Si parla spesso ed ancora nella nostra epoca di "rivoluzione". Ma cosa significa oggi rivoluzione? Chi è il rivoluzionario?
di Giovanni Arena
Per rivoluzione si intende un cambiamento radicale delle stretture sociali, a partire dall’ambito scientifico ed economico fino ad arrivare alla sfera politica e sociale.
La rivoluzione nasce dalla presa di coscienza, o dall’esigenza circostanziale, di una determinata situazione storica che in qualche modo necessita di una scossa per sbloccarsi e dar vita ad un nuovo e diverso scorrere degli eventi.
La rivoluzione è spesso portata avanti da elites fortemente ideologizzate che si servono o semplicemente cavalcano i sentimenti alimentati o alimentatisi all’interno della massa costituita dal popolo.
Nella corso della storia abbiamo assistito a diverse rivoluzioni in differenti ambiti strutturali: dalle rivoluzioni scientifico-tecnologiche, passando per le rivoluzioni economiche fino ai moti rivoluzionari che hanno modificato e dato forma agli impianti politici e sociali che ancora oggi dominano la scena dell’universo occidentale.
Quali sono i caratteri per così dire distintivi di tutte le rivoluzioni che la storia ha ospitato all’interno del proprio corso?
Possiamo dire che sono almeno due le caratteristiche che storicamente hanno costituito il patrimonio genetico delle rivoluzioni: la tendenza all’innovazione, o in alcuni casi al rinnovamento, e la violenza.
Per quel che riguarda il primo dei due caratteri, la radice stessa del termine rivoluzione suggerisce che rivoluzionario è colui che rovescia, che ribalta, che modifica radicalmente uno status quo.
Ma il termine rivoluzione presuppone quasi sempre la tendenza a cozzare con ciò che mira a cambiare, ad andare allo scontro fisico con il vecchio per imporre il nuovo, a cancellare un passato per aprire una strada verso il futuro. Rivoluzione, in altre parole, non tollera compromessi, non siede al tavolo della diplomazia.
Ad eccezione della “rivoluzione non violenta” di Gandhi, che si oppose alla forza dei dominatori inglesi con una resistenza passiva, tutte le rivoluzioni sono entrate nelle società con passi rumorosi e senza bussare alla porta.
Ma cosa intendiamo oggi per rivoluzione?
Che cosa significa oggi essere rivoluzionari?
E ancora, è appropriato parlare di rivoluzione in un contesto storico nel quale anche coloro che legittimano con parole, opere ed omissioni il sistema dominante si definiscono rivoluzionari?
Sorgono dunque alcune riflessioni.
Innanzi tutto, come anticipato sopra, il termine rivoluzione, nel mondo moderno, è sulla bocca di tutti.
Si professano rivoluzionari tutti coloro che romanticamente sognano una società diversa, ma nella realtà dei fatti non hanno il reale interesse né la volontà di modificare lo stato di cose.
Anzi, spesso e volentieri posizioni rivoluzionarie fanno parte di una serie di caratteristiche che all’uomo borghese occidentale fa piacere credere di possedere per aumentare di qualche punto la propria autostima.
Altri ancora ne parlano a sproposito, convinti in cuor loro di combattere un sistema di valori che tuttavia alimentano quotidianamente e sconsideratamente.
L’utilizzo del termine rivoluzionario da parte di chi siede in poltrona armato di smartphone e di telecomando, ha prosciugato la linfa vitale del termine quanto della figura del rivoluzionario.
A questo punto potremmo chiederci: conviene, o è possibile, recuperare un genuino concetto di Rivoluzione?
La risposta è negativa.
Se non altro per la questione già brevemente affrontata della matrice violenta insita e storicamente acquisita dal termine stesso di rivoluzione: è impensabile cambiare il mondo al prezzo di sangue e vite umane, ancora una volta.
Ad un concetto in disuso, o potremo dire, eccessivamente utilizzato, e per questo non più utilizzabile, come quello di rivoluzione, si potrebbe sostituire il concetto di conversione.
Conversione intesa non tanto nel senso attribuitogli dal Cristianesimo, bensì da intendersi come rivoluzione di sé; una conversione che indica un moto circolare dell’animo, opposto al prisma aggressivo e spigoloso della rivoluzione intesa come lotta personale e romantica al mondo che ci circonda.
Una conversione, rivoluzione di sé, che si tramuta in azione nel momento in cui diviene esempio, condotta morale, stile di vita.
