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Le porte girevoli tra finanza e politica

In inglese le chiamano “revolving doors”, porte girevoli, a indicare la facilità con cui si entra e si esce. Da dove?
Dalle istituzioni europee e nazionali verso multinazionali, gruppi bancari e altri soggetti privati: accade infatti di frequente che politici al termine del proprio mandato scelgano di ricollocarsi nel mercato privato – spesso molto più redditizio – diventando efficaci lobbisti grazie alle proprie conoscenze e influenza.
Succede a tutti i livelli ma un caso recente spicca tra gli altri: l’istituto bancario Goldman Sachs ha assunto José Manuel Barroso, l’ex presidente della Commissione Europea (dal 2004 al 2014).
Un avvenimento tanto più eclatante se si considera che Goldman Sachs è tra i principali attori coinvolti nella crisi finanziaria iniziata nel 2008 (mentre Barroso, appunto, guidava la Commissione Europea).
Si tratta dell’ennesimo caso che mostra come l’assenza di regolamentazione e sanzioni danneggi l’operato delle istituzioni e la trasparenza del processo politico.

“Questo è un chiaro segnale che le nostre istituzioni europee e nazionali consentono alle grandi aziende e banche di operare secondo i propri interessi.
Abbiamo bisogno di regole rigide per prevenire tutto questo e di sanzioni per quando queste regole vengono infrante.
Gli scambi di favori tra il settore pubblico e le aziende private stanno crescendo in Europa, ma le regole per proteggere gli interessi pubblici non sono state aggiornate” scrive la coalizione Alter-EU, The Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation, nella petizione indirizzata all’attuale presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker affinché introduca una regolamentazione più stringente ed efficace, firmata da più di 55.000 cittadini europei (un’altra petizione è attiva su Change.org ).

“Il passaggio di Barroso a Goldman Sachs non solo sembra inopportuno ma è anche sintomatico del malfunzionamento del nostro sistema politico.
Lo sbilanciamento nella rappresentanza degli interessi privati presso le istituzioni pubbliche è il vero ostacolo per il raggiungimento del bene comune” scrive Alberto Alemanno, docente di diritto europeo e politiche pubbliche a New York e Parigi.
Alemanno è anche tra i fondatori di ‘The Good Lobby’, un’organizzazione permette a volontari altamente qualificati, quali ricercatori, professionisti e studenti, di offrire la loro competenza a organizzazioni della società civile impegnate a difendere l’interesse pubblico.
In questo spirito, sottolinea come forse la soluzione più importante possa venire da una campagna popolare:
 L’obiettivo non è sanzionare un comportamento percepito come inappropriato ma innescare un cambiamento della norma sociale affinché quel medesimo comportamento divenga inammissibile per l’interessato.
Sarà abbastanza?

I governi da Ciampi (1993) in poi erano così entusiasti di fare le privatizzazioni che nominarono un gruppo di esperti per oliare il processo. Dalla sua costituzione del 30 giugno 1993 fino all'8 aprile 2002 il presidente è stato Mario Draghi, allora Direttore generale del Tesoro.

Il Comitato per le Privatizzazioni, secondo la corte dei Conti ha avuto la “tendenza... ad avvalorare il parere già espresso dai consulenti dell‘Amministrazione, finendo coll‘assumere un ruolo quasi formale, senza esercitare compiutamente quella funzione di indirizzo”.

Ma chi erano questi consulenti?
Alcuni dei maggiori colossi finanziari: Société Générale, Rothschild, Crédit Suisse, JP Morgan, Goldman Sachs (per 6 operazioni nel 1994, 1996, 2003, 2008). Draghi ha lavorato per Goldman Sachs dal 2002-2004.
Ma guarda un po'. Un dettaglio?

Il groviglio di conflitti d'interesse è inestricabile: nelle ultime privatizzazioni del governo Renzi vediamo che Luisa Todini (ex Forza Italia) presidente di Poste Italiane è nel consiglio d'amministrazione di Rothschild, che è consulente per la privatizzazione di Poste. Idem per Daniela Carosia, nel cda di Ferrovie dello Stato, è al tempo stesso dirigente di Ernst & Young, consulente per la privatizzazione delle stesse FFSS.

