Spesso si aprono ragionamenti sulla lunghezza delle procedure e sull’inefficienza della Pubblica Amministrazione, in cui ciascun interlocutore inventa possibili meccanismi di soluzione.
Dato il tema è evidente che serva una riflessione sistematica su molti aspetti sovrapposti e un percorso di costruzione e condivisione delle proposte.
Ovviamente l’obiettivo centrale è rimuovere la burocrazia, nella sua accezione deteriore di ostacolo alle iniziative e concentrazione di pratiche inconcludenti, sostituendola con percorsi efficienti di accompagnamento e provvedimenti efficaci.
La ricorrente critica a questo tipo deteriore di burocrazia non è legata alla numerosità e complessità dei documenti richiesti, quanto al fatto inquietante che sia diventata un metodo, uno stile di vita, una forma di comportamento e di interazione con gli altri: questo la rende inaccettabile.
E’ un metodo per rinviare e soprattutto non decidere, fondato peraltro su multiformi presupposti: atti del passato pasticciati oggi irrisolvibili; ignoranza dei possibili procedimenti associata alla supponenza invece che alla modestia e allo studio; supporto alla deresponsabilizzazione poiché ogni decisione deve essere sempre collegiale e condivisa, anche con il sostegno di autorevoli leggi; paura e pietismo per l’utente che chiede le cose a vanvera e viene accontentato con documenti inconcludenti.
Le leve su cui poggiare i primi passi di una riforma della P.A. sembrano essere tre:
La trasparenza come questione tecnica.
Le trasformazioni della città, i Piani, le autorizzazioni da assumere oggi si fondano su storie complesse stratificate in anni di gestione: vanno rese immediatamente richiamabili.
La trasparenza della storia urbanistica delle aree, delle autorizzazioni commerciali, delle concessioni demaniali, la storia e la conoscenza dei singoli processi di decisione che hanno determinato e determinano lo stato di fatto è uno strumento di lavoro obbligatorio, che non può più essere affidato alla memoria storica di colleghi.
Bisogna passare dall’evocazione morale della trasparenza ad una accezione tutta strettamente tecnica e strumentale imprescindibile, come precondizione essenziale per l’avvio dei processi di liberazione dalla burocrazia e come servizio al cittadino e al tecnico.
Ruoli e responsabilità nei processi di decisione.
Deve essere chiaro il ruolo dei soggetti abilitati alla singola decisione.
– Il ruolo dei funzionari rispetto a una preliminare e chiara espressione sulle condizioni di fattibilità della richiesta, in cui serve un assoluto rigore tecnico nell’istruttoria, cui consegua una ragionevole inattaccabilità del parere ai ricorsi.
– Il ruolo degli operatori sia rispetto alla loro solidità nel proporre l’iniziativa secondo le corrette regole del mercato, sia rispetto a una scelta di metodo condotta con chiarezza e non secondo plurimi tentativi occasionali, spesso privi del fondamento economico.
– Il ruolo degli amministratori rispetto alle strategie di riordino e rilancio della città, secondo cui alcune proposte sono coerenti ed altre, necessariamente, non lo sono e vanno respinte nella consapevolezza che chi fa politica sceglie.
Tra questi tre capisaldi devono essere chiare le regole di assunzione delle responsabilità.
Invece il ruolo svolto e la responsabilità diretta spesso sono mescolati e sovrapposti, ricercato il prestigio del primo e sfuggita la seconda: ne consegue che sia molto difficile praticare davvero la trasparenza e che nel casuale e non proceduralizzato percorso nella rete dei decisori, divenuto un gioco caleidoscopico dagli esiti occasionali, la spunti chi è più furbo e non chi è più bravo.
Stili di pianificazione, regole di gestione e manutenzione.
Il totem del Piano Regolatore disegnato, statico e reso inutile, i proclami delle strategie generali legate alla politica-spettacolo e mai attuati, gli annunci privi di un piano d’azione, si possono evitare e cadono tutti solo attraverso la rifondazione del metodo di lavoro della P.A.
