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La gente non ascolta più


Ha letteralmente smesso di ascoltare, e la mia purtroppo non è una semplice constatazione personale, ma una vera e propria affermazione a livello globale. Potete parlare come e quanto volete, studiare tecniche di comunicazione, alzare la voce, catturare l’attenzione, gesticolare, la gente non ascolta più, non ne è più capace.
 Ascoltare è una capacità che tutti abbiamo, eppure in pochi la mettono in atto. Si preferisce essere protagonisti in prima persona. A discapito della mancanza di capacità di ascolto.
Stai parlando di un argomento e la voce del tuo interlocutore ti stoppa perché vuole dire subito la sua.
O peggio ancora, una volta finito, risponde in modo vago, cambiando argomento, come se quanto detto non abbia prodotto nessuno stimolo in lui. Semplicemente, non ha ascoltato.
E succede in ogni ambito, fra colleghi, tra due partner, nei rapporti genitori/figli, per strada, a scuola, la stragrande maggioranza delle persone sente, ma non ascolta più.
E se lo fa, si tratta di brevi istanti.
Poi la loro mente è altrove, o semplicemente, spenta.
Perché come ho detto prima, l’ascolto è una capacità e come tale richiede l’uso non solo delle orecchie, ma soprattutto del cervello, per immagazzinare e decodificare tutto ciò che viene ascoltato.
E così ci ritroviamo in una società confusa, disordinata e disorientata, dove l’uso delle parole è smodato e spropositato, ma nella quale c’è carenza di ascoltatori. Tutti hanno qualcosa da dire, ma nessuno ascolta più.
Si preferisce essere protagonisti in prima persona.
La parola prende il sopravvento, siamo portati a parlare d’istinto, ad aprire la bocca senza avere la piena consapevolezza di ciò che stiamo davvero dicendo. Ed è questo il maggiore disastro di questa civiltà, che non ci capiamo più, perché le parole sono troppe per quelle poche orecchie che sono ancora in grado di ascoltare.
E sorge spontanea una domanda: una società che non capisce, prima se stessa, e poi gli altri, dove può mai arrivare se non al fallimento?
E non c’è bisogno di aspettare il fallimento della civiltà.

Ascoltare è direttamente correlato con cambiare.
Perché quando ascolti, quando ascolti per davvero (e non il solito sentire con le orecchie!) in automatico cambi, metti in discussione te stesso e le tue convinzioni
Dopo l’ascolto, infatti, siamo portati a riconoscere le ragioni dell’altro, a vederle con i nostri occhi, e magari a ritenerle giuste.
La mancanza di ascolto è, quindi, una naturale tendenza dell’ego che per sopravvivere fa resistenza al cambiamento.
Non ho voglia di cambiare, quindi non ti ascolto! Magari faccio finta.

Lo stesso accade spesso, troppo spesso, tra genitori e figli. Figli mai ascoltati. Un genitore chiede a un figlio quali siano i suoi problemi, il perché di certi comportamenti, ma in cuor suo non ha intenzione di ascoltare, il genitore ha già preso la sua decisione e poi agirà sulla base di ciò che pensava già prima di chiederglielo, ignorando la preziosa risposta del figlio.
E credetemi, funziona troppo spesso così. Per questo ragione ritengo sia opportuno correggere il tiro e ridare all’ascolto e al dialogo il loro ruolo naturale. Un ruolo che non equivale a quello di affermare i propri pregiudizi, ma di conoscere, capire e integrare la realtà che ci circonda.
E se pensate che questa paura di ascoltare sia insita solo nel rapporto di coppia, o tra genitore e figlio, allora siete in errore.  

Succede ovunque, a tutti i livelli.
Succede che il medico non ne voglia sapere delle terapie alternative, quindi non ascolta per paura che da questo ascolto/cambiamento possa derivare la necessità di una revisione del suo metodo di lavoro e dei privilegi e del denaro che ha acquisito faticosamente con gli anni.
Succede che lo studioso non si informi su studi che riguardano la sua materia, con punti di vista differenti, per paura di dover buttare al vento anni di studi che ha fatto e che potrebbero dimostrarsi sbagliati.
Succede anche, che la persona che sta soffrendo, per una qualsiasi ragione, decide di non ascoltare ragioni, consigli e quant’altro, per paura di perdere la propria sofferenza.
Ho provato a portare un po’ di esempi, per certi versi estremi, ma non troppo, per cercare di evidenziare come il problema che impedisce l’ascolto e la comprensione è, il più delle volte, il problema centrale che da sempre attanaglia la ricerca spirituale: ovvero l’ego di ognuno con la sua resistenza al cambiamento.

La gente non ascolta più per la paura di cambiare.
Cambiare, evolversi, comporta i suoi rischi, comporta il dover uscire dalla zona di comfort, mettersi  in gioco e rivedere i propri concetti da un’ottica del tutto diversa.
Ascoltare diventa, per queste persone, un vero e proprio rischio.
Vale per il medico, così come per il nostro vicino di casa.
La gente non ascolta più, e tutto ciò è tragicomico in un’epoca di comunicazione globale.
Ma fateci caso di quante persone dialogano, in casa come in Tv, al bar come sui social, convinte di avere già la risposta a tutto.
E una persona che è convinta di sapere già tutto, non è interessata a conoscere un altro punto di vista o analizzare altre informazioni.
Da qui nasce poi l’incapacità, successiva, di ascoltare.
Le persone non hanno mai fatto così fatica a capirsi fra loro come in questa civiltà.

Oggigiorno è raro trovare qualcuno che dica: “sì, la tua argomentazione mi ha convinto, cambio idea”, oppure, “ne prendo atto”. 
La stragrande maggioranza delle persone resta convinta di quello che pensa, della loro posizione preventiva, del loro pregiudizio, come se quello che l’altro dice non contasse nulla.
E paradossalmente, il vero aspetto tragicomico sta ne fatto che se anche l’interlocutore fa la stessa cosa, l’incomunicabilità è l’unico risultato che può esserci, un’incomunicabilità dettata, in realtà, da due monologhi che viaggiano paralleli, ignorandosi l’un l’altro.

Senza accorgersi che nelle risposte dell’altro potrebbe esserci un intero mondo da scoprire e delle interessanti novità da integrare.
E non coglierle, equivale a smettere di evolvere.
I bravi educatori rendono sensibili alle parole le orecchie dei ragazzi insegnando loro non a parlare molto, ma ad ascoltare molto.” Plutarco

Tragicomico

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