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Ecco perchè le imprese italiane fuggono all'estero

L’Italia non attrae le imprese, non attrae investimenti, non attrae cervelli, anzi diventa sempre più povera  economicamente ed incapace di dare prospettive di lavoro alle nuove generazioni.
Per questi motivi molte nostre imprese fuggono all’estero. 

Ma non è vero che lo fanno solo per guadagnare di più, corrispondendo minori salari ai lavoratori stranieri ; ci sono in realtà altre cause che evidenzieremo di seguito ; quella principale è che in Italia è molto più difficile fare impresa che altrove.
Basti pensare alle tasse, alla burocrazia, al costo del lavoro, al deficit logistico e strutturale, all’ inefficienza di alcuni settori della pubblica amministrazione, alla mancanza di credito ed infine ai costi fuori misura dell’energia
Queste sono le vere cause che hanno indotto ed inducono tuttora i nostri imprenditori a trasferirsi all’estero, sopratutto in quei Paesi dove il clima politico ed economico nei confronti delle aziende è molto più favorevole.
In particolare, un elemento di forte richiamo è rappresentato dalla certezza del diritto; in Francia ad esempio, i tempi di pagamento sono più puntuali e rapidi di quanto avviene da noi.  La  giustizia degli altri Paesi inoltre funziona davvero e chi non paga è regolarmente perseguito e sanzionato.
E poi in Italia ci sono i soliti, cronici, indigesti ritardi burocratici che accompagnano ormai ogni pratica pubblica, ritardi che altrove non si verificano in quanto i tempi di risposta delle varie amministrazioni sono assolutamente brevi, se non quasi immediati.
La patologia va dunque ricercata nello Stato e nella sua lenta, ingombrante e tortuosa burocrazia che non fa sconti. L’Italia poi non riesce ad attrarre le imprese straniere, non attrae investimenti, né tantomeno cervelli. 
Anzi dal nostro Paese si trasferiscono all’estero mediamente 100.000 cittadini ogni anno e migliaia di aziende, da quelle più grandi alle più piccole. 
Eppure, la nostra economia avrebbe un disperato bisogno di lavoro, di imprese italiane e straniere disposte ad aprire e mantenere efficienti  gli stabilimenti produttivi.
Ed invece da noi le imprese vengono strangolate dal fisco e stritolate da una burocrazia che non aiuta. 
Ed ecco che scatta così il fenomeno della delocalizzazione per cui un’azienda  decide di spostare fisicamente la sua produzione di beni e servizi in altri Paesi, generalmente in via di sviluppo , dove i costi di produzione sono molto ridotti rispetto a quelli nazionali. 
Normalmente, i motivi principali per cui un imprenditore decide di  de localizzare la sua azienda sono quelli di poter usufruire di manodopera a basso costo,  di un regime fiscale molto più conveniente e di energia a costi contenuti. Ma questa scelta crea diversi effetti negativi sul Paese che perde parte della sua capacità produttiva : dall’impoverimento dell’economia nazionale, alla perdita d migliaia posti di lavoro nonchè d’immagine dell’azienda stessa.
Ma cerchiamo ora di esaminare più nel dettaglio le cause per cui le nostre imprese scelgono di operare in altri Paesi, iniziando dagli oneri fiscali. 
Le aziende nazionali pagano un conto veramente salato rispetto agli altri Paesi. Secondo uno studio di Confindustria, infatti, l’imposizione fiscale sugli utili delle nostre aziende sfiora addirittura il 68%, nettamente superiore rispetto a Paesi come la Germania, il Regno Unito, la Spagna, la Francia, la Svezia e l’Irlanda che, pensate, ha un carico di appena il 26%. 
Per questo motivo migliaia di imprenditori e di cittadini italiani lasciano il Paese per andare a vivere e a produrre soprattutto ad Est, nei Paesi dell’Europa orientale: Romania, Albania, Kosovo, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Serbia, Bosnia e Macedonia ,ma anche in altri Paesi come Francia, Austria, Svizzera,Stati Uniti, Cina, Vietnam,Canada, India  e Germania. 
