giorno.
Io sogno che quel giorno nasca qui, da un piccolo Paese che tanto contributo ha dato nei millenni al pensiero dell’uomo.
Io non so se vedrò da vivo quel giorno.
So
però che quello sarà un giorno radioso non soltanto per gli
italiani che avranno insegnato al mondo ad alzarsi in piedi.
Quello
sarà un attimo, indelebile, nella storia eterna dell’umanità».
(di Lorenzo
Franzoni)Condivido tutto ciò che è scritto.. partendo dal presupposto che ci sono molte cose da fare, neppure troppo difficili , addiritura banali , per andare nella giusta direzione, abbiamo un problema ben più grave da risolvere, in parte segnalato nell'articolo !
Arroganza, invidia, prevaricazione, ignoranza, nessun spirito collaborativo etc vi dice niente ?
Così è, nella maggior parte dei casi l'animo umano, le buone idee vengono così stroncate sul nascere.
La visione , l'ingegno messi in angolo da chi non lo ha !
Le persone non contano, contano solo i soldi, ci hanno ridotti a dover combattere per la propria sopravvivenza a scapito degli altri. !
Questa è la battaglia più difficile da affrontare !
Augusto Anselmo
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