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Glocal/Glocalizzazione

La definizione più conosciuta della parola “glocale”, e del processo di “glocalizzazione” a essa riferito, è quella introdotta nella prima metà degli anni novanta dal sociologo inglese Roland Robertson, e da lui mutuata dall’Oxford Dictionary of New Words, per indicare i fenomeni derivanti dall’impatto della globalizzazione sulle realtà locali e viceversa.


Essa deriva dal termine giapponese “dochakuka”, in origine usato per indicare l’adattamento delle tecniche agricole alle condizioni locali e diffusosi poi negli anni ottanta in riferimento a questioni di marketing come sinonimo di “global localization”, localizzazione globale, per indicare una prospettiva globale adattata alle condizioni locali.

Partendo da questo spunto semantico, Robertson allarga lo spazio della questione del rapporto dialettico tra globale e locale ai diversi ambiti intellettuali e prasseologici.
Il globale non è di per sé contrapposto al locale; piuttosto, quello che è generalmente considerato locale è essenzialmente incluso nel globale.

In questo senso la globalizzazione, lungi da tendenze omogeneizzanti, include il legame e le connessioni con le dimensioni locali.
Globalizzazione e localizzazione vengono considerate come tendenze non opposte, ma strettamente interconnesse in un processo di reciproca inclusione e modellizzazione.

In Robertson il bisogno d’introdurre il concetto di glocalizzazione nella teoria sociale emergeva dalla considerazione che la maggior parte dei discorsi sulla globalizzazione tendevano a tralasciare le dimensioni locali.
Il tentativo complesso avviato da Robertson è stato quello di mettere in connessione le discussioni sui cambiamenti relativi al rapporto tempo-spazio con quelle tra universalismo-particolarismo.

La grande mobilità dell’informazione e del sapere ha infatti ridimensionato la percezione dello spazio e del tempo così come li conoscevamo, avvicinando tra loro tutte le aree del globo.
La quasi istantaneità è il tratto di distinzione tra l’era dell’hardware, o modernità pesante, e l’era del software, o modernità liquida, come nella ben nota definizione di Zygmunt Bauman.

«Applicato al rapporto spazio/tempo ciò significa che poiché tutte le parti di spazio possono essere raggiunte nello stesso arco di tempo (vale a dire all’istan-
te), nessuna parte di spazio è privilegiata, nessuna ha un “valore speciale”». 
I nuovi modelli di comunicazione tendono a consentire a un qualsiasi punto rilevante, o “nodo” della rete, di essere ubicato dovunque nello spazio.

Questa realtà dinamica si è enormemente accresciuta e oggi ha un grande impatto sulle realtà locali e, a maggior ragione, su quelle aree dove l’interscambio fra globale e locale è sostenuto dalla consapevolezza della
nuova centralità di una logica basata sulla mobilità.

IL SENSO DELLE PAROLE

Nel XIII libro degli Annali si legge che Tzu-Lu chiede a Confucio: «Se il duca di Wei ti chiamasse per amministrare il tuo paese, quale sarebbe il tuo primo provvedimento?». Il Maestro risponde: «La riforma del linguaggio».

Octavio Paz commenta a riguardo: «Non sappiamo da dove inizi il male, se dalle parole o dalle cose, ma quando le parole si corrompono e i significati diventano incerti, anche il senso delle nostre azioni e delle nostre opere diviene insicuro. Le cose si appoggiano sui loro nomi e viceversa».

Il senso delle parole parte da qui.

IMPRESA&STATO

L’impatto della globalizzazione sul locale cambia anche le gerarchie preesistenti,
ponendo al centro dell’analisi luoghi come le città, in quanto sedi di produzione di “input globali strategici”
A partire dagli anni novanta e arrivando a oggi, il concetto di glocalizzazione è
stato ripreso e approfondito da diversi scienziati sociali di fama mondiale, come il già citato Bauman, Ulrich Beck, Manuel Castells e Saskia Sassen, o da geografi come Erik Swyngedouw.

L’analisi dei mutamenti introdotti dai processi di glocalizzazione nella
morfologia dei tradizionali sistemi politico-economici ha portato all’elaborazione di nuove categorie concettuali deputate a descrivere tali sistemi.
«In una sociologia plurale della globalizzazione la concezione nazional statuale della società [...] lascia il posto a forme di vita terze, cioè a spazi d’azione del sociale integrati transnazionalmente, pervasivi, che si estendono ben al di là dei confini stabiliti». 
Secondo Beck la concezione dello Stato viene sottratta al primato territoriale che caratterizzava lo Stato nazionale e aperta a un concetto di «Stato che (ri)conosce la globalità nella sua multidimensionali- tà come uno stato di cose irreversibile».

La città nell’era della globalità

Il concetto di “internazionale” non indica più soltanto ciò che è “tra” stati nazionali e appare sempre di più sfidato dagli slittamenti di sovranità legati ai processi di globalizzazione (nuove aggregazioni metanazionali e subnazionali, evoluzioni dei meccanismi di governance, influenza di attori e reti funzionali). L’approccio glocale implica infatti un nuovo rapporto tra territorio, reti e funzioni (flussi).
Il territorio è attraversato da flussi globali (finanziari, economici, migratori, informativi, culturali, valoriali ecc.) che prescindono dalla tradizionale organizzazione tipica del sistema westfaliano, incentrata sullo Stato e sul controllo dei confini.
La glocalizzazione mette in crisi questo sistema e pone nuove sfide sul piano della governance, del senso di appartenenza dei cittadini, della formazione delle classi dirigenti a tali trasformazioni.

L’impatto della globalizzazione sul locale cambia anche le gerarchie preesistenti,
ponendo al centro dell’analisi luoghi come le città, in quanto sedi di produzione di “input globali strategici”.
La città globale è infatti al centro di processi fondamentali come la globalizzazione economica, le migrazioni, i servizi specializzati e la finanza, le nuove politiche identitarie, culturali e dello spazio.
Essa è in primo luogo una città di reti che si dispongono secondo un modello a scala variabile e in base alle principali funzioni che l’attraversano e la rappresentano.
Per il geografo Erik Swyngedouw l’emergere di nuove scale territoriali di governance e la ridefinizione di quelle esistenti cambia i meccanismi di regolazione e organizzazione della relazione tra potere sociale, politico ed economico.
Questa riscalarità comporta una tensione continua tra la scala della governance e quella delle reti.

In conclusione, la glocalizzazione non può essere intesa staticamente ma come un processo dialettico e multidimensionale (tra localizzazione dei flussi e globalizzazione dei luoghi) in cui elementi contraddittori sono compresi nella loro complessità e interdipendenza.
Nell’ambito di questo processo tutt’ora in atto e in evoluzione, la coesistenza di forme istituzionali e sociali organizzate attorno a spazi tradizionali come gli stati-nazione– che, seppure in crisi, permangono come attori istituzionali nello scacchiere globale – e di forme di “nuova statualità” legate ai processi di despazializzazione e rispazializzazione contemporanei, rende opportuno un processo di confronto sistematico tra vecchi e nuovi paradigmi, volto a individuare delle efficaci chiavi interpretative dei fenomeni sociali,economici e politici in atto.

LIVIA D’ANNA È COORDINATORE DELLE ATTIVITÀ ISTITUZIONALI E
PROGETTUALI DELL’ASSOCIAZIONE GLOBUS ET LOCUS, MILANO

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