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Giallo Francia

La Francia si tinge di giallo, e l’Europa intera sembra aver fatto di questo colore il simbolo della rivolta contro le istituzioni europee.
I gilet gialli sono un movimento di protesta inedito nella storia francese, un fenomeno nuovo che coinvolge trasversalmente la classe media transalpina e l’anima rurale del Paese.
Per la prima volta, da molti anni, i gilet gialli sono stati in grado di risalire alla radice dei problemi sociali che affliggono la Francia nella sua appartenenza alla moneta unica e all’Unione europea.
Tutto ciò, non è solo dettato dall’aumento dei prezzi del carburante deciso dal governo francese, decisione sospesa dall’esecutivo solamente ieri.
Come ha fatto notare recentemente il noto economista francese Jacques Sapir, i gilet gialli hanno individuato il vero colpevole dall’austerità imposta da Macron nell’euro.

   Il tweet dell’economista francese Jacque Sapir
Se si ascoltano le voci dei manifestanti, si ascolteranno rivendicazioni contro l’Europa di Maastricht e l’euro.
In altre parole, i gilet gialli hanno compreso che le loro istanze sociali sono incompatibili con l’euro e le politiche economiche di Bruxelles.
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I gilet gialli chiedono l’uscita della Francia dall’UE e dall’euro
La ragione di questa impossibile convivenza va individuata nella struttura dell’euro. L’euro non permette il riallineamento del cambio necessario per restituire competitività ai Paesi membri, e questo rende impossibile qualsiasi svalutazione della moneta.
In queste condizioni, la rigidità del cambio fisso ricade inevitabilmente sui livello dei salari, con i lavoratori a farsi carico del fardello dell’euro.
L’euro quindi porta all’inevitabile annichilimento di tutti i diritti sociali garantiti dal dopoguerra dalle Costituzioni nazionali europee.
Fino a questo momento, sono stati in particolare i Paesi del Sud Europa a pagare il dazio più alto alla sua adesione.
Il motivo di questo va individuato nel fatto che il tasso di cambio reale imposto dall’euro è troppo forte per le economie di questi Paesi.
Non è un caso che siano stati proprio, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo ad intraprendere le riforme strutturali più dure che hanno colpito pesantemente i salari dei lavoratori di questi Paesi.
La Francia e il Nord Europa contro l’euro
Ora l’applicazione di questa regola si sta trasferendo gradualmente anche nel Nord Europa.
Se è vero che questi Paesi hanno beneficiato in maniera opposta di un tasso di cambio reale troppo debole per le loro economie, portando a notevoli aumenti delle bilance commerciali, Germania in primis, è altrettanto vero che ora è giunto anche per loro il momento di applicare le riforme strutturali.
Le proteste partite inizialmente dalla Francia hanno finito per raggiungere il Belgio, l’Olanda e la Germania.
I gilet gialli di questi Paesi sono uniti da rivendicazioni molto simili, e per la prima volta i popoli del Nord Europa iniziano a mettere in discussione la loro appartenenza all’euro.
La Francia è stata sicuramente la miccia che ha provocato l’incendio nella prateria.
Fino ad ora, Parigi era rimasta sostanzialmente immune dalle conseguenze nefaste dell’euro.
La Francia ha sfruttato appieno la sua condizione di privilegio di appartenenza all’asse franco-tedesco che sostiene Bruxelles, e che le ha consentito fino a questo momento di non bere l’amaro calice della moneta unica.
Ma l’elezione di Macron ha messo fine a questa sorta di immunità transalpina.

Il presidente francese si è posto il preciso compito di applicare le riforme strutturali nel suo Paese, e questo ha scatenato una rivolta popolare che chiede in massa le sue dimissioni.
Il popolo francese ha quindi capito che l’austerità deriva dall’appartenenza della Francia all’unione monetaria e questo ha innescato una reazione a catena negli altri Paesi Nord Europei.
Una volta indebolitasi la condizione di vantaggio artificiale che l’euro ha portato in dote a questi Paesi, si è indebolita sostanzialmente la base di consenso della moneta unica tra i popoli di questi Paesi.

La conferma del tramonto di questa condizione di vantaggio, viene direttamente dai recenti dati del manifatturiero tedesco, fermo alla soglia di 51,8 punti, il minimo storico degli ultimi 31 mesi.
La ragione è semplice, quanto intuitiva. L’imposizione di bassi salari nei paesi importatori dei prodotti della Germania, ha provocato un inevitabile calo delle esportazioni tedesche.
In altre parole, il cane ha finito per mordere la sua coda.
In questo contesto, c’è da segnalare per la prima volta una sorta di unione delle istanze tra Nord Europa e Sud Europa, un tempo su opposte barricate.
I popoli dei Paesi di Nord e Sud Europa iniziano ad individuare un nemico comune, ovvero l’euro.

Questa sorta di comunione d’intenti tra opposti emisferi può provocare il terremoto definitivo dei traballanti palazzi di Bruxelles.
In tutto questo, l’Italia riveste un ruolo praticamente fondamentale.
Se è vero che il Paese potrà contare su un probabile sostegno di Washington e Mosca contro Bruxelles, l’allargarsi a macchia d’olio delle proteste contro l’Unione in tutta Europa aggiunge altro peso negoziale all’Italia.
Roma può essere in qualche modo il canale di sbocco di questo enorme dissenso e farsi portavoce di istanze trasversali che per la prima volta uniscono popoli del Nord e Sud Europa.
L’Italia non è sola. La vera Europa dei popoli è dalla sua parte contro la falsa Europa dell’Unione europea, espressione delle élite.

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