L’esempio, forma della conversione, è il più grande atto rivoluzionario.
di Giovanni Arena
Per rivoluzione si intende un cambiamento radicale delle stretture sociali, a partire dall’ambito scientifico ed economico fino ad arrivare alla sfera politica e sociale.
La rivoluzione nasce dalla presa di coscienza, o dall’esigenza circostanziale, di una determinata situazione storica che in qualche modo necessita di una scossa per sbloccarsi e dar vita ad un nuovo e diverso scorrere degli eventi.
La rivoluzione è spesso portata avanti da elites fortemente ideologizzate che si servono o semplicemente cavalcano i sentimenti alimentati o alimentatisi all’interno della massa costituita dal popolo.
Nella corso della storia abbiamo assistito a diverse rivoluzioni in differenti ambiti strutturali: dalle rivoluzioni scientifico-tecnologiche, passando per le rivoluzioni economiche fino ai moti rivoluzionari che hanno modificato e dato forma agli impianti politici e sociali che ancora oggi dominano la scena dell’universo occidentale.
Quali sono i caratteri per così dire distintivi di tutte le rivoluzioni che la storia ha ospitato all’interno del proprio corso?
Possiamo dire che sono almeno due le caratteristiche che storicamente hanno costituito il patrimonio genetico delle rivoluzioni: la tendenza all’innovazione, o in alcuni casi al rinnovamento, e la violenza.
Per quel che riguarda il primo dei due caratteri, la radice stessa del termine rivoluzione suggerisce che rivoluzionario è colui che rovescia, che ribalta, che modifica radicalmente uno status quo.
Ma il termine rivoluzione presuppone quasi sempre la tendenza a cozzare con ciò che mira a cambiare, ad andare allo scontro fisico con il vecchio per imporre il nuovo, a cancellare un passato per aprire una strada verso il futuro. Rivoluzione, in altre parole, non tollera compromessi, non siede al tavolo della diplomazia.
Ad eccezione della “rivoluzione non violenta” di Gandhi, che si oppose alla forza dei dominatori inglesi con una resistenza passiva, tutte le rivoluzioni sono entrate nelle società con passi rumorosi e senza bussare alla porta.
Ma cosa intendiamo oggi per rivoluzione?
Che cosa significa oggi essere rivoluzionari?
E ancora, è appropriato parlare di rivoluzione in un contesto storico nel quale anche coloro che legittimano con parole, opere ed omissioni il sistema dominante si definiscono rivoluzionari?
Sorgono dunque alcune riflessioni.
Innanzi tutto, come anticipato sopra, il termine rivoluzione, nel mondo moderno, è sulla bocca di tutti.
Si professano rivoluzionari tutti coloro che romanticamente sognano una società diversa, ma nella realtà dei fatti non hanno il reale interesse né la volontà di modificare lo stato di cose.
Anzi, spesso e volentieri posizioni rivoluzionarie fanno parte di una serie di caratteristiche che all’uomo borghese occidentale fa piacere credere di possedere per aumentare di qualche punto la propria autostima.
Altri ancora ne parlano a sproposito, convinti in cuor loro di combattere un sistema di valori che tuttavia alimentano quotidianamente e sconsideratamente.
L’utilizzo del termine rivoluzionario da parte di chi siede in poltrona armato di smartphone e di telecomando, ha prosciugato la linfa vitale del termine quanto della figura del rivoluzionario.
A questo punto potremmo chiederci: conviene, o è possibile, recuperare un genuino concetto di Rivoluzione?
La risposta è negativa.
Se non altro per la questione già brevemente affrontata della matrice violenta insita e storicamente acquisita dal termine stesso di rivoluzione: è impensabile cambiare il mondo al prezzo di sangue e vite umane, ancora una volta.
Ad un concetto in disuso, o potremo dire, eccessivamente utilizzato, e per questo non più utilizzabile, come quello di rivoluzione, si potrebbe sostituire il concetto di conversione.
Conversione intesa non tanto nel senso attribuitogli dal Cristianesimo, bensì da intendersi come rivoluzione di sé; una conversione che indica un moto circolare dell’animo, opposto al prisma aggressivo e spigoloso della rivoluzione intesa come lotta personale e romantica al mondo che ci circonda.
Una conversione, rivoluzione di sé, che si tramuta in azione nel momento in cui diviene esempio, condotta morale, stile di vita.
L’esempio, forma della conversione, è il più grande atto rivoluzionario.
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