A Roma nel 123 avanti Cristo Caio Gracco, eletto tribuno della plebe
contro l'aristocrazia senatoriale, promosse la lex Acilia repetundarum,
un nuovo provvedimento che spazzava via la corruzione dei funzionari
pubblici romani nelle province grazie all'introduzione di pene durissime
e di un sistema di giudizio indipendente dal Senato.
Nei successivi ventun secoli e mezzo, in Italia si sono succeduti centinaia di editti, grida manzoniane, regi decreti, leggi parlamentari e circolari ministeriali che ogni volta hanno introdotto misure severissime contro la corruzione, senza che per questo la naturalezza con cui gli italiani si approfittano del bene comune venisse minimamente scalfita.
Quindi per carità, ben venga qualsiasi ulteriore tentativo, ma i Gracchi sono nel programma di storia di prima media, per cui vedere parlamentari, ministri e amministratori pubblici di ogni livello gridare di avere eliminato la corruzione scrivendo una nuova legge fa tenerezza: devono essere ancora in quinta elementare. Vittorio Bertola
Una ricerca sulla corruzione politica nella Roma tardo repubblicana e imperiale [4] –[5]–[6] nella quale sono descritte le varie tipologie di corruzione dell’epoca e i cui capitoli sono intitolati: “Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti; “Associazioni paramafiose: clientela ed amicizia. I potentati elettorali”, “Corruzione elettorale e brogli”, “Corruzione della giustizia”, “Raccomandazioni”.
In particolare con riferimento al settore degli appalti [7] viene riferito che “…come accade anche oggi e in tutti i tempi, le maggiori tangenti toccavano il campo degli appalti pubblici dove erano frequenti accordi fra magistrati e appaltatori per truccare le gare ed elevare il prezzo dell’asta…”.
Si richiamano esempi con riguardo a lavori per la manutenzione dei templi, per la costruzione di acquedotti , per la realizzazione di strade.
Prosegue osservando che “…il sistema degli appalti gonfiati o truccati continuò in età imperiale, anche se forse in misura inferiore grazie ai controlli disposti dagli imperatori.
Frequente era il costume, comune ai nostri tempi, di richiedere un supplemento di spesa col pretesto che la somma concordata nel contratto di appalti era insufficiente al completamento dell’opera pubblica appaltata…”[8].
“Repetundae” (o “pecunia repetundae”) furono “…precisamente designate , a partire dall’ultimo secolo della repubblica, le somme ripetibili dagli ex magistrati (o dai loro figli) per gli illeciti patrimoniali durante la carica dagli stessi (o dai loro figli) conseguiti a danno dei popoli alleati di Roma o sottoposti al dominio romano…” [9]
Lo stesso scontro fra classi sociali nella repubblica romana[10]– [11] nel periodo di Caio Sempronio Gracco[12] e successivo[13] riguardava , tra l’altro, proprio anche il controllo delle corti “de repetundae” (contese in particolare fra la classe senatoria e i nuovi “equites”)[14].
Il più noto di tali processi è quello che venne sostenuto da Cicerone[15] contro Verre, ex governatore della Sicilia.
Le leggi che regolarono l’istituto sono individuate nella “lex Calpurnia” (149 a.C.)[16], “lex Iunia” (dal 149 al 123 a.C.), “lex Sempronia repetundarum” (123 a.C. ) proposta da Caio Gracco, “lex Acilia” (111 a.C.) , leggi “Servilie” (101-100 a.C.) , “lex Cornelia” ( 81 a.C.), “lex Iulia” (59 a.C.) di Giulio Cesare[17].
Per estensione[18] “…il termine (repetundae) , senza altra aggiunta fu largamente usato ad indicare il crimen repetundarum e si trovano continuamente nelle fonti le locuzioni de pecuniis repetundis nomen deferre , lex de pecuniis repetundis , questio de pecuniis repetundis [19]e simili…(Cic.) .
Il reato muta i suoi elementi e le sue caratteristiche con le diverse leggi e nelle diverse epoche.
Approssimativamente si può affermare che si verifica crimen repetundarum ogniqualvolta, con qualsiasi mezzo, , un magistrato consegua illeciti profitti patrimoniali a danno di popolazioni alleate o sottoposte al dominio romano.
La storia delle repetundae riveste importanza sotto diversi aspetti: a) dal punto di vista politico la repressione del crimen repetundarum costituisce valido strumento dei movimenti democratici nella lotta contro il monopolio aristocratico del potere; inoltre è il mezzo fondamentale per l’inserimento della classe equestre (cioè dei possessori di capitale mobiliare: industriali, banchieri, commercianti, appaltatori), nel governo dell’impero.
Per circa un secolo e mezzo al centro della lotta politica romana è la contesa tra senatori e cavalieri (appoggiati quasi sempre dai movimenti democratici) per il possesso della corte giudicante del reato de repetundis.
