E allora, che cosa deve insegnare la scuola oggi?
La trasformazione digitale sta cambiando e cambierà con cicli di 3-5 anni il mercato del lavoro
Cosa farai da grande? Questa è la domanda che viene rivolta a tutti i bambini in tenera età.
Il medico, l’ingegnere, l’avvocato. I lavori “stabili” esistono ancora, solo che il mondo nel frattempo è cambiato, il lavoro si è trasformato ma l’Italia sembra ferma.
Lo dicono anche i numeri del Rapporto annuale 2017 dell’ISTAT, che fotografa un’Italia come il Paese più vecchio d’Europa, con la maggior presenza di NEET (giovani scoraggiati che non studiano e che non cercano lavoro) e con una crescita economica al di sotto del periodo pre-crisi (quando altri Paesi UE l’hanno ampiamente superata).
Solo nel 2016 i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano sono stati il 24,3%, parliamo di 2,2 milioni di persone, in Europa il valore medio è del 14,2%.
Tra le varie responsabilità di una situazione così stagnante c’è anche il problema della formazione, che non riesce minimamente a stare al passo coi tempi che cambiano.
Secondo uno studio del World Economic Forum il 65% dei bambini che oggi sono alla scuola elementare “da grande” farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno.
Avreste mai immaginato 10 anni fa che un manipolo di ragazzi riuscisse a guadagnare milioni di dollari da una piattaforma come Youtube?
Oppure dell’esistenza dei Web Influencer o dei Data Scientist?
No, perché la tecnologia corre veloce, molto più veloce anche dell’istruzione: la cosiddetta Digital Transformation, una serie di cambiamenti tecnologici ma anche culturali nel mondo in cui viviamo, può rappresentare un’opportunità non solo per le aziende che colgono i vantaggi del digitale, ma anche per chi vuole costruirsi una carriera non seguendo vecchi schemi ormai desueti o per chi vuole ricollocarsi.
Quali sono le professioni più richieste oggi nel digitale, ma soprattutto quelle di domani, considerando l’estrema velocità con cui la tecnologia cambia lo scenario?
Una domanda a cui, ad esempio, alcune scuole e progetti di formazione innovativi stanno cercando di dare una risposta, anche se potrebbe non piacere a tutti.
L’umanizzazione della formazione (e della tecnologia)
La tecnologia è un mezzo da utilizzare per creare, non il fine.
Il mondo del digitale, che sempre di più crea tipi di lavori che dieci anni fa neanche esistevano, e che magari tra 5 anni non esisteranno più, si immerge in una zona grigia tra innovazione, automazione e diritti.
Lo si vede già oggi con la sharing/gig economy o concretamente con il caso Foodora.
I robot ci ruberanno il lavoro? Sì, quelli meno qualificati.
Come e quali carriere quindi perseguire in un mondo in costante trasformazione digitale?
Il vero tema è: in un contesto in cui il cambiamento è a una velocità senza precedenti la cosa più importante su cui lavorare è la persona, paradossalmente, e bisogna concentrarsi per sviluppare nelle persone delle attitudini nuove sin da quando sono bambini "
Il punto fondamentale è un altro: come dominare la formazione in un mondo del lavoro in costante cambiamento?
“Bisogna aumentare la capacità di immaginazione e la volontà di costruire.
La base è la tecnologia con cui fare i conti, ma noi dobbiamo lavorare sull’essere umano, sul suo spirito imprenditoriale, sulla capacità di inventare, connettere.
Saremo assistiti dalle intelligenze artificiali, è inutile che assimiliamo passivamente i concetti, è il terreno delle macchine, lì perdiamo per definizione.
Il nostro non è un rifiuto ma non può essere limitato tutto alla sola nozione. Dobbiamo trovare un punto di incontro tra la nozione come strumento di allenamento e altri elementi che sono fondamentali, come la capacità di connessione, la multidisciplinarietà, l’apertura mentale al nuovo, al cambiamento, l’apertura all’errore, il coraggio di provare, il coraggio di ammettere che si è sbagliato. Tutte queste cose sono importanti quanto la nozione se non di più. Bisogna continuare a studiare e formarsi, sempre”
E per chi ormai non è più un ragazzo e vuole ricollocarsi?
Del resto l’Università italiana negli ultimi quindici anni ha “sfornato” parecchi disoccupati, essendo in molti casi completamente slegata dal mondo del lavoro.
Il cosiddetto “career change”, molto sviluppato negli USA e UK, sembra essere in contrasto nella cultura del lavoro italiana, più arroccata a vecchi schemi: “Non siamo un Paese che ha tradizione di cambiamento allineato allo scenario anglosassone.
