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L’articolo 41 della Costituzione Italiana e la responsabilità sociale d’impresa

E' di questi giorni la commemorazione di Marchionne da parte di giornalisti, politici, conduttori televisivi !
Vorrei che fosse chiara la distinzione tra globalizzazione, da quelli che sono i dettami costituzionali, quindi il ruolo che la politica deve avere, nel regolamentare ai fini sociali l'attività economica del paese....
Troppo spesso la "costituzione italiana " è lasciata nel cassetto da chi amministra il paese. 
L‟articolo 41 della Costituzione italiana contiene tre importanti disposizioni: la prima afferma il principio della libertà della iniziativa economica privata; la seconda espone le limitazioni a cui tale iniziativa è sottoposta; la terza sancisce le modalità di intervento pubblico necessario affinché l‟attività economica possa essere indirizzata e coordinata.




La norma in questione riflette, in particolar modo se letta congiuntamente
con gli articoli 42, 43 e 44, il compromesso raggiunto dalle tre grandi correnti
ideologiche che si fronteggiarono in Assemblea costituente: la corrente marxista, la cattolica e la liberale.
In particolare la mediazione sancì la necessaria coesistenza dell‟attività economica privata e l‟intervento pubblico diretto nell‟economia, coesistenza che però impose la prefigurazione di una strutturazione complementare, o quantomeno compatibile e coerente, degli interventi pubblici e privati per il
raggiungimento dei fini sociali e di benessere collettivo prefissati nella Carta.

Duplice il tentativo costituzionale: “eliminare eventuali condizioni di privilegio; assicurare la piena e libera espansione della persona umana, ponendo le necessarie premesse come la liberazione dal bisogno, la eguaglianza sostanziale, la partecipazione effettiva di tutte le categorie sociali alla vita associata”.

L‟attività economica, infatti, può essere considerata una “società intermedia”, attraverso cui il singolo individuo, non sempre nelle condizioni di prendere parte al governo e alla amministrazione della cosa pubblica, partecipando le proprie esigenze e rappresentando i propri bisogni, contribuisce alla definizione di specifici interessi e alla formazione di precise istanze della collettività.

La prospettiva dell‟epoca, nell‟auspicato definitivo passaggio da una
economia mista ad una economia regolata, impose ai padri costituenti di assicurare la sicurezza, la libertà e la dignità della persona umana, soprattutto in quella che sarebbe stata ed è la dimensione lavorativa dell‟individuo.

Nella Carta costituzionale la dimensione lavorativa della persona umana diventa centrale fino a chiedere allo Stato di garantire che il diritto al lavoro non venga sostanzialmente offeso proprio in relazione all‟attività imprenditoriale e proprio in ragione dell‟esistenza di un rapporto di subordinazione. 

Gli individui, perciò, devono essere tutelati all‟interno stesso del rapporto lavorativo.

“l’imprenditore privato, in altri termini, deve assicurare ai lavoratori subordinati condizioni di dignità, di sicurezza e di libertà”.

Questa prospettiva o, se si preferisce, questa visione della norma, è ancora attuale, ma chiede di essere aggiornata, arricchita, con un approfondimento del significato della utilità sociale e delle altre dimensioni che l‟individuo vive e che si collegano ad essa.
Non possono essere trascurati i “nuovi diritti” e in particolare le diverse dimensioni che il cittadino vive, in relazione all‟iniziativa economica privata, in qualità di: lavoratore, consumatore, cliente, imprenditore, risparmiatore, utente, ecc..

Non bisogna sottovalutare, comunque, la forte e determinante presenza dello Stato nell‟economia italiana che ha reso nel tempo praticamente insostituibile la sua azione d‟intervento in tutti o quasi tutti i campi dell‟agire economico.

Tutto ciò con non pochi effetti sulla cultura imprenditoriale e manageriale del nostro Paese: fortemente e negativamente vincolata dai diversi interventi di un certo capitalismo di Stato e poco aperta ad un concetto di piena e concreta economia di libero mercato. Che  ha fatto sì che l‟iniziativa economica italiana apparisse sempre più provata e sempre meno privata.

Secondo il dettato costituzionale, l‟iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l‟utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza (oggi declinabile in vario modo: sul lavoro, ma anche ambientale, alimentare, pubblica, ecc.), alla libertà (intesa nelle sue diverse forme: personale, religiosa, sindacale,contrattuale, ecc.) e alla dignità della persona umana.

Disposizione di carattere prevalentemente politico, ma anche generica e imprecisa, come non mancarono di sottolineare alcuni padri costituenti.
Questo comma della Legge fondamentale andrebbe completamente ribaltato approfittando delle (poche) vere tendenze di responsabilizzazione sociale dell‟impresa e soprattutto evitando i (molti) celati rischi di un assolutismo pseudo imprenditoriale o di un egemonismo istituzionale.

La Costituzione non offre una definizione di utilità sociale, ma sono oggi molto chiari i confini entro cui quotidianamente l‟utilità di una comunità si realizza e si confronta (o si scontra) con l‟utilità individuale e imprenditoriale.

Negli ultimi quarant‟anni siamo passati dallo studio e dall‟analisi delle Teorie del profitto  alle Teorie sulla responsabilità sociale dell’impresa (2000), che vedono l‟azienda al centro di un sistema di valori non solo economici, al centro di interessi plurimi e diversificati, spesso anche in conflitto, sempre meno solo ed esclusivamente finanziari o strettamente reddituali.

Anche sotto il profilo normativo ad alcune forme d‟impresa è stata data una diversa cittadinanza giuridica: è stata, infatti, disciplinata l‟impresa sociale, proprio a dimostrazione dei diversi mutamenti che il sistema economico-imprenditoriale vive.

Ma non trascurabile appare anche l‟attenzione posta, sempre dal legislatore nazionale, sulla rendicontazione sociale nel settore pubblico, con la Direttiva Ministeriale della Funzione Pubblica del 2006.
Sul terzo comma dell‟art. 41 solo poche considerazioni tutte connesse alla oramai evidente necessità di disporre di un adeguato sistema di programmazione e di controllo da parte dello Stato sull‟attività economica pubblica e privata: meno interventi economici diretti e maggior impegno nell‟indirizzo, nell‟orientamento e nel reale coordinamento, a fini sociali, degli obiettivi delle imprese, e, per effetto, del sistema economico nazionale.

Affermare una efficace programmazione democratica, intesa cioè come programmazione realizzata con la partecipazione attiva delle forze politico-sociali, degli enti territoriali e di tutti i soggetti portatori di interesse – che possono contribuire alla definizione degli obiettivi da perseguire, senza pregiudicare la riserva di legge posta e il potere di sintesi riconosciuto al Parlamento, attraverso la fissazione delle priorità, diviene quindi indispensabile.


Su questo punto è facile sostenere che è stata tanto limpida l‟attenzione dei padri della Costituzione, quanto confuse e contraddittorie la produzione legislativa successiva e l‟azione conseguente dello Stato.

L‟Italia, infatti, si caratterizza per alcune debolezze che hanno invalidato di fatto il dettato costituzionale in esame:
a) è forte la discrasia tra le prescrizioni normative sulla iniziativa economica e i comportamenti reali delle imprese;
b) l‟intervento pubblico si è dimostrato costantemente inefficiente e gravemente privo di chiare strategie di medio e di lungo termine;
c) è sicuramente inadeguata la norma ordinaria sotto il profilo della programmazione pubblica in ambito economico;
d) è indiscutibilmente debole, disorganizzata, e molto spesso vana, l‟azione di controllo svolta dai pubblici poteri sull‟attività economica privata, e non solo su quella privata....

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