Parliamo di colossi quali Fiat, Benetton, Telecom,Ducati,Omsa,Calzedonia, Stefanel, Bialetti, Geox, Rossignol ma anche di una miriade di piccole imprese che lavoravano in Italia nel settore tessile e delle calzature. Veniamo ora ad esaminare un altro dei motivi della fuga : la burocrazia asfissiante che soffoca, come abbiamo già detto, le imprese.
In Italia, infatti, per iniziare un’attività imprenditoriale servono almeno 40 adempimenti e anche di più se si tratta del settore alimentare. 
Un vero e proprio labirinto burocratico, che determina inefficienza e logora  chi vuole fare impresa. 
E allora che si fa?. Si va all’estero dove la burocrazia non uccide, non è fatta di permessi negati o attesi per mesi, anzi al contrario è propensa a favorire chi vuol fare impresa. 
E poi all’estero c’è più sicurezza sul fronte dei rimborsi,  nonché su quello dell’efficienza del sistema giudiziario. 
Massacrato dal fisco, logorato dalle lungaggini della burocrazia, azzoppato dalla crisi, l’esercito in fuga è corposo e si ingrossa sempre di più. I vantaggi di emigrare sono molti e non sempre  dipendono  dai salari più bassi. Basti pensare alla Svizzera o all’Austria dove un operaio guadagna molto di più del collega italiano ma dove i salari alti sono abbondantemente compensati da una tassazione minore.
Pensate che l’iva è addirittura sotto il 5% contro il 20% italiano, l’Irap non esiste, la burocrazia non è tentacolare , tutti i servizi sono di primissima qualità, le leggi si rispettano ed il buon rapporto con l’amministrazione rende l’ambiente disteso e sereno. 
No, dunque, non è solo una questione di soldi. Molte delle nostre imprese si spostano in altri Paesi, soprattutto nell’Est perché essi offrono  manodopera a basso costo ed attirano anche produzioni di qualità,tanto che in Romania,ad esempio, le aziende italiane iniziano a lavorare sull’alta gamma. 
E che dire poi della Polonia?. In Polonia si aprono Centri servizi in grado di calamitare intelligenze, investimenti e risorse: uno Stato quello polacco che lavora bene, che attira le imprese, aprendosi al mondo e all’innovazione. 
E in Albania?. L’Albania conta una presenza di imprese italiane veramente ragguardevole; le nostre aziende hanno portato nuove tecnologie e nuovi sistemi gestionali riuscendo a prosperare nel  nuovo mercato .
Ma ci sono anche quelle che non hanno saputo rinnovarsi e sono entrate in crisi.  L’imprenditoria italiana guarda ormai all’estero. L’80% delle nostre aziende, che un tempo costituivano l’ossatura dello sviluppo industriale italiano, ha scelto altri Paesi . 
E i dati parlano chiaro: quasi nessuna fa ritorno in Italia, anche perché ad attrarre i nostri capitali all’estero è anche l’emergere sempre più significativo di un bacino di lavoratori altamente professionalizzato, oltre che a basso costo. 
Si va dunque fuori perché l’Italia offre poco e l’estero molto. 
E poi le nostre imprese scontano  seri ritardi tecnologici ; sono rimaste indietro, in una competizione internazionale che si fa sempre più forte. 
In questa situazione, il sistema Italia deve comprendere le cause strutturali del tracollo dell’economia  e dell’occupazione.
Ci vuole ben altro che qualche timida riforma a difesa delle nostre imprese. 
Ora io naturalmente non ho la pretesa di mettere a punto la formula giusta per mettere fine a questo esodo , per attirare capitali dall’estero rilanciando di conseguenza l’occupazione, ma ritengo indispensabile che la politica cominci ad ispirarsi ai sistemi degli altri Paesi. Occorrerebbe innanzitutto fermare l’emorragia, alleggerendo l’imposizione fiscale, incentivando la creazione di nuove imprese, riducendo al minimo gli adempimenti burocratici, diminuendo altresì  i costi  dell’energia ed attraendo in tal modo le imprese straniere al fine di rilanciare veramente la nostra economia e produrre occupazione.
Autore:Michele Scillia

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