Da un lato è una resistenza al cambiamento che si legge in tante cose nella società, noi siamo un pochino più abitudinari, comodi dentro degli schemi predefiniti.
“Il lavoro sta cambiando come modalità e di sicuro le aziende cercano dei profili che non riescono a trovare proprio perché non c’è formazione su questi temi.
Ha senso che ogni anno noi formiamo 13mila nuovi laureati in giurisprudenza?
Di tutte le cose che ha bisogno l’Italia di sicuro ha meno bisogno di burocrazia“.
“Per chi ha iniziato a lavorare 6 anni fa in quel momento stavano scoppiando i social network.
Questo ha creato oggi in Italia decine di migliaia di posti di lavoro sul tema del Social Media (Specialist, Manager), ma quello che noi vediamo è che tra 5 anni probabilmente questa figura non esisterà più perché ognuno all’interno dell’azienda sarà il Social Media Manager, non sarà più una figura dedicata.
In un mercato del lavoro che cambia costantemente, io studente devo pensare di fare la prima parte della mia carriera con un percorso molto orizzontale come licei e cose che mi aprano la mente, e poi devo pensare di fare un progetto di formazione continua con corsi professionalizzanti, molto veloci che mi permettano di studiare, trovare un lavoro che magari davvero esisterà solo per 5-10-20 anni ma che poi io abbia la capacità mentale nel dire ‘ok oggi è il social media, domani è il data analytics’”.
Non si finisce mai di imparare (e trasformarsi)
Prepariamoci a dire addio all’idea della pensione.
E imparare, lavorare, riposarci a ciclo continuo
Da queste due chiacchierate e dai dati emerge quindi un tema: “cosa studiare oggi per trovare lavoro domani” rappresenta un falso problema.
La trasformazione digitale è veloce, tutto cambia e soprattutto il mercato del lavoro con un ritmo di 3-5 anni, non 15-20 come accadeva in passato.
Le capacità tecniche o il frequentare corsi o master è sì importante, ma non è la soluzione finale. Per continuare a rimanere competitivi in questo mondo in continua trasformazione si deve apprendere un mindset, una serie di strumenti utili ad affrontare sempre nuovi problemi senza scoraggiarsi. Significa formarsi costantemente, essere sempre curiosi riguardo quello che accade nel proprio ambito ma essere aperti anche al nuovo.
Una volta capito che non siamo più gli stessi e che nel corso della nostra vita cambieremo più e più volte, sia noi che il mondo, allora potremmo affrontare le sfide della trasformazione, anche personale.
La trasformazione digitale sta cambiando e cambierà con cicli di 3-5 anni il mercato del lavoro
Cosa farai da grande? Questa è la domanda che viene rivolta a tutti i bambini in tenera età.
Il medico, l’ingegnere, l’avvocato. I lavori “stabili” esistono ancora, solo che il mondo nel frattempo è cambiato, il lavoro si è trasformato ma l’Italia sembra ferma.
Lo dicono anche i numeri del Rapporto annuale 2017 dell’ISTAT, che fotografa un’Italia come il Paese più vecchio d’Europa, con la maggior presenza di NEET (giovani scoraggiati che non studiano e che non cercano lavoro) e con una crescita economica al di sotto del periodo pre-crisi (quando altri Paesi UE l’hanno ampiamente superata).
Solo nel 2016 i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano sono stati il 24,3%, parliamo di 2,2 milioni di persone, in Europa il valore medio è del 14,2%.
Secondo uno studio del World Economic Forum il 65% dei bambini che oggi sono alla scuola elementare “da grande” farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno.
Avreste mai immaginato 10 anni fa che un manipolo di ragazzi riuscisse a guadagnare milioni di dollari da una piattaforma come Youtube?
Oppure dell’esistenza dei Web Influencer o dei Data Scientist?
No, perché la tecnologia corre veloce, molto più veloce anche dell’istruzione: la cosiddetta Digital Transformation, una serie di cambiamenti tecnologici ma anche culturali nel mondo in cui viviamo, può rappresentare un’opportunità non solo per le aziende che colgono i vantaggi del digitale, ma anche per chi vuole costruirsi una carriera non seguendo vecchi schemi ormai desueti o per chi vuole ricollocarsi.
Quali sono le professioni più richieste oggi nel digitale, ma soprattutto quelle di domani, considerando l’estrema velocità con cui la tecnologia cambia lo scenario?
Una domanda a cui, ad esempio, alcune scuole e progetti di formazione innovativi stanno cercando di dare una risposta, anche se potrebbe non piacere a tutti.
L’umanizzazione della formazione (e della tecnologia)
La tecnologia è un mezzo da utilizzare per creare, non il fine.