Con un nuovo stile serve esplicitare la programmazione di un sistema organizzato con una regia ed un’idea guida, serve collegarvi le singole azioni mirate e coerenti che vanno implementate in uno scenario di miglioramento comprensibile; e queste non necessariamente saranno contigue e continue ma anche a pelle di leopardo, come è la città reale.
La politica di sviluppo della città è quindi la gestione di un sistema le cui regole sono dichiarate, e le autorizzazioni coerenti con esso divengono semplici atti dovuti da registrare.
Ne consegue che i percorsi autorizzativi possano essere tutti esplicitamente trattati contemperando flessibilità e discrezionalità.
La trasparenza deve implementare e tenere viva un’attività costante di registrazione, di adeguamento, di comunicazione aperta: in una parola un attività di manutenzione della città.
Si potrebbe così riscoprire il vero senso della SMART city: nel governo del percorso di attuazione del Piano, nell’ articolare città più flessibili e con alta possibilità di correzione d’errore, città reattive e pronte a innescare processi di sviluppo e qualità insediativa.
Tali fondamentali non sono affatto teorici, come sembrano, ma presuppongono solo un modo diverso di guardare e risolvere i problemi di sempre.
Sarebbe necessario riprendere alcuni dei tradizionali temi della P.A. nei quali il danno della cattiva burocrazia è più evidente, (del governo del territorio, dei lavori pubblici, del commercio) guardandoli secondo un nuovo modo di descrivere il problema, o meglio secondo le ragioni originarie andate disperse, ridefinendo gli strumenti necessari.
Si tratta di disincrostare da quanto si è stratificato, derivante non dalla complessità del problema, ma dal fatto che chi lo deve risolvere non si assuma le responsabilità.
Eliminare la burocrazia come stile di vita.
E’ un complesso lavoro all’indietro in cui bisogna riallineare una robusta capacità tecnica, la capacità di esercitare correttamente la discrezionalità ed assumersi la responsabilità della decisione.
Tali argomenti si potrebbero mettere a fuoco in forma di seminari di studio e di approfondimento tematici, con interlocutori privilegiati quali anche i funzionari della P.A., per farne eventualmente oggetto di iniziativa politica o di formazione.
di Vittoria Crisostomi
Dato il tema è evidente che serva una riflessione sistematica su molti aspetti sovrapposti e un percorso di costruzione e condivisione delle proposte.
Ovviamente l’obiettivo centrale è rimuovere la burocrazia, nella sua accezione deteriore di ostacolo alle iniziative e concentrazione di pratiche inconcludenti, sostituendola con percorsi efficienti di accompagnamento e provvedimenti efficaci.
La ricorrente critica a questo tipo deteriore di burocrazia non è legata alla numerosità e complessità dei documenti richiesti, quanto al fatto inquietante che sia diventata un metodo, uno stile di vita, una forma di comportamento e di interazione con gli altri: questo la rende inaccettabile.
E’ un metodo per rinviare e soprattutto non decidere, fondato peraltro su multiformi presupposti: atti del passato pasticciati oggi irrisolvibili; ignoranza dei possibili procedimenti associata alla supponenza invece che alla modestia e allo studio; supporto alla deresponsabilizzazione poiché ogni decisione deve essere sempre collegiale e condivisa, anche con il sostegno di autorevoli leggi; paura e pietismo per l’utente che chiede le cose a vanvera e viene accontentato con documenti inconcludenti.
Le leve su cui poggiare i primi passi di una riforma della P.A. sembrano essere tre:
La trasparenza come questione tecnica.
Le trasformazioni della città, i Piani, le autorizzazioni da assumere oggi si fondano su storie complesse stratificate in anni di gestione: vanno rese immediatamente richiamabili.
La trasparenza della storia urbanistica delle aree, delle autorizzazioni commerciali, delle concessioni demaniali, la storia e la conoscenza dei singoli processi di decisione che hanno determinato e determinano lo stato di fatto è uno strumento di lavoro obbligatorio, che non può più essere affidato alla memoria storica di colleghi.
Bisogna passare dall’evocazione morale della trasparenza ad una accezione tutta strettamente tecnica e strumentale imprescindibile, come precondizione essenziale per l’avvio dei processi di liberazione dalla burocrazia e come servizio al cittadino e al tecnico.
