Capitale umano è un termine di uso relativamente recente, prevalente nel campo economico (dall'inglese human capital). Il termine ha avuto una rapida ed ampia diffusione negli ultimi vent'anni, per analogia con la terminologia economica che identifica le risorse economiche a disposizione di una data società.
Il capitale umano viene incluso nelle risorse economiche insieme all'ambiente e al capitale fisico.
Infatti, la capacità di una società di produrre i beni e servizi necessari a soddisfare i propri bisogni dipende dalla quantità, qualità e combinazione delle risorse a propria disposizione.
Mentre il capitale fisico è costituito da
prodotti materiali durevoli utilizzabili per la produzione di altri beni
materiali o immateriali. Detti anche: beni capitali, mezzi di produzione, il
capitale umano è costituito dall''insieme delle facoltà e delle risorse umane,
in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, che
danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di
creazione.
Per capire cosa è il capitale umano è meglio comprendere il ruolo del
capitale fisico che è una delle fondamentali risorse economiche nell'economia
moderna. Il capitale fisico può essere riferito ad una singola unità produttiva
o all'intera economia. Generalmente, comprende macchinari, impianti,
installazioni, fabbricati e, in senso lato, la tecnologia in essi incorporata.
Il capitale fisico dell'intera economia comprende i mezzi di produzione di ogni
settore, industriale, agricolo e dei servizi. Si è soliti identificare l'epoca
moderna dello sviluppo economico mondiale con l'avvio della rivoluzione
industriale in Europa occidentale alla fine del XVIII secolo, proprio in quanto
da quel momento in poi la produzione di beni avviene con un sempre crescente
impiego di capitale fisico rispetto al lavoro manuale (intensità di capitale).
Per la stessa ragione, tale epoca è stata anche definita col termine
capitalismo. Il capitale fisico di un'unità produttiva o dell'intera economia
può essere accresciuto o modificato mediante l'investimento. Per questa ragione,
l'investimento viene anche definito accumulazione di capitale. La caratteristica
essenziale dell'utilizzo del capitale fisico nella produzione è la sua capacità
d'incrementare la produttività del lavoro umano, misurabile ad esempio dalla
quantità di prodotto per ora lavorata o per lavoratore impiegato.
Il capitale
fisico di cui è dotata ogni unità produttiva, e quindi l'economia nel suo
complesso, ne determina la capacità produttiva. Per comprendere la relazione tra
capitale, produttività e lavoro, giova tenere presente la seguente relazione:
PRODUZIONE TOTALE = PRODUTTIVITA' PRO-CAPITE X N.LAVORATORI.
Se una maggior quantità o qualità di capitale
fisico fa aumentare la produttività pro-capite si possono avere diverse
conseguenze: può aumentare la produzione totale, a parità di lavoratori
impiegati; può ridursi l'intensità dell'impiego di lavoro, a parità di
produzione totale. Storicamente, lo sviluppo delle economie capitalistiche ha
mostrato entrambe le tendenze a fasi alterne e con maggiore o minore intensità.
Ad esempio, oggi in Italia il livello della produzione è circa 20 volte
superiore di quanto era 100 anni fa, mentre il numero di ore lavorate è circa la
metà.
La capacità del capitale fisico di incrementare la produttività del lavoro
deriva essenzialmente dalla tecnologia incorporata nei mezzi di produzione. Per
tecnologia, in senso lato, s'intende l'insieme di conoscenze scientifiche e
tecniche che vengono utilizzate per la ideazione, realizzazione e utilizzo di un
dato mezzo di produzione. Tutti i mezzi di produzione, dai più semplici ai più
sofisticati, sono essenzialmente degli strumenti di lavoro, e l'impulso a creare
strumenti per migliorare la propria capacità lavorativa è un tratto distintivo
ancestrale dell'homo sapiens e della nostra civiltà.
Da questo punto di vista,
l'evoluzione della civiltà umana è anche una storia di scoperte scientifiche e
di progresso tecnico, che ha profondamente mutato la nostra comprensione del
mondo e la nostra capacità di trasformarlo per il nostro benessere.
Secondo una consolidata tradizione di pensiero,
una delle cause fondamentali della povertà di un paese risiede nella
insufficiente crescita economica dovuta ad una bassa dotazione di capitale
fisico, generalmente combinata con arretratezza tecnologica [Alexander
Gerschenkron (Russia, 1904-1978), Ragnar Nurkse (Estonia, 1907-1959), Robert M.
Solow (Stati Uniti, 1924)].
