Quante volte, albergatori e ristoratori, vi siete scoperti a desiderare che la presenza della vostra struttura, o business, soprattutto online, avesse quel respiro internazionale e quel tipo di visibilità in grado di portavi con facilità un flusso costante di turisti e clienti, vecchi e nuovi?
E quante volte vi siete sentiti scoraggiati perché, invece, le dimensioni ridotte e le caratteristiche “troppo local” della vostra struttura non sembravano avvantaggiarvi sul panorama internazionale?
Quante volte vi siete arresi di fronte a budget e investimenti inaffrontabili per conquistare un po’ di visibilità internazionale o una nuova fetta di mercato, e quante volte vi siete sentiti elogiare invece per come avevate saputo appropriarvi della vostra “nicchia di mercato” e sfruttarla bene?
Tutte le considerazioni che avete sicuramente fatto, condite da qualche “mi arrendo alle OTA così sfrutto i loro investimenti marketing per conquistare un po’ di visibilità” qua e là, sono sempre oscillate fra le due dimensioni, mai intersecabili: micro e macro, locale e globale, singolo e moltitudine, particolare e comune.
Finora, abbiamo tutti pensato di essere costretti a scegliere, e in particolare, abbiamo pensato che, per il nostro business, globale fosse decisamente meglio di locale.
I numeri, le potenzialità, ce ne hanno convinti.
Con il rischio di perderci inesorabilmente, proprio in mezzo a quei grandi numeri: perdere la nostra identità, la nostra particolarità, l’appeal della nostra offerta.
Ma se ora le cose fossero cambiate, e invece il segreto stesse nel non rinunciare a una dimensione in favore dell’altra ma nel partire da una per arrivare all’altra?
Se il valorizzare le proprie radici e peculiarità geografiche, il posizionarsi saldamente al centro della propria micro-comunità, geografica e culturale, fosse solo il primo passo di una strategia volta a posizionarsi poi a livello macro, o meglio globale?
Del resto, assistiamo ogni giorno a questo sano e orgoglioso rifiorire di tipicità locali che si esportano prima su scala nazionale, poi all’estero: in ogni campo, dal food all’artigianato, dal design alla cultura, possiamo indicare almeno un esempio di successo, a volte più di uno.
Startup che “improvvisamente” acquistano appeal, prodotti tipici che si fregiano di etichette di origine controllata, piccole realtà alberghiere che si scoprono regine del booking, e finiscono per “vendersi da sole” semplicemente “lasciandosi trovare”.
Certo, il posizionamento geografico in primis, è la chiave del successo, ma non solo: conta anche quanto ce ne sappiamo avvantaggiare, come lo sappiamo sfruttare, e cosa impariamo a costruirci attorno.
E non valgono scorciatoie o “furberie”, ma solo olio di gomito, impegno, e una buona dose di onestà: il clienti di oggi e quelli di domani apprezzano che ci si metta la faccia, mentre si parla con loro, mentre li si accoglie, mentre li si accompagna, con discrezione, durante tutte le fasi del loro soggiorno (che sia per lavoro o di piacere).
Apprezzano, soprattutto, immergersi completamente nella cultura del luogo che li ospita, nelle sue particolarità, nella sua storia, nei suoi aneddoti, nelle sue abitudini e piccole idiosincrasie: non è forse questo “perdersi per ritrovarsi” che, sotto sotto, ogni viaggiatore cerca?
Perché non giocare, filosoficamente, ma anche pragmaticamente, proprio secondo queste regole, con i vostri clienti, perché non approfittarne per fornire loro una ragione in più per scegliervi, e continuare a scegliervi nel tempo?
Ecco dunque perché conviene, soprattutto su web, mettere in conto una serie di mosse strategiche mirate alla “glocalizzazione”: localizzare per globalizzare, letteralmente.
Soprattutto sui social, dove i rapporti sono più personali e le emozioni, quelle che si riescono a evocare e suscitare, hanno più presa.
Da Wikipedia: glocalizzazione – glo·ca·liẓ·ẓa·zió·ne/sostantivo femminile
-
Diffusione su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di
comunicazione, di elementi culturali, idee, stili di vita propri di
realtà locali
-
Strategia economica e politica volta a correggere gli
aspetti più problematici della globalizzazione, sfruttandone le
opportunità per valorizzare a livello mondiale il ruolo di governi,
mercati o imprese locali.
D’altra parte, è proprio dai social che viene lo spunto: prima Google, con i suoi Places, i profili Local, la localizzazione geografica delle imprese – così fondamentale per l’indicizzazione sui motori di ricerca – e poi Facebook, che negli ultimi mesi ha tanto spinto sulla localizzazione estrema perfino dei propri ads, che ora si possono targettizzare in maniera estremamente precisa per “vicinanza geografica”, andando ad attivarsi addirittura non appena il dispositivo degli utenti “entra nell’area geografica” attivata.
Ads a kilometro zero, che idea geniale.
Fantascienza? Il Grande F che cerca di controllare le nostre vite?
Oppure il modo più intelligente di servire su un piatto d’argento al proprio cliente quello che gli serve esattamente quando (e dove) gli serve?
Fateci un pensiero, albergatori e ristoratori… la glocalizzazione fa comodo a voi per primi!
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