Ruoli e responsabilità nei processi di decisione.
Deve essere chiaro il ruolo dei soggetti abilitati alla singola decisione.
– Il ruolo dei funzionari rispetto a una preliminare e chiara espressione sulle condizioni di fattibilità della richiesta, in cui serve un assoluto rigore tecnico nell’istruttoria, cui consegua una ragionevole inattaccabilità del parere ai ricorsi.
– Il ruolo degli operatori sia rispetto alla loro solidità nel proporre l’iniziativa secondo le corrette regole del mercato, sia rispetto a una scelta di metodo condotta con chiarezza e non secondo plurimi tentativi occasionali, spesso privi del fondamento economico.
– Il ruolo degli amministratori rispetto alle strategie di riordino e rilancio della città, secondo cui alcune proposte sono coerenti ed altre, necessariamente, non lo sono e vanno respinte nella consapevolezza che chi fa politica sceglie.
Tra questi tre capisaldi devono essere chiare le regole di assunzione delle responsabilità.
Invece il ruolo svolto e la responsabilità diretta spesso sono mescolati e sovrapposti, ricercato il prestigio del primo e sfuggita la seconda: ne consegue che sia molto difficile praticare davvero la trasparenza e che nel casuale e non proceduralizzato percorso nella rete dei decisori, divenuto un gioco caleidoscopico dagli esiti occasionali, la spunti chi è più furbo e non chi è più bravo.
Stili di pianificazione, regole di gestione e manutenzione.
Il totem del Piano Regolatore disegnato, statico e reso inutile, i proclami delle strategie generali legate alla politica-spettacolo e mai attuati, gli annunci privi di un piano d’azione, si possono evitare e cadono tutti solo attraverso la rifondazione del metodo di lavoro della P.A.
Con un nuovo stile serve esplicitare la programmazione di un sistema organizzato con una regia ed un’idea guida, serve collegarvi le singole azioni mirate e coerenti che vanno implementate in uno scenario di miglioramento comprensibile; e queste non necessariamente saranno contigue e continue ma anche a pelle di leopardo, come è la città reale.
La politica di sviluppo della città è quindi la gestione di un sistema le cui regole sono dichiarate, e le autorizzazioni coerenti con esso divengono semplici atti dovuti da registrare.
Ne consegue che i percorsi autorizzativi possano essere tutti esplicitamente trattati contemperando flessibilità e discrezionalità.
La trasparenza deve implementare e tenere viva un’attività costante di registrazione, di adeguamento, di comunicazione aperta: in una parola un attività di manutenzione della città.
Si potrebbe così riscoprire il vero senso della SMART city: nel governo del percorso di attuazione del Piano, nell’ articolare città più flessibili e con alta possibilità di correzione d’errore, città reattive e pronte a innescare processi di sviluppo e qualità insediativa.
Tali fondamentali non sono affatto teorici, come sembrano, ma presuppongono solo un modo diverso di guardare e risolvere i problemi di sempre.
Sarebbe necessario riprendere alcuni dei tradizionali temi della P.A. nei quali il danno della cattiva burocrazia è più evidente, (del governo del territorio, dei lavori pubblici, del commercio) guardandoli secondo un nuovo modo di descrivere il problema, o meglio secondo le ragioni originarie andate disperse, ridefinendo gli strumenti necessari.
Si tratta di disincrostare da quanto si è stratificato, derivante non dalla complessità del problema, ma dal fatto che chi lo deve risolvere non si assuma le responsabilità.
Eliminare la burocrazia come stile di vita.
E’ un complesso lavoro all’indietro in cui bisogna riallineare una robusta capacità tecnica, la capacità di esercitare correttamente la discrezionalità ed assumersi la responsabilità della decisione.
Tali argomenti si potrebbero mettere a fuoco in forma di seminari di studio e di approfondimento tematici, con interlocutori privilegiati quali anche i funzionari della P.A., per farne eventualmente oggetto di iniziativa politica o di formazione.
di Vittoria Crisostomi
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