La Germania ha più del 60% di banche pubbliche che acquistano regolarmente i titoli di stato con i prestiti a tasso negativo della BCE.
Perchè l’Italia non ha più Banche Pubbliche con le quali acquistare una parte del suo debito pubblico e risparmiare una parte cospicua dei 70 mld di euro di interessi che paghiamo ogni anno ?
Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basterà dire che, se nel 1991, le banche pubbliche rappresentavano il 73% del totale delle banche italiane, oggi allo Stato restano soltanto piccole quote di minoranza in banche di importanza marginale.
Chi ha privatizzato ? Qui cominciano le prime sorprese.
In effetti, sappiamo che in Italia, il consenso parlamentare alle privatizzazioni è stato schiacciante, per il resto le privatizzazioni - e l’ortodossia liberalistica sottostante - hanno raccolto il consenso entusiastico di tutti i gruppi parlamentari.
Questo però non significa che le privatizzazioni le abbia fatte il Parlamento.
E qui qualcuno potrebbe pensare che la materia sia stata espropriata al Parlamento, magari a suon di decreti legge, dal Governo.
Ma non è vero nemmeno questo: le privatizzazioni non le hanno fatte neppure i governi che si sono succeduti dall’inizio degli anni Novanta in poi.
O meglio: Governo e Parlamento hanno deciso di privatizzare, ma il come e il quando lo ha deciso qualcun altro. Chi? Il Ministro del Tesoro? Neppure lui.
Tutto questo è stato deciso da un “tecnico”: il Direttore Generale del Tesoro, il prof. Mario Draghi.
È stata la struttura da lui diretta in prima persona a pilotare la maggior parte delle privatizzazioni italiane, lasciando ai ministri il meno oneroso compito di apporre la loro firma sui singoli decreti di privatizzazione.
In anni ormai lontani si straparlava, a sinistra, di “autonomia del politico”.
Si può tranquillamente affermare che la Direzione Generale del Tesoro diretta da Draghi (“sotto” non meno di 6 diversi ministri) sia stata un caso emblematico di “autonomia dal politico”.
Tale struttura “tecnica” ha in realtà costituito, per tutti gli anni Novanta, uno dei pochi veri poteri forti di questo Paese. Un potere di fatto privo di ogni legittimazione democratica e di un vero controllo sul merito e sul metodo delle scelte assunte.
Veniamo ai motivi delle privatizzazioni.
Il primo motivo, com’è noto, era rappresentato dalla necessità per lo Stato di “fare cassa”, per poter abbattere il debito pubblico ed entrare nel club della moneta unica europea. Si tratta di un motivo oggettivo e reale - beninteso, una volta accettate le premesse, ossia che si dovesse partecipare alla moneta unica e che i parametri dovessere essere quelli fissati a Maastricht.
Va però sottolineato come tale motivo sia stato in realtà utilizzato, strumentalmente, come una leva per ridimensionare drasticamente il ruolo dello Stato nell’economia.
In un recente articolo sulle privatizzazioni, scritto da uno dei componenti della tecnostruttura di Draghi, la cosa è ammessa con estrema franchezza: “Si è sfruttata l’occasione offerta dalla necessità ed urgenza di rispettare gli stringenti vincoli esterni, imposti dalla partecipazione all’Unione Monetaria Europea, per avviare iniziative volte alla ridefinizione del ruolo dello Stato ed alla riforma, in senso maggiormente concorrenziale, dei mercati.
La concentrazione bancaria
La concentrazione del settore bancario è un fenomeno di portata mondiale.
Per avere un’idea dell’entità del fenomeno basteranno pochi dati: sono state effettuate nel mondo 7.500 fusioni e acquisizioni tra banche, del valore di 1.600 miliardi di dollari; questo processo ha avuto una notevole accelerazione all’interno del periodo considerato, ed in particolare negli ultimi anni
“Il grado di patrimonializzazione complessivo delle banche italiane non ha subito modificazioni sostanziali in conseguenza della privatizzazione”.
Gli indicatori di redditività danno risultati “sorprendenti”.
Nel senso che non danno alcuna indicazione chiara per le banche grandi, e dicono con chiarezza che le banche piccole non privatizzate vanno meglio di quelle privatizzate.
Per quanto riguarda le banche straniere, poi, si ha addirittura “un netto peggioramento della redditività negli anni successivi alla privatizzazione”.
A chi giova tutto questo?
Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal fatto che il processo di concentrazione nel settore bancario-finanziario-assicurativo ha una sua importante specificità: esso è al tempo stesso attore della concentrazione in altri settori.
Le concentrazioni nel settore finanziario europeo, a loro volta, hanno comportato restrizione del credito alle piccole e medie imprese.
Questo processo giova al grande capitale monopolistico.
Non avendo più Banche Pubbliche con le quali acquistare una parte del suo debito pubblico il debito è passato tutto in mano di privati.
A chi altro giova?