Secondo voi queste consulenze consiglieranno al meglio per lo Stato (per i soldi pure nostri) o per chi comprerà?
I cittadini devono dire no a questo verminaio vergognoso.

Le misure di politica economica sono modellate dalle entità sovraordinate quali i governi, le organizzazioni intergovernative, i grandi gruppi industriali con le loro potenti lobby.
Questo è un approccio top-down che lascia ai margini i veri protagonisti: i nuovi imprenditori della società della conoscenza.

I quali, per di più, sono stati relegati ai margini dalla strenua difesa degli interessi particolari delle associazioni di categorie saldamente radicate nella consolidata società industriale. 

Si deve anche considerare che una gran parte dei decisori politici (“policy maker” nel gergo anglofilo) hanno svolto la loro carriera come insider delle entità sovraordinate, e quindi lontani dalle esperienze sul campo degli imprenditori.

Ci sono paesi come l’Italia in cui i policy maker provengono dalle fila dei parlamentari i quali appartengono per circa il 50% a un ordine professionale e tra loro alcuni sono presidenti o esponenti di spicco degli ordini stessi.

Le lobby negoziano gli interventi con le istituzioni pubbliche.
Ciò che, per un verso, allunga il processo decisionale e quindi tarpa le ali alla rapidità degli interventi ritardandone gli effetti, e, per un altro verso, piega quegli interventi ai dettami degli interessi particolari.
Ne conseguono misure sbilanciate nel loro vigore e nella loro direzione.
Il vigore è indebolito dal ritardo dei loro effetti e la direzione non corrisponde agli interessi generali delle comunità dei cittadini.

C’è comunità di intenti e d’azione, con conseguenti pesanti conflitti d’interesse, tra i decisori politici e le lobby professionali. 
La porta girevole è l’immagine della continuità degli uni con gli altri. 

In Italia, attraverso la porta girevole, direttori generali dei ministeri e anche funzionari dei ministeri passano direttamente, senza un lasso temporale ragionevole, ad occupare posizioni di governo e seggi in Parlamento.
I rapporti tra decisori politici e banche d’affari sono molto stretti.
Sono tutt’altro che rari i casi di decisori politici a libro paga come consulenti o dipendenti di banche d’affari che hanno finanziato o prestato servizi lautamente retribuiti dalla stato.

Accade anche frequentemente che alti dirigenti di banche d’affari assurgano al ruolo di decisori politici. 

In entrambi i casi, non c’è un significativo intervallo di tempo nel passaggio da un ruolo all’altro. La porta girevole dà accesso al mondo della finanza che i politici lobbisti di professione occupano estendendone l’influenza al mondo dell’impresa che finisce con l’essere subordinato al primo.

È così che la casta politico lobbista comprime lo spazio vitale della vecchia imprenditorialità in via di riammodernamento e alla nascente e neonata imprenditorialità innovativa.

All’uso della porta girevole è tutt’altro che estranea la galassia delle organizzazioni internazionali e intergovernative.
Questo è un fenomeno che desta crescente allarme visto il peso che hanno assunto organismi di controllo delle crisi economiche il cui più vistoso esempio è quello della troika composta da Fondo monetario internazionale (FMI), Banca centrale europea (BCE) e Commissione europea (CE) in relazione alla crisi da debito di alcuni paesi all’interno della zona euro.

Darsi reciprocamente la voce ed essere tra loro leali: la collusione tacita tra politica e lobby professionali che nel corso della Grande Recessione si è apertamente manifestata con il salvataggio di istituzioni finanziarie a spese dei contribuenti ha fatto vedere quanto sia largo e profondo il fossato tra i policy maker e la società imprenditoriale, soprattutto con il milieu imprenditoriale dell’economia della conoscenza potenziata dalle tecnologie digitali.

All’inizio del 2015 lo sbocco politico della crisi greca ha messa a nudo la troika e, più in generale, la sovranità e credibilità dei decisori politici la cui età dell’oro potrebbe così volgere al tramonto.

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