Nei confronti dell’impero le leges repetundarum costituiscono gli strumenti più efficienti per proteggere i sudditi dallo strapotere dei governatori romani; b) dal punto di vista strettamente costituzionale la corte repetundarum rappresentò per un certo periodo l’unico organo competente a giudicare sugli atti compiuti dai governatori romani durante la carica e in occasione della stessa.
Fu quasi un supremo organo di controllo dell’operato dei magistrati in provincia e fu, come afferma Cicerone , la cittadella più o meno munita, a seconda dei tempi, delle popolazioni provinciali ; c) in ordine alla storia del processo criminale romano, l’istituzione della qaestio repetundarum segnò, secondo l’opinione comune facente capo al Mommsen, il passaggio dal processo penale comiziale (che si svolgeva dinanzi al comizio centuriato o, per le multe, dinanzi al comizio o concilio tributo) al processo dinanzi alle giurie popolari presiedute da speciali pretori, ossia a quello che fu l’ordo iudiciorum publicorum, cioè il processo penale delle questiones, che rimase in vigore come ordinamento processuale criminale ordinario per tutta l’epoca repubblicana; d) in ordine ai rapporti fra processo criminale e processo privato essendo le repetundae un reato a carattere patrimoniale ed essendo la pena commisurata ad un multiplo del valore del maltolto, corrisposta sia pure indirettamente (tramite gli organi dello Stato), alle parti lese, i giudizi repetundarum costituiscono quasi una linea di confine tra i due ordinamenti processuali.
Tanto che da taluni (Klenz, Mommsen) si vide l’antecedente storico della questio in un procedimento recuperatorio di carattere privato (contra, Serrao, in Studi de Francisci, vol. II, pag. 485 e ss.); e) nell’epoca imperiale, affermatasi la cognitio extra ordinem , infine, il crimen repetundarum, grandemente trasformatosi rispetto alla sua configurazione dell’epoca repubblicana, fu, per le sue caratteristiche, uno dei crimina a proposito dei quali prima si distinse una persecuzione criminale (extra ordinem) ed una azione di risarcimento a carattere privato[20]: l’azione penale e l’azione civile della nostra attuale terminologia.
Le repetundae, come altra volta ho scritto (Frammento leidense, 117) costituiscono, agli inizi del III secolo d.c. “”l’istituto guida attraverso il quale si cominciò ad affermare, pur con tutti i difetti che le condizioni sociali e politiche del tempo comportavano, una visione giuridica nuova del reato e del danno, della pena e del risarcimento, dell’azione penale (sempre pubblica) e dell’azione riparatoria del danno (sempre privata).
E con ciò siamo ai precedenti storici dell’art. 185 del nostro codice penale…”.
Nei successivi ventun secoli e mezzo, in Italia si sono succeduti centinaia di editti, grida manzoniane, regi decreti, leggi parlamentari e circolari ministeriali che ogni volta hanno introdotto misure severissime contro la corruzione, senza che per questo la naturalezza con cui gli italiani si approfittano del bene comune venisse minimamente scalfita.
Quindi per carità, ben venga qualsiasi ulteriore tentativo, ma i Gracchi sono nel programma di storia di prima media, per cui vedere parlamentari, ministri e amministratori pubblici di ogni livello gridare di avere eliminato la corruzione scrivendo una nuova legge fa tenerezza: devono essere ancora in quinta elementare. Vittorio Bertola
Una ricerca sulla corruzione politica nella Roma tardo repubblicana e imperiale [4] –[5]–[6] nella quale sono descritte le varie tipologie di corruzione dell’epoca e i cui capitoli sono intitolati: “Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti; “Associazioni paramafiose: clientela ed amicizia. I potentati elettorali”, “Corruzione elettorale e brogli”, “Corruzione della giustizia”, “Raccomandazioni”.
In particolare con riferimento al settore degli appalti [7] viene riferito che “…come accade anche oggi e in tutti i tempi, le maggiori tangenti toccavano il campo degli appalti pubblici dove erano frequenti accordi fra magistrati e appaltatori per truccare le gare ed elevare il prezzo dell’asta…”.
Si richiamano esempi con riguardo a lavori per la manutenzione dei templi, per la costruzione di acquedotti , per la realizzazione di strade.
Prosegue osservando che “…il sistema degli appalti gonfiati o truccati continuò in età imperiale, anche se forse in misura inferiore grazie ai controlli disposti dagli imperatori.
Frequente era il costume, comune ai nostri tempi, di richiedere un supplemento di spesa col pretesto che la somma concordata nel contratto di appalti era insufficiente al completamento dell’opera pubblica appaltata…”[8].
“Repetundae” (o “pecunia repetundae”) furono “…precisamente designate , a partire dall’ultimo secolo della repubblica, le somme ripetibili dagli ex magistrati (o dai loro figli) per gli illeciti patrimoniali durante la carica dagli stessi (o dai loro figli) conseguiti a danno dei popoli alleati di Roma o sottoposti al dominio romano…” [9]
Lo stesso scontro fra classi sociali nella repubblica romana[10]– [11] nel periodo di Caio Sempronio Gracco[12] e successivo[13] riguardava , tra l’altro, proprio anche il controllo delle corti “de repetundae” (contese in particolare fra la classe senatoria e i nuovi “equites”)[14].