Il processo di privatizzazione delle banche italiane - l’abbiamo visto - ha giovato senz’altro alle grandi investment banks anglosassoni, grazie alle lucrose commissioni che hanno potuto incamerare.
Ha giovato ad un pugno di boiardi di Stato che, di piroetta in piroetta, son riusciti a passare indenni dalla guida delle ex-banche pubbliche alla guida delle stesse banche privatizzate. E ora, da “boiardi” che erano, si sono trasformati in “managers”.
Ha giovato infine anche ad alcuni ex-capitalisti industriali (leggi FIAT), per i quali le privatizzazioni delle banche hanno rappresentato un’occasione d’oro per consolidare le loro posizioni nel business assicurativo-bancario, acquisire partecipazioni nelle banche privatizzate, preparandosi così ad uscire senza danni (per loro) dal loro business tradizionale.
E ora vediamo a chi questo processo non giova.
Non giova ai bancari (che, a dispetto della loro fama, sono sempre più “esuberanti”, e quindi vengono falcidiati in massa ad ogni “giro” di fusione tra banche).
Non giova alla concorrenza - e la cosa dovrebbe essere di banale comprensione, con 5 banche che da sole controllano il 50% del mercato. E questo, per scendere più nel concreto, significa che:
• non giova ai risparmiatori, che non hanno affatto visto migliorare le condizioni praticate dalle banche (ad es. sui concorrenti);
• non giova neppure alle tanto mitizzate piccole e medie imprese, che si sono viste progressivamente restringere il credito...
Ora veniamo al Debito dello Stato e le Banche.
Siamo come prigionieri nella caverna di Platone, crediamo a ciò che ci ripetono tutti i giorni da uno schermo televisivo, dove i cosiddetti esperti economici ci raccontano le solite falsità :
Lo Stato è come una famiglia, quindi non deve fare debiti
Il debito pubblico deve essere ripagato, quindi bisogna fare politiche di austerity
Lo Stato non deve avere banche pubbliche perchè corrotto
La cosa peggiore è che spesso, senza neanche rendercene conto, siamo noi stessi i migliori difensori delle catene del debito che ci hanno imprigionato.
Lo Stato non è come una famiglia
Il debito pubblico può essere cancellato
Lo Stato deve avere banche pubbliche
Queste 3 pillole sono necessarie e sufficienti a garantire la completa guarigione in pochi giorni.
Vanno ripetute come un mantra fino a quando non saremo diventati consapevoli della necessità di liberarci dalle catene del debito e potremo finalmente cominciare a ragionare serenamente su come possiamo e dobbiamo affrontare i problemi per risolverli.
Perchè l’Italia non ha più Banche Pubbliche con le quali acquistare una parte del suo debito pubblico e risparmiare una parte cospicua dei 70 mld di euro di interessi che paghiamo ogni anno ?
Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basterà dire che, se nel 1991, le banche pubbliche rappresentavano il 73% del totale delle banche italiane, oggi allo Stato restano soltanto piccole quote di minoranza in banche di importanza marginale.
Chi ha privatizzato ? Qui cominciano le prime sorprese.
In effetti, sappiamo che in Italia, il consenso parlamentare alle privatizzazioni è stato schiacciante, per il resto le privatizzazioni - e l’ortodossia liberalistica sottostante - hanno raccolto il consenso entusiastico di tutti i gruppi parlamentari.
Questo però non significa che le privatizzazioni le abbia fatte il Parlamento.
E qui qualcuno potrebbe pensare che la materia sia stata espropriata al Parlamento, magari a suon di decreti legge, dal Governo.
Ma non è vero nemmeno questo: le privatizzazioni non le hanno fatte neppure i governi che si sono succeduti dall’inizio degli anni Novanta in poi.
O meglio: Governo e Parlamento hanno deciso di privatizzare, ma il come e il quando lo ha deciso qualcun altro. Chi? Il Ministro del Tesoro? Neppure lui.
Tutto questo è stato deciso da un “tecnico”: il Direttore Generale del Tesoro, il prof. Mario Draghi.
È stata la struttura da lui diretta in prima persona a pilotare la maggior parte delle privatizzazioni italiane, lasciando ai ministri il meno oneroso compito di apporre la loro firma sui singoli decreti di privatizzazione.
In anni ormai lontani si straparlava, a sinistra, di “autonomia del politico”.
Si può tranquillamente affermare che la Direzione Generale del Tesoro diretta da Draghi (“sotto” non meno di 6 diversi ministri) sia stata un caso emblematico di “autonomia dal politico”.
Tale struttura “tecnica” ha in realtà costituito, per tutti gli anni Novanta, uno dei pochi veri poteri forti di questo Paese. Un potere di fatto privo di ogni legittimazione democratica e di un vero controllo sul merito e sul metodo delle scelte assunte.
Veniamo ai motivi delle privatizzazioni.
