«I robot uccideranno un sacco di posti di lavoro, perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine».
Jack Ma, fondatore e principale azionista del sito di commercio on line Alibaba, in una intervista di quasi trenta minuti rilasciata a Cnbc ha denunciato il fatto che l’Intelligenza Artificiale è una “minaccia” per gli esseri umani e che presto i robot cancelleranno milioni di posti di lavoro, «perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine».Il lavoro prima è stato prima delocalizzato per abbassare i costi, trasferendo la produzione in Paesi emergenti, dove gli operai costano meno che da noi, poi come effetto collaterale della delocalizzazione i lavoratori immigrati sono arrivati da noi sperando di guadagnare di più.
La miseria con cui venivano pagati gli immigrati è diventata poi il parametro cui adeguare la nostra paga, livellando così verso il basso tutti i salari. Il lavoro è diventato sempre più disumano e precario.
Ovviamente non è finita.
Non bisogna competere con le macchine
Il passo successivo è la sostituzione dei lavoratori con i robot, come denunciato dallo stesso Ma, che invita a «non competere con le macchine» ma a sviluppare ciò che i robot non possono ancora rubarci: la creatività e lo spirito di collaborazione.Per evitare che lo sviluppo tecnologico ci schiacci è fondamentale mettere la tecnologia al servizio dell’uomo, invece che contro di esso, migliorando la vita di tutti puntando al benessere collettivo e non alla mera produttività e alla ricchezza di pochi. Pochi perché secondo le stime degli economisti, molti verranno soppiantati, “disboscati” dalle macchine.
La disoccupazione tecnologica: robotica vs umani
Sebbene le stime degli analisi siano differenti, su un punto concordano:la robotica presto renderà possibile la creazione di una generazione di macchine tanto intelligenti da poter sostituire non solo la manodopera pesante ma anche i colletti bianchi,dando vita a quel fenomeno che era già stato previsto da John Maynard Keynes: la “disoccupazione tecnologica”, ossia la perdita di lavoro dovuta al cambiamento tecnologico.
Questo cambiamento solitamente riguarda l’introduzione di tecnologie che permettono di ridurre il carico di lavoro eseguito dagli operatori e l’introduzione dell’automazione.
Uno studio di 72 pagine del 17 settembre 2013, firmato da Carl Benedikt e Michael A. Osborne, The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs To Computerisation? , mostrava come, partendo dall’analisi del mercato statunitense del lavoro (suddiviso in ben 702 diverse occupazioni) il 47 per cento dei mestieri sia ad alto rischio di sostituzione da parte di robot o algoritmi.
Un dato allarmante se pensiamo che per la metà dei posti di lavoro statunitensi (il 47%) esiste il rischio di essere automatizzati nei prossimi due decenni.
E se i lavoratori non si adattassero abbastanza in fretta?
Quando la tecnologia elimina (come è avvenuto in passato) un tipo di lavoro o addirittura un’intera categoria di lavoratori, questi dovranno adattarsi al cambiamento aggiornando le proprie competenze e trovandosi un nuovo posto di lavoro.
Questo potrebbe impiegare del tempo. Per gli ottimisti si tratta solo di una fase temporanea, alla fine della quale l’intera società gioverà delle innovazioni apportate mentre l’economia troverà un nuovo equilibrio.E se ci volesse più di un decennio per raggiungere questo equilibrio? Quali sarebbero le ripercussioni su milioni di posti di lavoro che verrebbero in breve tempo cancellati? E se poi a quel punto la tecnologia fosse di nuovo cambiata e i lavoratori non riuscissero a starle dietro?
Dovremmo in conclusione chiederci se il gap tra il progresso tecnologico e l’adattamento dei lavoratori sia colmabile oppure sia insanabile e anzi non rischi di rafforzarsi e di aumentare così la diseguaglianza.
Le statistiche economiche mostrano infatti che la dicotomia tra abbondanza e disuguaglianza si fa sempre più ampia.
La nuova rivoluzione delle macchine
Il professore della MIT Sloan School of Management Eric Brynjolfsson e il suo collaboratore Andrew McAfee sostengono che la tecnologia ha distrutto il lavoro in maniera molto più veloce di quanto ne abbia creato: a breve molti lavori, non solo quelli più vulnerabili all’automazione, dovranno far fronte a una capillare diffusione dei robot.Questa è una tendenza che si riscontra negli USA, così come negli altri Paesi tecnologicamente avanzati.
Presto non solo il settore manifatturiero o le attività al dettaglio saranno nel mirino della tecnologia, ma anche campi più complessi: la medicina, la finanza, l’assistenza ai clienti (esempio nei call center), il settore legale.
Quello che gli autori sottolineano in La nuova rivoluzione delle macchine è che l’innovazione avrebbe potuto essere «una marea che solleva le barche allo stesso modo», ma così non è stato.
Insomma, se la torta complessiva dell’economia sta crescendo, la maggioranza delle persone però, a causa dei progressi tecnologici, sta peggio.Sebbene non sia l’unico fattore, la tecnologia ha favorito l’aumento delle diseguaglianze e quello che avverrà nei prossimi due decenni preoccupa numerosi economisti, politici e ricercatori. E dovrebbe preoccupare anche noi, perché in gioco è il futuro di tutti noi.
di Enrica Perucchietti
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