La prima conseguenza è un bassa produttività del
lavoro, che comporta:
* bassi salari, uso intensivo della manodopera e cattiva qualità della vita dei salariati;
* difficoltà di assorbimento della manodopera in presenza di un elevato tasso di crescita della popolazione;
* svantaggi nel commercio internazionale a causa del basso valore delle merci a basso contenuto tecnologico, e di conseguenza;
* difficoltà a compensare gli acquisti di beni dall'estero con conseguenti difficoltà nella bilancia dei pagamenti internazionali.
* bassi salari, uso intensivo della manodopera e cattiva qualità della vita dei salariati;
* difficoltà di assorbimento della manodopera in presenza di un elevato tasso di crescita della popolazione;
* svantaggi nel commercio internazionale a causa del basso valore delle merci a basso contenuto tecnologico, e di conseguenza;
* difficoltà a compensare gli acquisti di beni dall'estero con conseguenti difficoltà nella bilancia dei pagamenti internazionali.
Questa spiegazione del problema della povertà
richiede politiche incentrate sull'investimento e sul progresso tecnico. Queste
politiche hanno avuto un peso preponderante fino agli anni 1970-80.
Oggi le
organizzazioni economiche internazionali tendono a collocare il problema della
dotazione di capitale fisico in un contesto più ampio di fattori immateriali che
fanno capo al cosiddetto capitale umano.
Dal punto di vista economico, la manifestazione
più importante del capitale umano è il lavoro. Sin dalle prime opere di economia
moderna, tra fine '700 e inizio '800, il lavoro umano è stato incluso nelle
risorse economiche fondamentali. In questa visione, il lavoro appariva
soprattutto in termini di quantità, detta anche forza lavoro, ossia il numero
d'individui che, in base alle regole legali o sociali è in grado di lavorare in
un dato momento per un certo numero di ore annue.
Tuttavia, il punto di vista
più recente connesso con le teorie del capitale umano tende a porre l'accento
sulla qualità del lavoro, come fattore in grado di determinare il risultato
dell'intero processo produttivo e la crescita economica.
Il peso crescente
attribuito al capitale umano ha corrisposto ad una riduzione dell'importanza
attribuita al capitale fisico. Seguendo l'eredità dei grandi economisti
ottocenteschi, per molto tempo si è data grande importanza all'accumulazione di
impianti, macchinari e all'espansione delle fabbriche come mezzo per ottenere
una crescita economica adeguata.
Analogamente, i primi studi sui problemi della
povertà nel mondo erano incentrati sulla carenza di capitale fisico e
raccomandavano una rapida industrializzazione dei paesi cosiddetti "arretrati"
dal punto di vista industriale e tecnologico. Questo approccio al problema non
ha dato risultati soddisfacenti ed è stato oggetto di crescenti critiche negli
anni '70 e '80. I fallimenti dell’industrializzazione in alcuni paesi
dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia sono serviti a mettere in luce
l'importanza del fattore umano nel mettere a frutto le potenzialità economiche
delle risorse disponibili.
In realtà il capitale fisico è formato da beni che
sono a loro volta il frutto del lavoro umano. La loro vera potenzialità
economica sta nella loro tecnologia, la quale non è altro che conoscenza umana
applicata alla produzione. Il processo di crescita, e più in generale di
sviluppo, è tanto maggiore quanto più elevata è la qualità del lavoro in grado
di creare tecnologia e di utilizzarla in modo appropriato.
Le componenti principali che determinano il
capitale umano sono oggi individuate nell’istruzione e nell’informazione.
L'istruzione è un prerequisito fondamentale affinché la popolazione sia in grado
di esprimere una quantità e qualità adeguata di capacità lavorativa. Con il
termine “istruzione” si può identificare un più vasto insieme di attività
connesse con l'acquisizione di conoscenze e capacità tecniche, dette anche
investimenti in capitale umano.
E' risultato evidente che la disponibilità di
tecnologie avanzate (ad esempio impiantate localmente da imprese estere o da
organizzazioni d'aiuto) può non avere alcun effetto apprezzabile per lo sviluppo
locale se la popolazione non è in grado di a) imparare ad utilizzare in proprio
le tecnologie, b) imparare a creare le proprie tecnologie.
Ci possono essere
gravi ostacoli sia privati che pubblici che riducono gli investimenti in
capitale umano. Sul piano privato, l'errore più frequente nasce da un calcolo
miope dei costi e dei benefici dell'istruzione.
Ad esempio, i giovani possono
essere spinti a cercare lavoro e un reddito troppo precocemente perché non
stimolati o non in grado di attendere il tempo necessario per raggiungere una
formazione elevata.