Il mondo del digitale, che sempre di più crea tipi di lavori che dieci anni fa neanche esistevano, e che magari tra 5 anni non esisteranno più, si immerge in una zona grigia tra innovazione, automazione e diritti.
Lo si vede già oggi con la sharing/gig economy o concretamente con il caso Foodora.
I robot ci ruberanno il lavoro? Sì, quelli meno qualificati.
Come e quali carriere quindi perseguire in un mondo in costante trasformazione digitale?
Il vero tema è: in un contesto in cui il cambiamento è a una velocità senza precedenti la cosa più importante su cui lavorare è la persona, paradossalmente, e bisogna concentrarsi per sviluppare nelle persone delle attitudini nuove sin da quando sono bambini "
Il punto fondamentale è un altro: come dominare la formazione in un mondo del lavoro in costante cambiamento?
“Bisogna aumentare la capacità di immaginazione e la volontà di costruire.
La base è la tecnologia con cui fare i conti, ma noi dobbiamo lavorare sull’essere umano, sul suo spirito imprenditoriale, sulla capacità di inventare, connettere.
Saremo assistiti dalle intelligenze artificiali, è inutile che assimiliamo passivamente i concetti, è il terreno delle macchine, lì perdiamo per definizione.
Il nostro non è un rifiuto ma non può essere limitato tutto alla sola nozione. Dobbiamo trovare un punto di incontro tra la nozione come strumento di allenamento e altri elementi che sono fondamentali, come la capacità di connessione, la multidisciplinarietà, l’apertura mentale al nuovo, al cambiamento, l’apertura all’errore, il coraggio di provare, il coraggio di ammettere che si è sbagliato. Tutte queste cose sono importanti quanto la nozione se non di più. Bisogna continuare a studiare e formarsi, sempre”
E per chi ormai non è più un ragazzo e vuole ricollocarsi?
Del resto l’Università italiana negli ultimi quindici anni ha “sfornato” parecchi disoccupati, essendo in molti casi completamente slegata dal mondo del lavoro.
Il cosiddetto “career change”, molto sviluppato negli USA e UK, sembra essere in contrasto nella cultura del lavoro italiana, più arroccata a vecchi schemi: “Non siamo un Paese che ha tradizione di cambiamento allineato allo scenario anglosassone.
Da un lato è una resistenza al cambiamento che si legge in tante cose nella società, noi siamo un pochino più abitudinari, comodi dentro degli schemi predefiniti.
“Il lavoro sta cambiando come modalità e di sicuro le aziende cercano dei profili che non riescono a trovare proprio perché non c’è formazione su questi temi.
Ha senso che ogni anno noi formiamo 13mila nuovi laureati in giurisprudenza?
Di tutte le cose che ha bisogno l’Italia di sicuro ha meno bisogno di burocrazia“.
“Per chi ha iniziato a lavorare 6 anni fa in quel momento stavano scoppiando i social network.
Questo ha creato oggi in Italia decine di migliaia di posti di lavoro sul tema del Social Media (Specialist, Manager), ma quello che noi vediamo è che tra 5 anni probabilmente questa figura non esisterà più perché ognuno all’interno dell’azienda sarà il Social Media Manager, non sarà più una figura dedicata.
In un mercato del lavoro che cambia costantemente, io studente devo pensare di fare la prima parte della mia carriera con un percorso molto orizzontale come licei e cose che mi aprano la mente, e poi devo pensare di fare un progetto di formazione continua con corsi professionalizzanti, molto veloci che mi permettano di studiare, trovare un lavoro che magari davvero esisterà solo per 5-10-20 anni ma che poi io abbia la capacità mentale nel dire ‘ok oggi è il social media, domani è il data analytics’”.
Non si finisce mai di imparare (e trasformarsi)
Prepariamoci a dire addio all’idea della pensione.
E imparare, lavorare, riposarci a ciclo continuo
Da queste due chiacchierate e dai dati emerge quindi un tema: “cosa studiare oggi per trovare lavoro domani” rappresenta un falso problema.
La trasformazione digitale è veloce, tutto cambia e soprattutto il mercato del lavoro con un ritmo di 3-5 anni, non 15-20 come accadeva in passato.
Le capacità tecniche o il frequentare corsi o master è sì importante, ma non è la soluzione finale. Per continuare a rimanere competitivi in questo mondo in continua trasformazione si deve apprendere un mindset, una serie di strumenti utili ad affrontare sempre nuovi problemi senza scoraggiarsi. Significa formarsi costantemente, essere sempre curiosi riguardo quello che accade nel proprio ambito ma essere aperti anche al nuovo.
Una volta capito che non siamo più gli stessi e che nel corso della nostra vita cambieremo più e più volte, sia noi che il mondo, allora potremmo affrontare le sfide della trasformazione, anche personale.
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