Il primo motivo, com’è noto, era rappresentato dalla necessità per lo Stato di “fare cassa”, per poter abbattere il debito pubblico ed entrare nel club della moneta unica europea. Si tratta di un motivo oggettivo e reale - beninteso, una volta accettate le premesse, ossia che si dovesse partecipare alla moneta unica e che i parametri dovessere essere quelli fissati a Maastricht.
Va però sottolineato come tale motivo sia stato in realtà utilizzato, strumentalmente, come una leva per ridimensionare drasticamente il ruolo dello Stato nell’economia.
In un recente articolo sulle privatizzazioni, scritto da uno dei componenti della tecnostruttura di Draghi, la cosa è ammessa con estrema franchezza: “Si è sfruttata l’occasione offerta dalla necessità ed urgenza di rispettare gli stringenti vincoli esterni, imposti dalla partecipazione all’Unione Monetaria Europea, per avviare iniziative volte alla ridefinizione del ruolo dello Stato ed alla riforma, in senso maggiormente concorrenziale, dei mercati.
La concentrazione bancaria
La concentrazione del settore bancario è un fenomeno di portata mondiale.
Per avere un’idea dell’entità del fenomeno basteranno pochi dati: sono state effettuate nel mondo 7.500 fusioni e acquisizioni tra banche, del valore di 1.600 miliardi di dollari; questo processo ha avuto una notevole accelerazione all’interno del periodo considerato, ed in particolare negli ultimi anni
“Il grado di patrimonializzazione complessivo delle banche italiane non ha subito modificazioni sostanziali in conseguenza della privatizzazione”.
Gli indicatori di redditività danno risultati “sorprendenti”.
Nel senso che non danno alcuna indicazione chiara per le banche grandi, e dicono con chiarezza che le banche piccole non privatizzate vanno meglio di quelle privatizzate.
Per quanto riguarda le banche straniere, poi, si ha addirittura “un netto peggioramento della redditività negli anni successivi alla privatizzazione”.
A chi giova tutto questo?
Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal fatto che il processo di concentrazione nel settore bancario-finanziario-assicurativo ha una sua importante specificità: esso è al tempo stesso attore della concentrazione in altri settori.
Le concentrazioni nel settore finanziario europeo, a loro volta, hanno comportato restrizione del credito alle piccole e medie imprese.
Questo processo giova al grande capitale monopolistico.
Non avendo più Banche Pubbliche con le quali acquistare una parte del suo debito pubblico il debito è passato tutto in mano di privati.
A chi altro giova?
Il processo di privatizzazione delle banche italiane - l’abbiamo visto - ha giovato senz’altro alle grandi investment banks anglosassoni, grazie alle lucrose commissioni che hanno potuto incamerare.
Ha giovato ad un pugno di boiardi di Stato che, di piroetta in piroetta, son riusciti a passare indenni dalla guida delle ex-banche pubbliche alla guida delle stesse banche privatizzate. E ora, da “boiardi” che erano, si sono trasformati in “managers”.
Ha giovato infine anche ad alcuni ex-capitalisti industriali (leggi FIAT), per i quali le privatizzazioni delle banche hanno rappresentato un’occasione d’oro per consolidare le loro posizioni nel business assicurativo-bancario, acquisire partecipazioni nelle banche privatizzate, preparandosi così ad uscire senza danni (per loro) dal loro business tradizionale.
E ora vediamo a chi questo processo non giova.
Non giova ai bancari (che, a dispetto della loro fama, sono sempre più “esuberanti”, e quindi vengono falcidiati in massa ad ogni “giro” di fusione tra banche).
Non giova alla concorrenza - e la cosa dovrebbe essere di banale comprensione, con 5 banche che da sole controllano il 50% del mercato. E questo, per scendere più nel concreto, significa che:
• non giova ai risparmiatori, che non hanno affatto visto migliorare le condizioni praticate dalle banche (ad es. sui concorrenti);
• non giova neppure alle tanto mitizzate piccole e medie imprese, che si sono viste progressivamente restringere il credito...
Ora veniamo al Debito dello Stato e le Banche.
Siamo come prigionieri nella caverna di Platone, crediamo a ciò che ci ripetono tutti i giorni da uno schermo televisivo, dove i cosiddetti esperti economici ci raccontano le solite falsità :
Lo Stato è come una famiglia, quindi non deve fare debiti
Il debito pubblico deve essere ripagato, quindi bisogna fare politiche di austerity
Lo Stato non deve avere banche pubbliche perchè corrotto
La cosa peggiore è che spesso, senza neanche rendercene conto, siamo noi stessi i migliori difensori delle catene del debito che ci hanno imprigionato.
Lo Stato non è come una famiglia
Il debito pubblico può essere cancellato
Lo Stato deve avere banche pubbliche
Queste 3 pillole sono necessarie e sufficienti a garantire la completa guarigione in pochi giorni.
Vanno ripetute come un mantra fino a quando non saremo diventati consapevoli della necessità di liberarci dalle catene del debito e potremo finalmente cominciare a ragionare serenamente su come possiamo e dobbiamo affrontare i problemi per risolverli.
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