Sul piano pubblico, l'accesso all’istruzione di base e/o
alla formazione di base può essere troppo ristretto a causa dei costi o a causa
di insufficienti investimenti pubblici nel settore educazione.
La qualità del
capitale umano non è una caratteristica statica, ma dinamica.
Per adattarsi alle
mutevoli esigenze della società locale, e per essere in grado recepire le
scoperte e le innovazioni, è necessario che l'istruzione sia accompagnata da un
costante ed adeguato flusso d'informazioni.
Il XXI secolo si è aperto
all'insegna dell' informazione come chiave del progresso e l'accesso
all'informazione si presenta come un nuovo terreno strategico nel
confronto/cooperazione tra paesi ricchi e poveri.
La centralità attribuita al capitale umano nelle
nuove teorie della crescita economica e dello sviluppo si è riflessa nel
cambiamento degli interventi di cooperazione delle principali organizzazioni
economiche internazionali.
Tra queste, lo UNDP (Programma delle Nazioni Unite
per lo Sviluppo) elabora da qualche anno indicatori specifici che cercano di
misurare il capitale umano, come
* istruzione obbligatoria,
* istruzione tecnica secondaria,
* studenti e studiosi all'estero,
* scienziati e tecnici in istituti di ricerca,
* indicatori del bilancio statale relativi alla istruzione pubblica.
* istruzione tecnica secondaria,
* studenti e studiosi all'estero,
* scienziati e tecnici in istituti di ricerca,
* indicatori del bilancio statale relativi alla istruzione pubblica.
Fino al 1995, nei paesi a medio e basso reddito
il numero di scienziati e tecnici in istituti di ricerca era di circa 10 volte
inferiore rispetto ai paesi ad alto reddito, mentre la spesa pubblica in
istruzione era di circa il 50% più bassa.
Nell'approccio seguito dalle
organizzazioni ufficiali come le UNDP, gli indicatori di capitale umano tendono
a confluire con quelli più generali dello sviluppo umano, che oltre
all'istruzione comprendono bisogni primari e capacità e opportunità.
Infatti, il
pieno sviluppo delle capacità conoscitive, tecniche e lavorative richiede anche
condizioni di vita soddisfacenti e piene opportunità d'inserimento nella vita
lavorativa senza discriminazioni di sesso, religione, razza, etc.
L'indice viene calcolato considerando i livelli di istruzione e occupazione della popolazione su cinque diverse fasce d'eta: 0-14 anni, 15-24, 25-54, 55-64, 65 e oltre. Il punteggio assegnato a ogni fascia varia tra 0 e 100.
La classifica 2016 dei Paesi che meglio riescono a valorizzare il proprio capitale umano è ancora guidata del Vecchio Continente: ai primi tre posti si piazzano infatti Finlandia, Norvegia e Svizzera.
I dati mostrano che tutti e tre questi Paesi riescono riescono a utilizzare circa l’85% del potenziale umano complessivo (la classifica completa è disponibile nello Human Capital Index).
La Finlandia in particolare è risultata la migliore tra i 130 paesi analizzati soprattutto per ciò che riguarda il sistema scolastico e per la facilità con cui le aziende riescono a trovare personale altamente qualificato e specializzato.
Chiudono la classifica Yemen e Mauritania che sfruttano meno del 43% del proprio potenziale umano.
Il Bel Paese dei disoccupati. Il Report 2016 del WEF relega l'Italia al 34° posto, tra l’Ungheria e Malta, dopo Cipro (31) e poco prima di Cuba (36).
Ci penalizzano soprattutto l’alto tasso di disoccupazione giovanile e la scarsa formazione erogata dalle aziende ai propri dipendenti. Positivi invece gli indicatori che riguardano la partecipazione scolastica dei ragazzi fino ai 14 anni e l’ampio ventaglio di conoscenze dei nostri laureati.
Il ruolo della tecnologia. Le conclusioni del rapporto non sono incoraggianti: a livello mondiale, il 35% circa del potenziale umano resta inespresso. Le cause sono da ricercare nel mancato accesso all’istruzione, al lavoro o a entrambi.
Ciò che emerge dalla ricerca è anche la scarsa connessione tra i sistemi scolastici e le nuove competenze richieste dal mondo del lavoro, non solo quelle tecniche ma anche quelle comunemente definite soft skill: la capacità di collaborare con i colleghi, la creatività, la capacità di risolvere problemi. La tecnologia, anche se in apparenza sembra accentuare questi aspetti, deve in realtà essere vista dalle organizzazioni politiche ed economiche come una risorsa da trasformare in formazione e opportunità di lavoro.
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