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I diritti incomprimibili dei cittadini vengono prima del pareggio di bilancio.




“È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.
 
Nel 2011 l'Italia stava attraversando una grave crisi economica e finanziaria: il debito pubblico, il deficit pubblico e gli interessi sul debito pubblico erano in costante aumento e il Paese rischiava seriamente il default finanziario. 
In seguito alle pressanti richieste da parte delle istituzioni europee e internazionali, il Governo Berlusconi IV si vide costretto a varare misure più restrittive sulla finanza pubblica.

Per questo motivo l'8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri varò, su proposta del Ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, un disegno di legge costituzionale che prevedeva di introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale. 
La Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati iniziarono ad esaminare il disegno di legge costituzionale il 5 ottobre 2011 e licenziarono il testo il 10 novembre.

Il 12 novembre 2011 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, privo della maggioranza parlamentare alla Camera dei Deputati[senza fonte], rassegnò le dimissioni. Il giorno seguente (13 novembre 2011) il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nominò Presidente del Consiglio Mario Monti (che varò tramite decreto-legge una manovra correttiva da 63 miliardi di euro e avviò una serie di politiche molto più restrittive sui conti pubblici).

In coerenza con i nuovi indirizzi del Governo, il Parlamento scelse di esaminare più velocemente il disegno di legge costituzionale sul pareggio di bilancio, tanto più che i suoi contenuti furono generalizzati, mediante l'adozione del Fiscal compact, per tutti gli Stati membri dell'UE che scelsero di aderirvi, all'inizio del 2012.

La norma venne infatti approvata in soli sei mesi, un periodo di tempo alquanto breve, se si considera che una legge costituzionale necessita di quattro letture parlamentari e di una pausa di tre mesi tra la seconda e la terza. In tutte e quattro le letture parlamentari il disegno di legge venne approvato a larghissima maggioranza, ricevendo il voto favorevole sia della maggioranza che dell'opposizione. Dato che i voti favorevoli al disegno di legge superarono i due terzi dei membri di entrambi i rami del Parlamento, non fu necessario ricorrere ad un referendum confermativo....
 


Non sono, dunque, i diritti fondamentali a dover essere condizionati dal rispetto di esigenze di bilancio ma sono le previsioni di spesa che devono necessariamente tener in conto il soddisfacimento dei diritti essenziali.

Una pronuncia storica che esprime un concetto importantissimo:
prima la tutela ed il soddisfacimento dei diritti incomprimibili; poi il rispetto dei vincoli di bilancio.

Il giudizio di bilanciamento tra norme costituzionali deve, infatti, tenere in considerazione il diverso “peso” che hanno i principi costituzionalmente stabiliti.

L’ equilibrio di bilancio è entrato nella nostra Costituzione in tempi recenti, ma esiste una gerarchia tra i valori costituzionali che impone una disparità tra il rispetto dei diritti essenziali e la necessità di dover far “quadrare i conti”.
 

I giudici costituzionali, tramite questa sentenza, sembrano dare corpo a ciò che il prof. Ferrajoli definisce la “sfera dell’indecidibile”, ossia quella sfera in cui rientrano tutti quei diritti essenziali che non possono essere soggetti né alla discrezionalità della politica né all’imperante logica del mercato.
Insomma, vi sono dei diritti sociali che nessuna maggioranza può decidere di non attuare, poiché il loro mancato rispetto creerebbe un diritto non solo ingiusto, ma anche illegittimo.

Si tratta di un importante cambio di paradigma, in una fase storica in cui tutto sembra sacrificabile sull’altare degli interessi di mercato.
La “mancanza di risorse finanziarie” è la giustificazione attraverso cui, sul piano nazionale e regionale, si è assistito ad un graduale processo di smantellamento del Welfare State (basti pensare a settori fondamentali come sanità ed istruzione).
Questa sentenza mette mano all’ordine delle priorità, evidenziando come il nucleo essenziale dei diritti fondamentali debba svolgere la funzione di controlimite nei confronti delle esigenze di bilancio.
Sarà interessante vedere quali effetti concreti questa pronuncia comporterà.

E’ evidente come, grazie ad essa, le istanze volte a richiedere una reale attuazione dei più basilari diritti essenziali trovino oggi maggiore forza,

Ciò potrebbe riguardare  tutti quei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Carta Costituzionale ma disattesi nei fatti.
Spingendoci anche più in là, ciò potrebbe portare ad un capovolgimento della stessa concezione del “vincolo di bilancio”.
Arrivando, magari, a costituzionalizzare ciò che la Consulta con questa sentenza ha stabilito ossia che “è la garanzia dei diritti incomprimibili a dover incidere sul bilancio”.
Sul modello della Costituzione Brasiliana (artt. 198 e 212) sarebbe, dunque, auspicabile la previsione di quote minime del bilancio da riservare alla salute, all’istruzione, all’assistenza; introducendo delle reali garanzie a tutela dei diritti sociali.

Nella consapevolezza che, come la migliore dottrina ci insegna, le garanzie altro non sono che “i divieti ed i doveri corrispondenti ai diritti”, necessarie per mettere a riparo questi ultimi dalle violazioni che potrebbero subire.

La sentenza n.275/2016 assume, dunque, una portata storica fondamentale.
Per coglierne appieno il significato bisogna, però, partire da lontano.
Una delle più grandi conquiste sul piano giuridico e politico del secolo scorso è stata, infatti, l’introduzione di una “Costituzione rigida” ossia di “una legge sulle leggi,” di un “diritto sul diritto”.

I diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti avrebbero dovuto rappresentare dei limiti e dei vincoli a tutti i poteri pubblici.

La stessa democrazia avrebbe dovuto assumere una valenza non solo formale ma sostanziale:
il potere politico doveva essere disciplinato non solo nelle forme di produzione delle decisioni ma anche nei contenuti delle decisioni medesime, vincolati al rispetto di quei principi di giustizia costituzionalmente stabiliti.
Peccato che il paradigma della democrazia costituzionale sia rimasto in gran parte sulla carta e, da tempo, sia in preda ad una profonda crisi sul piano italiano ed europeo.

Una crisi in gran parte creata, come evidenzia Ferrajoli, da un ribaltamento del rapporto tra politica ed economia:
all’impotenza della politica dinanzi ai poteri selvaggi dei mercati è corrisposta la rivendicazione dell’ onnipotenza della politica a danno dei diritti dei cittadini che si è manifestata nell’aperta aggressione ai diritti sociali”.

In entrambi i casi è avuta la “rimozione delle Costituzioni dall’orizzonte di governo onde consentire l’aggressione dei diritti fondamentali e delle loro garanzie”.
Si tratta, appunto, di una crisi della democrazia e dello stato di diritto che avvenendo a livello europeo richiede delle necessarie soluzioni sovranazionali, come un nuovo processo costituente europeo che imponga limiti e vincoli non solo ai poteri pubblici ma anche ai poteri economici e finanziari.

Sicuramente, sul piano interno, questa sentenza della Consulta è un primo passo che rimette la nostra Costituzione al suo posto; evidenziando la necessità di dare effettiva attuazione ai diritti fondamentali pone un freno all’ onnipotenza del potere politico e ristabilisce i confini del “legittimo” e dell’ “illegittimo”.

Sta a noi rimarcare questi confini e pretendere che i diritti incomprimibili non continuino a subire ingiuste violazioni perché come ben sottolineava Calamandrei “la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale” che, ogni giorno, bisogna impegnarsi a modificare.


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