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Il cambiamento climatico costa caro, più dello spread

Il differenziale di rendimento – il fatidico spread – tra Btp e Bund tedeschi ha di nuovo conquistato le prime pagine.
Tornato sui valori massimi da tempo, pur se ancora lontani dalle vette raggiunte nel 2011, alimenta a ogni livello le chiacchiere sulla sostenibilità del debito pubblico italiano e sulle difficoltà nel suo rifinanziamento.

In questi giorni un’altra tegola, ben più pesante, è caduta sulle nostre teste: lo Special Report on Global Warming of 1.5°C dell’Ipcc. Il rapporto, oltre 400 pagine prodotte dagli scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite riunitisi per giorni in Corea del Sud, è un avvertimento senza precedenti.
Teniamo il pilota automatico mentre siamo lanciati verso un burrone. Il Panel è stato chiaro: servono sforzi senza precedenti, come un taglio del 50% nell’utilizzo di combustibili fossili entro 15 anni.
Eppure ancora una volta gli analisti sembrano guardare ai fondamentali sbagliati. Il dibattito pubblico si agita attorno a qualche punto di spread ignorando i rischi economici globali: l’impatto delle mutate condizioni climatiche e delle catastrofi naturali nei vari paesi del mondo.
«Nell’ultimo decennio, le condizioni meteorologiche estreme e l’impatto sulla salute dei combustibili fossili sono costati all’economia americana almeno 240 miliardi di dollari l’anno. Questo costo esploderà del 50% nel prossimo decennio. Entro il 2030, la perdita di produttività causata da un mondo più caldo potrebbe costare all’economia globale 2 trilioni di dollari».
È un breve stralcio del discorso sul cambiamento climatico tenuto dal Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres al Palazzo di Vetro lo scorso 10 settembre.
Non è troppo tardi per cambiare rotta, ma ogni giorno che passa il mondo si riscalda un po’ di più e il costo della nostra inerzia sale. Più dello spread.

 © riproduzione riservata
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com


Indietro tutta, il vero spread con il resto dell’Europa è culturale!

Non vi racconto il clima, vi racconto un clima, quello dell’Olanda.
Lo conoscete? Lo immaginate?
Non piove molto, la media è di circa 7/800 millimetri di pioggia all’anno lungo le coste. Stima che tende a diminuire man mano che ci si addentra verso le zone più interne.
Simile alla media di Imperia e Sanremo, quasi la metà di Genova.
Ma piove spesso, anzi spessissimo. Le giornate medie di pioggia oscillano fra 10 e 13 ogni mese. In pratica c’è molta meno differenza tra stagioni calde e stagioni fredde, rispetto alle nostre latitudini, da tanto il clima è influenzato dall’Oceano Atlantico.

Piove circa 130/150 giorni all’anno, e ogni sacro santo giorno esci di casa e trovi condizioni meteo che variano ad ogni alito di vento.
La neve può cadere sino a 25/30 volte all’anno, mentre l’elemento climatico più caratterizzante i Paesi Bassi è sicuramente il vento, da sempre ampiamente sfruttato, prima per i mulini, oggi per i generatori di energia eolica.

Letto e descritto così non sembra un paese accogliente e solare come il nostro.
E infatti non lo è. A marzo e aprile le temperature massime possono oscillare intorno ai 10 gradi e solo nel periodo estivo la percentuale di luminosità del cielo raggiunge circa il 50% delle giornate, per piombare su valori prossimi al 90% di copertura nuvolosa durante l’autunno e l’inverno.

Perché vi dico tutto questo?
Perché da sempre, il vero spread, la vera differenza tra noi e il resto dell’Europa al di là delle Alpi, è culturale.
Nel Bel Paese spendiamo enormi quantità di denaro pubblico e privato per fare buchi nelle montagne, scavare sotto terra per far defluire la pioggia che abbiamo intrappolato con le nostre case, per poi prenotare le nostre vacanze ecologiche o i nostri viaggi cicloturistici all’estero…

Io resto convinto che la realtà attuale, la condizione di partenza non è e non era l’unica possibile. E soprattutto c’è sempre la possibilità di realizzare un nuovo punto ZERO, una nuova partenza, cambiare rotta e riprogettare la vita futura dei nostri figli e dei figli dei nostri figli…

Se avete ancora un briciolo di curiosità, guardate con attenzione la mappa delle piste ciclabili in Europa e leggete con attenzione le parole dell’architetto e progettista urbano Jan Gehl: “Se costruiamo più strade avremo più traffico, ma se si costruiscono più piste ciclabili e si introducono più agevolazioni per l’uso della bicicletta e si invita la gente ad andare in bicicletta, dopo 10 anni le persone che vanno in bicicletta aumenteranno.

La cosa di cui si è presa sempre più coscienza è che le città, così come le abbiamo progettate, hanno fatto ammalare le persone. Inoltre, in una città non c’è niente di meno costoso che creare infrastrutture per camminare o andare in bicicletta.
E sappiamo che è importante anche per la vita di relazione e per trasmettere il senso di sicurezza che si ha quando ci si incontra di persona”.

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