Premessa
Per molti anni, il World Economic Forum ha incluso la disparità dei redditi tra i dieci rischi globali ‘più preoccupanti:’ si tratta di un fenomeno che si è notevolmente intensificato negli ultimi decenni e che indebolisce fortemente la coesione sociale e minaccia la stabilità politica.
Ci sono numerose pubblicazioni focalizzate sulla ‘disuguaglianza economica:’ Piketty T. (Capital in the 21st century), Oxfam International (gennaio e ottobre 2014), Credit Suisse (2014, 2015).
Ma che cosa è la disuguaglianza e perché dovremmo contrastarla?
Bene, se ci fermiamo e pensiamo solo per qualche istante, è facile realizzare che la disuguaglianza è un fenomeno inevitabile in una società complessa.
In generale, la disuguaglianza consiste in un accesso differenziato alle risorse economiche, sociali e naturali.
Ora, risulta naturale che – per diverse ragioni – a ciascun livello della nostra struttura sociale (Paese, regione, comunità, individuo) l’accesso alle risorse e ai servizi può essere differente.
Il fulcro dell’attuale dibattito sulla disuguaglianza è rappresentato dall’accesso alle ‘risorse economiche’ (disuguaglianza economica) più che dall’accesso alle risorse sociali e naturali.
La giustificazione è nel fatto che in un mondo dominato dalla ‘moneta,’ l’accesso alle risorse materiali (basilari e di lusso) e immateriali (servizi come quelli per la salute, l’educazione, il divertimento etc…) dipende fortemente dall’accesso alle risorse economiche: la disuguaglianza economica comporta una disuguaglianza nell’accesso alle risorse sociali e naturali.
Non è un caso che in molte ricerche i ricchi sono individuati anche con il termine ‘haves’ (coloro che ‘hanno/possiedono’) e i poveri con il termine ‘have nots’ (coloro che ‘non hanno/non possiedono’).
La disuguaglianza estrema è economicamente, socialmente ed ecologicamente insostenibile!
C’erano una volta gli “enti comunali di assistenza”, che si occupavano di sostenere e alleviare le sofferenze morali e materiali delle famiglie più disgraziate.
Scomparvero non si sa perché dalla sera alla mattina e con questi svanirono nel nulla anche i famosi enti di beneficenza, sostituiti da istituti neonati.
Il caos che n’è derivato negli anni successivi ha portato al blocco di assistenza e beneficenza.
Il credere che la società dell’opulenza negli anni ’80 cancellasse la povertà, e che fosse ormai una condizione del passato fu un errore madornale, lo dimostra il fatto che oggi ci s’interroga come costruire forme di aiuto per chi non è in condizione di procurare cibo ai propri figli o di fare mille salti mortali per trovare un letto.
E’ così, nonostante il benessere raggiunto dalla società del nostro del tempo. Non ci sono più gli enti locali di assistenza, non si sa se i vecchi istituti per assistere i poveri ci sono, il welfare state è saltato, e allora?
I poveri abbandonati al proprio triste destino. Chi opera in politica dovrebbe avere comportamenti più responsabili e immediati di fronte a questo quotidiano dramma dell’umanità.
Papa Paolo VI diceva che “la politica è la più alta forma di carità”.
Allora, assumendo come riferimento alto le parole di Paolo VI, i cattolici che sono in Parlamento e al governo, e non solo loro, si adoperino per accelerare i provvedimenti sulla condizione dei poveri.
E’ opportuno agire concretamente con gli strumenti della legislazione d’urgenza perché ci sia più giustizia sociale e bene comune.
Il governo, la classe politica, cattolici e laici, agiscano con decisione per limitare la veloce corsa verso la povertà, predisponendo adeguate e idonee politiche popolari.
Per molti anni, il World Economic Forum ha incluso la disparità dei redditi tra i dieci rischi globali ‘più preoccupanti:’ si tratta di un fenomeno che si è notevolmente intensificato negli ultimi decenni e che indebolisce fortemente la coesione sociale e minaccia la stabilità politica.
Ci sono numerose pubblicazioni focalizzate sulla ‘disuguaglianza economica:’ Piketty T. (Capital in the 21st century), Oxfam International (gennaio e ottobre 2014), Credit Suisse (2014, 2015).
Ma che cosa è la disuguaglianza e perché dovremmo contrastarla?
Bene, se ci fermiamo e pensiamo solo per qualche istante, è facile realizzare che la disuguaglianza è un fenomeno inevitabile in una società complessa.
In generale, la disuguaglianza consiste in un accesso differenziato alle risorse economiche, sociali e naturali.
Ora, risulta naturale che – per diverse ragioni – a ciascun livello della nostra struttura sociale (Paese, regione, comunità, individuo) l’accesso alle risorse e ai servizi può essere differente.
Il fulcro dell’attuale dibattito sulla disuguaglianza è rappresentato dall’accesso alle ‘risorse economiche’ (disuguaglianza economica) più che dall’accesso alle risorse sociali e naturali.
La giustificazione è nel fatto che in un mondo dominato dalla ‘moneta,’ l’accesso alle risorse materiali (basilari e di lusso) e immateriali (servizi come quelli per la salute, l’educazione, il divertimento etc…) dipende fortemente dall’accesso alle risorse economiche: la disuguaglianza economica comporta una disuguaglianza nell’accesso alle risorse sociali e naturali.
Non è un caso che in molte ricerche i ricchi sono individuati anche con il termine ‘haves’ (coloro che ‘hanno/possiedono’) e i poveri con il termine ‘have nots’ (coloro che ‘non hanno/non possiedono’).
La disuguaglianza estrema è economicamente, socialmente ed ecologicamente insostenibile!
C’erano una volta gli “enti comunali di assistenza”, che si occupavano di sostenere e alleviare le sofferenze morali e materiali delle famiglie più disgraziate.
Scomparvero non si sa perché dalla sera alla mattina e con questi svanirono nel nulla anche i famosi enti di beneficenza, sostituiti da istituti neonati.
Il caos che n’è derivato negli anni successivi ha portato al blocco di assistenza e beneficenza.
Il credere che la società dell’opulenza negli anni ’80 cancellasse la povertà, e che fosse ormai una condizione del passato fu un errore madornale, lo dimostra il fatto che oggi ci s’interroga come costruire forme di aiuto per chi non è in condizione di procurare cibo ai propri figli o di fare mille salti mortali per trovare un letto.
E’ così, nonostante il benessere raggiunto dalla società del nostro del tempo. Non ci sono più gli enti locali di assistenza, non si sa se i vecchi istituti per assistere i poveri ci sono, il welfare state è saltato, e allora?
I poveri abbandonati al proprio triste destino. Chi opera in politica dovrebbe avere comportamenti più responsabili e immediati di fronte a questo quotidiano dramma dell’umanità.
Papa Paolo VI diceva che “la politica è la più alta forma di carità”.
Allora, assumendo come riferimento alto le parole di Paolo VI, i cattolici che sono in Parlamento e al governo, e non solo loro, si adoperino per accelerare i provvedimenti sulla condizione dei poveri.
E’ opportuno agire concretamente con gli strumenti della legislazione d’urgenza perché ci sia più giustizia sociale e bene comune.
Il governo, la classe politica, cattolici e laici, agiscano con decisione per limitare la veloce corsa verso la povertà, predisponendo adeguate e idonee politiche popolari.
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