Il più noto di tali processi è quello che venne sostenuto da Cicerone[15] contro Verre, ex governatore della Sicilia.
Le leggi che regolarono l’istituto sono individuate nella “lex Calpurnia” (149 a.C.)[16], “lex Iunia” (dal 149 al 123 a.C.), “lex Sempronia repetundarum” (123 a.C. ) proposta da Caio Gracco, “lex Acilia” (111 a.C.) , leggi “Servilie” (101-100 a.C.) , “lex Cornelia” ( 81 a.C.), “lex Iulia” (59 a.C.) di Giulio Cesare[17].
Per estensione[18] “…il termine (repetundae) , senza altra aggiunta fu largamente usato ad indicare il crimen repetundarum e si trovano continuamente nelle fonti le locuzioni de pecuniis repetundis nomen deferre , lex de pecuniis repetundis , questio de pecuniis repetundis [19]e simili…(Cic.) .
Il reato muta i suoi elementi e le sue caratteristiche con le diverse leggi e nelle diverse epoche.
Approssimativamente si può affermare che si verifica crimen repetundarum ogniqualvolta, con qualsiasi mezzo, , un magistrato consegua illeciti profitti patrimoniali a danno di popolazioni alleate o sottoposte al dominio romano.
La storia delle repetundae riveste importanza sotto diversi aspetti: a) dal punto di vista politico la repressione del crimen repetundarum costituisce valido strumento dei movimenti democratici nella lotta contro il monopolio aristocratico del potere; inoltre è il mezzo fondamentale per l’inserimento della classe equestre (cioè dei possessori di capitale mobiliare: industriali, banchieri, commercianti, appaltatori), nel governo dell’impero.
Per circa un secolo e mezzo al centro della lotta politica romana è la contesa tra senatori e cavalieri (appoggiati quasi sempre dai movimenti democratici) per il possesso della corte giudicante del reato de repetundis.
Nei confronti dell’impero le leges repetundarum costituiscono gli strumenti più efficienti per proteggere i sudditi dallo strapotere dei governatori romani; b) dal punto di vista strettamente costituzionale la corte repetundarum rappresentò per un certo periodo l’unico organo competente a giudicare sugli atti compiuti dai governatori romani durante la carica e in occasione della stessa.
Fu quasi un supremo organo di controllo dell’operato dei magistrati in provincia e fu, come afferma Cicerone , la cittadella più o meno munita, a seconda dei tempi, delle popolazioni provinciali ; c) in ordine alla storia del processo criminale romano, l’istituzione della qaestio repetundarum segnò, secondo l’opinione comune facente capo al Mommsen, il passaggio dal processo penale comiziale (che si svolgeva dinanzi al comizio centuriato o, per le multe, dinanzi al comizio o concilio tributo) al processo dinanzi alle giurie popolari presiedute da speciali pretori, ossia a quello che fu l’ordo iudiciorum publicorum, cioè il processo penale delle questiones, che rimase in vigore come ordinamento processuale criminale ordinario per tutta l’epoca repubblicana; d) in ordine ai rapporti fra processo criminale e processo privato essendo le repetundae un reato a carattere patrimoniale ed essendo la pena commisurata ad un multiplo del valore del maltolto, corrisposta sia pure indirettamente (tramite gli organi dello Stato), alle parti lese, i giudizi repetundarum costituiscono quasi una linea di confine tra i due ordinamenti processuali.
Tanto che da taluni (Klenz, Mommsen) si vide l’antecedente storico della questio in un procedimento recuperatorio di carattere privato (contra, Serrao, in Studi de Francisci, vol. II, pag. 485 e ss.); e) nell’epoca imperiale, affermatasi la cognitio extra ordinem , infine, il crimen repetundarum, grandemente trasformatosi rispetto alla sua configurazione dell’epoca repubblicana, fu, per le sue caratteristiche, uno dei crimina a proposito dei quali prima si distinse una persecuzione criminale (extra ordinem) ed una azione di risarcimento a carattere privato[20]: l’azione penale e l’azione civile della nostra attuale terminologia.
Le repetundae, come altra volta ho scritto (Frammento leidense, 117) costituiscono, agli inizi del III secolo d.c. “”l’istituto guida attraverso il quale si cominciò ad affermare, pur con tutti i difetti che le condizioni sociali e politiche del tempo comportavano, una visione giuridica nuova del reato e del danno, della pena e del risarcimento, dell’azione penale (sempre pubblica) e dell’azione riparatoria del danno (sempre privata).
E con ciò siamo ai precedenti storici dell’art. 185 del nostro codice penale…”.
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